Non si può non riconoscere alle destre estreme che siedono a Palazzo Chigi e hanno la maggioranza nelle Camere una lineare coerenza nel perseguire, passo dopo passo, una trasformazione dell’impianto legislativo che riguarda, nella sua essenza primaria, il tema dei diritti che viene affrontato con piglio energicamente e muscolarmente securitario sul piano delle libertà civili e dei conseguenti rapporti tra popolazione e istituzioni. Tutto questo rientra perfettamente nella tradizione conservatrice che ritrova nell’arma della repressione un metodo di espletazione del controllo politico sulle masse così come sui singoli cittadini.
Ciò mette al sicuro, almeno teoricamente, le classi dirigenti da tutta una serie di rivendicazioni sociali che, per poter essere reclamate, hanno bisogno del pieno riconoscimento da parte dello Stato di queste prerogative. La Costituzione, infatti, non concede i diritti ai cittadini, ma li “riconosce” e li “garantisce“. Questo perché si dà per acquisito (ma lo è mai veramente?) il fatto che diritti umani, civili e sociali prevengono qualunque testo legislativo, qualunque diritto positivo e sono, sostanzialmente, dei diritti naturali che dovrebbero essere tradotti in efficacia concreta proprio dai patti di condivisione delle comunità tanto locali quanto nazionali.
La Repubblica, quindi, non ha il diritto di concedere diritti, ma ha il dovere di riconoscerli sempre e comunque a tutta la popolazione. Nel momento in cui si iniziano a fare delle distinzioni sul godimento delle prerogative singolari e collettive, e si pongono dei margini sempre più stringenti alle libertà a cui tutte e tutti ci siamo abituati da ottant’anni a questa parte, le constatazioni che emergono sono essenzialmente due: ci troviamo, come rilevava Gramsci, nel contesto di una crisi dell’economia capitalistica che, a livello di classe imprenditoriale e finanziaria, oggi reagisce come reagiva ieri la borghesia di vecchio stampo.
Richiede al potere politico di prevenire le proteste per l’aumentare della povertà, delle incertezze sul futuro di milioni e milioni di lavoratrici e lavoratori su cui si riverseranno le decisioni padronali che, come ovvio, sacrificheranno alla tutela massima dei profitti i diritti fondamentali dei loro dipendenti. Storicamente è riscontrabile che più aumenta la crisi del capitale, più la democrazia (liberale), accettata come compromesso tra le parti e le classi dai padroni del vapore, viene tralasciata e abbandonata al suo destino: non esiste, infatti, una importanza etico-costituzionale dei diritti per i proprietari dei mezzi di produzione.
Ciò che conta è solamente la preservazione dei capitali a scapito totale, ovvio, dei salari e delle condizioni di esistenza dei moderni proletari (come di quelli di un tempo) che ne fanno le spese in una già generale depressione economica su scala globale. Tutto si tiene, in fondo: la stessa riforma del premierato va nella stessa direzione. Un capo che sovrintende un rapporto tra i poteri dello Stato non più equipollenti, ma sbilanciati verso l’esecutivo che, così, determina i lavori del Parlamento e lo riduce al rango di assemblea ratificatrice di decreti legge che si sostituiscono all’iniziativa diretta di deputati e senatori.
Un esempio davvero inquietante è il decreto sulla sicurezza. Il Presidente della Repubblica, dopo alcune correzioni richieste, lo ha firmato e rimandato alle Camere per l’approvazione definitiva. Si dice spesso che il Quirinale non può avere un ruolo politico e, quindi, non può intromettersi nel lavoro svolto tra governo e Parlamento proprio nella formazione delle leggi. Tutto sacrosantamente vero nel contesto in cui il primo non abusa del secondo: con uno stratagemma degno del timore di vedere questa decretazione quasi d’urgenza come unica soluzione alle lungaggini del processo di discussione democratica, la maggioranza meloniana scavalca le Camere e farà approvare il testo con un voto di fiducia.
Un voto scontato, che sottrae all’esame delle alte Aule della Repubblica un insieme di norme che andranno ad impattare necessariamente e primariamente sui diritti di manifestazione del pensiero attraverso azioni che non sono mai state considerate illegali, perché atti di disobbedienza civile, pacifici anche se, come è ovvio che siano, creavano e creano disagi il cui scopo è attirare l’attenzione della pubblica opinione su problemi dirimenti per la vita collettiva del Paese. L’esecutivo dimostra per l’ennesima volta la tendenza – eufemisticamente parlando – a concentrare sempre più nel suo spettro di competenze tutta una serie di materie che sono invece oggetto del Legislatore.
E questo, fino a prova contraria, non è Palazzo Chigi, ma sono la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica. Si potrà dire: beh, ma avendo la maggioranza nei due rami del Parlamento, comunque l’esito finale non cambia. La norma verrebbe approvata nonostante il dibattito che la precederebbe. Vero pure questo, ma perché allora evitare la discussione che, questa è poi la sua natura, ha come obiettivo la possibilità di far emergere proprio nel confronto fra le differenti forze politiche elementi utili alla tutela del bene comune e singolo al tempo stesso?
Quale timore ha il governo Meloni dal lasciare che un disegno di legge della maggioranza vada in Parlamento e poi, dopo essere stato affrontato seguendo l’iter previsto, sia approvato dalle stesse Camere? Perché si aggira tutto ciò e si usa la decretazione di urgenza? Ovviamente per evitare che, oltre alle modifiche richieste dall’entourage di Mattarella, se ne aggiungano altre, magari con maggioranze trasversali tra centrosinistra e Forza Italia, indebolendo così il ruolo della Lega nella costruzione e nella difesa perentoria di normative che reprimono e limitano i diritti fondamentali, le libertà più prossime all’impianto costituzionale.
Il decreto sicurezza, nello specifico, contiene:
1) più tutele per la polizia e i militari in servizio, per cui gli agenti saranno dotati di videocamere per la registrazione; quelli indagati o imputati di abusi non saranno più sospesi dal servizio e lo Stato sosterrà le spese legali fino a diecimila euro per ogni grado di giudizio;
2) sanzioni più dure per le proteste e i blocchi stradali, comprendono una serie di aumenti temporali delle pene detentive, delle modalità di arresto e di pene pecuniarie per chi manifesta danneggiando beni o ostacolando le operazioni delle forze dell’ordine. Il principio della punibilità della resistenza passiva che le opposizioni hanno ribattezzato “norma anti-Gandhi”, viene mantenuto. Il blocco stradale passa dall’essere un illecito amministrativo ad essere un vero e proprio reato penale punibile con un mese di carcere e una multa fino a trecento euro. Se però avviene nel corso di una manifestazione, e sono più persone a bloccare la strada, allora la pena può arrivare fino a sei anni;
3) reato di resistenza in carcere, nei Cpr e negli hotspot: qui il governo di estrema destra introduce un reato nuovo, quello di rivolta all’interno degli istituti penitenziari che, in sostanza, colpirà tutti coloro che promuovono, organizzano, dirigono o partecipano a una rivolta che coinvolge tre o più persone. Minacce, atti violenti e, naturalmente, chi resiste passivamente e/o si limita a non obbedire agli ordini che vengono impartiti. Tutto nel nome del mantenimento dell’ordine e della sicurezza. Ovvio. Ugualmente la legislazione varrà per i Centri di permanenza per il rimpatrio dei migranti. Il governo non si fa mancare nulla;
4) sim per i migranti: il disegno di legge precedente all’attuale decreto prevedeva che la persona dovesse mostrare il permesso di soggiorno per poter acquistare una semplice scheda telefonica. Nel decreto rielaborato dal governo si prevede invece che si debba, a questo fine, esibire al commerciante un documento di identità;
5) sanzioni più dure per chi protesta contro le grandi opere: non ci saranno più attenuanti per chi protesta, come spesso fanno i giovani di Ultima Generazione, imbrattando con vernici assolutamente lavabili monumenti e facciate di palazzi pubblici. Una forma di protesta indubbiamente opinabile e, francamente, poco utile nel convincere vasti settori dell’opinione pubblica della bontà delle ragioni (che buone sono e buone rimangono) di un movimento giovanile che si batte contro le politiche liberiste che negano il cambiamento climatico e favoriscono ancora l’utilizzo del fossile come combustibile essenziale. Ma, opinabile o meno, hanno diritto di protestare. Non la pensa così il governo;
6) più tutele per i servizi segreti: notate come il decreto, là dove toglie ai cittadini i diritti di manifestare pienamente e anche con resistenza passiva, senza alcuna violenza, compensa con maggiori diritti per gli apparati dello Stato dediti alla gestione dell’ordine pubblico, della repressione del dissenso e del contenimento delle proteste… Qui salta, quanto meno, l’obbligo che l’esecutivo assegnava alle università e all’ordine dei giornalisti di collaborare con i servizi segreti per identificare e indagare meglio, per l’appunto, chi è contrariato dalle politiche di Palazzo Chigi. Rimane, invece, una maggiore tutela per gli agenti dell’intelligence;
7) revoca della cittadinanza: chi subiva una condanna in via definitiva poteva vedersi revocare la cittadinanza italiana entro tre anni dalla data del provvedimento giudiziario. Con la nuova norma questo periodo è esteso a dieci anni;
8) la cannabis light? Un vero e proprio crimine! Viene vietato importare, cedere, lavorare, distribuire, commerciare, trasportare, inviare, spedire e consegnare le infiorescenze della canapa coltivata. Però il decreto, rispetto alla versione precedente, non include il divieto per la produzione agricola dei semi per gli usi che sono consentiti dalla Legge;
9) un reato commesso in stazione è più grave: se, esclusa la colpa, il fatto viene commesso dentro o nei pressi di una stazione ferroviaria o in una metropolitana, scatta, per l’appunto, aggravante;
10) reato di occupazione abusiva di immobili: questo è un nuovo reato costruito ad arte per tutte e tutti coloro occupano un’abitazione in cui vivono altre persone o se ne appropriano con un raggiro. Si rischia una pena fino a sette anni di carcere se il reato è commesso contro persone anziane o inferme, oppure su edifici pubblici. Si procede, in questi casi, d’ufficio;
11) truffe nei confronti degli anziani: un nuovo reato è dedicato alla truffa aggravata nei confronti di anziani. La parte del decreto che è certamente più apprezzabile e logica, anche se, come tutte le leggi, non sempre riesce ad avere un effetto deterrente. Chi proverà a prendersi gioco della buona fede delle persone più fragili per l’età sarà punito con pene da due a sei anni di carcere, e una multa fino a tremila euro.
La ratio del decreto è abbastanza ovvia: la destra di governo sostiene le sue storiche lotte contro l’autonomia del pensiero critico organizzato e tradotto nella libertà di manifestazione contro le azioni del potere esecutivo che, invece, ha lo scopo non della comprensione ma della repressione brutta e cattiva (bella e buona proprio non si può dire…). Una volta approvato dal Parlamento e divenuto Legge dello Stato, questo strumento servirà ad includere praticamente buona parte delle manifestazioni di piazza nell’elenco delle attività comprimbili secondo le nuove norme: sit in, flash mob, cortei spontanei e aggregazioni di comitati di quartiere potranno essere considerati sul filo dell’illegalità.
Basterà fermarsi un attimo nelle vie e nelle piazze di una città durante un corteo per essere tacciati del reato penale di occupazione della sede stradale, di resistenza passiva (che è quanto di più democratico vi possa essere, insieme allo sciopero della fame, come forma di protesta civile). Associazioni ambientaliste, studentesche, partiti politici e sindacati si ritroveranno ben presto nelle maglie di questa nuova legislazione repressiva che deve essere contrastata senza indugio.
Maggiore diviene lo scarto tra il dettame costituzionale e la sua applicazione, a causa di decreti legge come quello di cui qui abbiamo scritto, più ampia si fa l’interpretazione dei fenomeni da reprimere: in questo caso includente, prescindendo dalle particolarità, perché si colpisce nell’insieme e si omogeneizza ciò che invece va considerato nella sua essenza originaria. Così nascono e rinascono autoritarismi che soffocano la democrazia e la partecipazione alla vita sociale, civile e culturale dell’intera comunità nazionale, nonché di quelle locali. Il prossimo passo quale sarà? Proibire la lettura dei giornali che criticano il governo?
Oppure, paradosso (ma mica poi tanto…) trumpiano, il proibire – in funzione anticinese – ai dipendenti dell’amministrazione di fare l’amore e di fare sesso con chi proviene dal grande paese del Drago? Se siamo già a questi punti, a questi che dovrebbero essere dei miraggi lontani, degni della migliore satira politica, significa che la situazione è abbastanza grave e che dobbiamo prenderla sul serio e rivoltarla, imponendo la Costituzione in tutto e per tutto. Arriverà il momento in cui, come al G8 di Genova, qualcuno penserà di sospenderla, di renderla lettera morta, carta straccia e fare, nel nome della finzione dell’ordine e della Legge, tutto ciò che si vuole fare e senza alcun limite.
È stato detto in questi giorni: «Questo decreto non colpisce la violenza, ma la nonviolenza, non chi fa del male ma chi denuncia un’ingiustizia». Non poteva essere meglio sintetizzato l’intrinseco, primitivo, ancestrale dettame repressivo contenuto in una norma che rievoca tempi bui e li proietta su una modernità che, di per sé, non è veramente garanzie di niente e di nessuno.
MARCO SFERINI
12 aprile 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria