«Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica»: chissà se il ministro Francesco Lollobrigida, pronunciando queste parole dal congresso della Cisal, si rendeva conto di quanto deflagranti fossero. Il testa a testa tra destra leghista e destra tricolore per la palma dei più rigidi e feroci contro l’immigrazione fa brutti scherzi, specialmente se coniugato con la tendenza degli esponenti di maggioranza a riflettere poco prima di parlare.

L’affermazione di Lollobrigida, ministro e altissimo ufficiale di FdI oltre che cognato della premier, è una bomba che giustifica in pieno le reazioni corali e sdegnate dell’intera opposizione, a partire dalla segretaria del Pd Schlein: «Parole disgustose e inaccettabili che hanno il sapore del suprematismo bianco. Mi auguro che Giorgia Meloni e il governo prendano le distanze».

È probabile che alla premier la formula poco assennata adoperata dal suo fedelissimo nelle vesti di ministro non sia effettivamente piaciuta, a palazzo Chigi rispondono che «a Lollobrigida è un po’ sfuggita la frizione». Ma nella sostanza Meloni concorda. Anche lei, del resto, è impegnata nel poco nobile testa a testa con Salvini e con la Lega e in passato a sua volta si è scagliata spesso e molto volentieri contro la «sostituzione etnica».

La sua formula, dal Salone del Mobile a Rho, è più accorta di quella di Lollobrigida ma altrettanto fuori dalla realtà: «Il problema della carenza di personale il governo non vuole risolverlo coi migranti ma con quella grande riserva inutilizzata che è il lavoro femminile. Credo che prima di arrivare all’immigrazione si debba lavorare sulla possibilità di coinvolgere più donne nel mercato del lavoro. Poi c’è anche il tema della natalità», sostiene Meloni.

Proprio quel «tema» è la molla che scatena Lollobrigida: «Le nascite si intensificano costruendo un welfare che permetta di lavorare e avere una famiglia. Non possiamo arrenderci all’idea che gli italiani fanno meno figli e quindi li sostituiamo con gli immigrati». Da tutti gli spalti dell’opposizione fioccano dichiarazioni indignate.

Molti riscontrano la sinistra analogia tra gli spettri che turbano il ministro e la leggenda, assai diffusa nella destra estremissima, ma a cui dava fiato fino a poco tempo fa anche l’attuale premier, del «Piano Kalergi», versione aggiornata dei Protocolli dei Savi di Sion secondo cui sarebbe in atto una gigantesca manovra per sostituire la popolazione europea con africani e asiatici, orchestrata, va da sé, dal finanziere ebreo Soros.

L’insostituibile ministro, su pressione di Meloni, alla fine replica con un video su Facebook nel quale, dopo aver accusato la sinistra di «sollevare polveroni che non hanno senso», s’imbarca in una confusa dissertazione sul concetto di etnia che è «quella appartenenza, quella attività culturale e linguistica che esiste all’interno di una comunità, di tante comunità nel mondo tutte degne di rispetto. Compresa la nostra che intendiamo difendere».

Il problema di Lollobrigida, di Giorgia Meloni e di tutta la destra è il dover fare i conti con una realtà imperiosa che rifiuta di piegarsi alle esigenze rozze della propaganda.

Dunque con le aziende che reclamano forza lavoro e non la trovano, comunque non ai prezzi ben poco esosi che sono disposte a sborsare. Con le previsioni dei demografi che assegnano agli immigrati il compito di pagare lo Stato sociale di un paio di generazioni di italiani. Con le tabelle squadernate dallo stesso governo, secondo le quali un calo drastico dell’immigrazione avrebbe conseguenze apocalittiche sul debito.

Chiuso tra la pressione spregiudicata della Lega e questa dura realtà, lo stato maggiore di Giorgia Meloni, generalessa inclusa, balbetta, formula strategie insensate come quella secondo cui dovrebbero essere le donne a occuparsi dei lavori pesanti sgratificanti e malpagati che oggi svolgono gli immigrati, lancia proclami sbilenchi a favore della natalità come quello di Lollobrigida.

Ma sullo sfondo campeggia davvero un’idea di etnia fondata su vincoli fortemente identitari, sospettosa e ostile nei confronti di ogni differenza, minacciosa e molto temibile.

ANDREA COLOMBO

da il manifesto.it

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