Il Coronavirus e lo sconvolgimento sociale e politico

Vivere nell’isolamento forzato, come sta capitando adesso a molti di noi, non deve significare l’abbandono della possibilità di incrementare la riflessione politica. E’ il caso allora di rilanciare, sia...

Vivere nell’isolamento forzato, come sta capitando adesso a molti di noi, non deve significare l’abbandono della possibilità di incrementare la riflessione politica.

E’ il caso allora di rilanciare, sia pure a distanza, quel confronto ,che pure ci era capitato di avviare nei mesi scorsi, ad esempio con l’apertura del “Dialogo Gramsci – Matteotti per la ricostruzione della sinistra”.

Anzi, proprio ciò che ci sta capitando addosso rende sempre più indifferibile l’apertura di una discussione di fondo.

Molte delle categorie politiche che si ritenevano assolutamente affermate e incontrovertibili sono andate in discussione e, nell’augurabile post di questa vicenda, sarà necessario ripartire sia sul piano dell’analisi di fase sia su quello dell’intervento diretto al riguardo delle nuove dinamiche che sicuramente si evidenzieranno sia nel sistema politico italiano, sia sul piano internazionale.

Provo allora a fornire un minimo di contributo a un dibattito possibile esaminando tre termini, molto importanti per la sinistra.

Termini che hanno assunto un peso molto diverso, almeno sul piano teorico, rispetto alla dimensione da essi avuta nel recente passato:

1) RAPPRESENTANZA

Ci siamo accorti, nel frattempo, che un livello di decisionalità come quello richiesto dall’emergenza non può essere sopportato se non attraverso l’espressione di un corrispondente adeguato livello di rappresentanza politica.

Infatti l’emergere delle contraddizioni sociali acuite dalle priorità imposte dalla situazione di eccezionalità ( eccezionalità del tipo di quelle che si affrontano solitamente in periodi bellici) si sommano necessariamente con le contraddizioni già presenti nella società .

Si è reso così difficile lo stabilire un ordine di priorità che non fosse sia quello imposto dall’urgenza della quotidianità, con un totale assorbimento in quella direzione del meccanismo comunicativo.

In questi giorni abbiamo sentito gridare “Non si può chiudere il Parlamento” mentre la commistione tra le espressioni della comunità tecnico – scientifico si intrecciavano e la “occasionale” espressione della governabilità (e del rapporto tra questa e le rappresentanze parlamentari) hanno fornito alla fine una sostanziale opacità nelle definizione delle scelte (molto pesanti per una società impostata sul consumismo individuale) .

L’unico supporto alla chiarezza nelle scelte è stata quella fornita da una sorta di “indefinizione statistica”.

Un’opacità alimentata da un sistema di comunicazione di massa vorace di presenzialismo (a tutti i livelli) ma incapace di uscire dalla banalità dell’esortazione.

Si è così sentita molto forte la mancanza di una rappresentanza politica fondata sulla qualità complessiva delle contraddizioni sociali, autonoma nella sua ricerca d’identità, capace di sorreggere sul piano politico la necessità di confronto e di rivendicazione sociale che pure sarebbe apparsa, proprio in questo frangente, quanto mai necessaria.

Va riaperta quindi, con ancora maggiore pregnanza rispetto al passato, la discussione sul tipo di soggettività politica che la sinistra deve sapere esprimere, anche in previsione dell’avanzamento di una radicalità di richiesta nella modifica profonda dell’organizzazione sociale fondata su liberismo e relativo individualismo che pure dovrà essere immediatamente avanzata;

2) INTERNAZIONALISMO

Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, di genere, del territorio è proseguito imperterrito nell’esercizio da parte dei suoi abituali propugnatori, nonostante l’angoscioso “stand by” generale.

Nell’aggiungersi della contraddizione legata alle condizioni sanitarie gli operai delle fabbriche si sono immediatamente ribellati, dimostrando che l’antico senso di rivolta verso le sopraffazioni non è ancora morto.

Non qui è il caso, se non di sfuggita, rilevare il ritardo delle grandi centrali sindacali nell’interpretazione di questo fatto: forse il fatto più importante accaduto nel periodo dell’emergenza.

Appare invece opportuno far notare come, sotto questo aspetto, sia completamente mancato un collegamento a livello internazionale, una capacità di visione che oltrepassasse (come era, invece, facilmente intuibile fosse necessario) i confini, in una comune visione del mondo del lavoro rispetto alla qualità dell’emergenza .

Una comune visione del mondo che ci mettesse tutti in grado di esprimere la necessità di proporre livelli di solidarietà anche nelle proposte di lotte non riservate allo specifico di quel settore o di quella nazione.

Una visione internazionalista (mi scuso del linguaggio d’antan ma il mio limitato vocabolario soggettivo non mi ha suggerito altra espressione) dei diritti dei lavoratori in questa fase emergenziale avrebbe consentito di fornire una ancora diversa capacità di lotta.

Una lezione questa che, nell’idea di ricostruzione a sinistra dovrebbe essere assunta a pieno.

Al di fuori da una visione internazionalista della lotta dei lavoratori non può esistere l’eredità del movimento operaio del ‘900 e di conseguenza non può esistere la sinistra.

3) SOVRANAZIONALITA’

Il tema dell’internazionalismo richiama immediatamente quello della sovranazionalità, della gestione oltre lo “Stato – Nazione” di diverse problematiche in una fase nella quale il sovranismo assume un ruolo molto forte nell’influenza sulle scelte delle politiche pubbliche e sulla capacità di aggregazione del consenso all’interno del sistema.

La globalizzazione si è già arrestata almeno da un paio d’anni rilanciando gli scacchieri della geopolitica e del gioco delle guerre “locali/globali” ma lasciando comunque spazio all’innalzamento del peso complessivo dei processi di finanziarizzazione dell’economia, non si sono fermate le guerre con il carico conseguente del drammatico problema dei migranti, l’ONU ha perso peso e capacità d’intervento, l’Unione Europea ha mostrato la corda del suo fallimento, sono tornate e si sono moltiplicate le chiusure sia sul piano economico che su quello politico.

Il sistema fondato sul “turbocapitalismo” e la finanza sostituta dell’economia ha sicuramente fallito, com’era facilmente prevedibile, mandando in crisi verticale tutte quelle espressioni politiche già progressiste (socialdemocratiche o ex-comuniste post -muro) che avevano cercato di allinearsi al “trend dominante”: dal Labour di Blair al PDS – DS – PD di D’Alema e Veltroni.

Pur tuttavia oggettivamente (considerato anche il quadro complessivo della realtà dell’innovazione tecnologica, in particolare nel campo della comunicazione di massa) il processo di cessione di sovranità da parte dello “Stato – Nazione” è proseguito.

Si rende quindi indispensabile, nel discorso di ricostruzione a sinistra, un ripensamento complessivo del concetto di “sovranazionalità” e di proposta di recupero, in questo senso, di strutture e istituzioni a partire dalla dimensione europea.

In conclusione ho cercato di indicare tre temi che, in questo momento mi appaiono assolutamente evidenti da affrontare sul piano del dibattito all’interno di quel discorso di ricostruzione a sinistra che pure ci auguriamo di poter riprendere al più presto.

Un discorso di ricostruzione a sinistra che dobbiamo intendere di portare avanti soprattutto attraverso l’utilizzo dei tradizionali strumenti di confronto, cui non dobbiamo intendere minimamente rinunciare per cedere all’assoluto predominio di una tecnologia il cui utilizzo possa essere inteso come strumento esaustivo dell’agire sociale e politico.

Rimane evidente come il ritorno dall’emergenza ci imporrà un livello di riflessione politica molto più profondo di quanto non ci si potesse immaginare soltanto qualche mese fa.

FRANCO ASTENGO

17 marzo 2020

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

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