Trenta anni fa moriva Sandro Pertini. Voglio ricordarlo come l’allievo di Turati che condivise il carcere con Antonio Gramsci e che accompagnò Berlinguer nell’ultimo viaggio. Negli anni ’80 non condivise la linea di scontro col Pci di Craxi, “presidente del consiglio, mi voglia consentire questa sincerità: io non sono avversario dei comunisti(…) la rottura con i comunisti è la rottura con il movimento operaio. Desidero che il movimento operaio resti unito”.
Romano Alquati nel suo libro “Camminare per realizzare un sogno comune” ricordava che il movimento operaio italiano fu socialcomunista. Non a caso il turatiano Pertini si definiva socialista ma diceva che di non voler diventare socialdemocratico. Superate le divisioni degli anni venti e trenta, socialisti e comunisti condivisero una comune appartenenza al movimento operaio, il riferimento all’antifascismo, alla Resistenza, la Costituzione come propria conquista da attuare contro le forze reazionarie, l’aspirazione e la lotta per un socialismo democratico.
Entrambi furono partiti originali nel contesto internazionale. Il PCI sviluppò una sua originale elaborazione rispetto all’Urss che ne fece un punto di riferimento per esempio per i dirigenti cecoslovacchi come Dubcek che promossero la Primavera di Praga. Lo stesso PSI fino agli anni ’70 pur al governo con la Dc non rinunciò alla sua identità originaria di formazione anticapitalista e marxista come aveva fatto la socialdemocrazia tedesca. Ed entrambi i partiti rimasero sul piano internazionale dalla parte dei movimenti antimperialisti del Terzo Mondo.
C’era un patrimonio comune di storia e cultura in cui si riconoscevano pur nel pluralismo militanti e elettori che si sentivano compagni. Negli anni ’80-’ 90 questa storia si conclude. Prima il Psi di Craxi, poi l’exPci che diventa Pds abbandonano tutti i caposaldi di quel patrimonio comune. Non solo sul piano culturale ma anche dell’identità di partiti della classe lavoratrice. La caduta dei regimi del cosiddetto “socialismo reale” – da cui i socialisti prima, i comunisti poi si erano esplicitamente distanziati da lungo tempo – fornì la giustificazione per l’abbandono di qualsivoglia ispirazione al socialismo.
Pertini morì quando il movimento operaio e socialista a cui aveva dedicato la vita stava sparendo dalla scena con l’affermarsi del pensiero unico neoliberista.
Nell’ultimo trentennio noi di Rifondazione Comunista e della sinistra radicale abbiamo tentato di tenere viva quella eredità plurale (di cui fanno parte anche i filoni critici della “nuova sinistra” degli anni ’60 e’ 70) con tanti errori e limiti. Ma averci provato non è stato sbagliato.
Il miglior omaggio al compagno Sandro Pertini è l’impegno a non rinunciare alla lotta per “il socialismo nella libertà”.
MAURIZIO ACERBO
Segretario nazionale Rifondazione Comunista