Quanto ai soldi della comunità internazionale, ha aggiunto, il monitoraggio sarà affidato a Stati uniti e Banca mondiale. Abile in conferenza stampa a indorare la pillola, Macron nei suoi incontri con il presidente Aoun, il premier Diab e lo speaker del Parlamento Berri, è stato chiaro: o recuperate la fiducia della gente o dovete farvi da parte. Perché in Libano è partito un altro Great Game mediorientale.
La partita libanese dopo l’esplosione del deposito di nitrato d’ammonio è del tutto cambiata: la posta in gioco non è soltanto la ricostruzione ma il quadro politico-militare che può essere modificato ridimensionando il ruolo di Hezbollah – partito di governo e milizia armata – l’influenza dell’Iran e quella siriana.
L’occasione fa l’uomo ladro. La distruzione del porto di Beirut è il più grave danno strategico inferto a Hezbollah e alla Mezzaluna sciita iraniana, paragonabile in parte a quello portato nel 2019 dai missili degli Houthi yemeniti filo-Teheran agli impianti petroliferi sauditi. Ma è ancora più grave se si pensa che l’Iran è sotto sanzioni, gli Hezbollah pure e Beirut con il porto, le sue banche, le società finanziarie, le assicurazioni, garantisce sbocchi sui mercati e traffici internazionali Un asset che non può essere sostituito dal porto di Latakia in Siria dove Israele bombarda quando vuole sia gli Hezbollah libanesi che i Pasdaran iraniani.
Macron queste cose le sa bene e a Beirut ha pronunciato le parole che volevano sentire gli Usa, Israele, il principe saudita Mohammed Bin Salman, arcinemico di Teheran, e anche la popolazione libanese, inferocita contro i suoi rappresentanti di governo: «Non darò un assegno in bianco a questa classe politica», ha proclamato Macron, sommerso da una folla incollerita che gridava gli slogan delle manifestazioni di piazza dei mesi scorsi.
In poche parole il Libano se vuole gli aiuti internazionali, verrà commissariato. Secondo fonti diplomatiche arabe, dietro le quinte Macron avrebbe chiesto il disarmo degli Hezbollah nella capitale e lasciare alle truppe Onu il controllo dell’aereoporto e del porto. Che poi è quello che chiede Israele. Insomma è chiaro che la devastante esplosione di Beirut viene sfruttata adesso per un tentativo di ridimensionare Hezbollah che nel 2006 aveva resistito all’attacco israeliano e poi partecipato alla guerra civile siriana sostenendo con l’Iran e la Russia il presidente Bashar Assad.
Non è ovviamente prevedibile se le richieste riservate di Macron, appoggiate da Usa, Israele e sauditi, grandi clienti di armamenti francesi, verranno accolte ma il Libano è con l’acqua alla gola, ha grano per un solo mese, elettricità a singhiozzo, 300mila senza casa nella capitale, non può ripagare i debiti e i negoziati per un prestito del Fondo monetario sono in stallo.
Di concreto, per il momento, c’è la richiesta da parte americana e israeliana, che verrà esaminata a fine agosto, di un ampliamento del mandato dell’Unifil, la missione Onu guidata dall’Italia, che dovrebbe moltiplicare i controlli sulle milizie. Si tratta di andare a toccare nervi sensibili e vitali per il movimento sciita libanese.
Ma perché Macron è stato così svelto a piombare come un falco sulle macerie libanesi? C’è ovviamente il tradizionale ruolo della Francia ex potenza coloniale, il compito che si è assunta Parigi di garante degli aiuti internazionali, l’appoggio francese alla famiglia Hariri legata mani e piedi all’Arabia Saudita. Inoltre la Francia vuole la sua fetta di torta di forniture civili ma anche militari per rafforzare l’esangue esercito libanese da contrapporre alle milizie sciite.
Ma c’è anche dell’altro, la partita strategica nel Mediterraneo e la creazione di una nuove alleanze anti-turche. Anche il Libano rientra in questo quadro. La Francia si scontra con Ankara in Libia, dove finora ha sostenuto il generale Haftar, ha un contenzioso aperto – come del resto pure l’Italia – per lo sfruttamento delle risorse energetiche offshore nell’Egeo. Erdogan è dunque un rivale contro il quale creare alleanze alternative. Non solo Erdogan è anche il grande protettore dei Fratelli Musulmani, detestati dall’Arabia Saudita con cui la Francia ha enormi affari bellici. Macron così sponsorizza un asse composto da Grecia, Egitto, Cipro e Israele che comprende anche la realizzazione del gasdotto EastMed per costituire un blocco di interessi del fronte anti-Ankara.
Il Libano fa parte di questo sistema “alla francese” e non è un caso che Beirut abbia affidato l’esplorazione offshore di gas e petrolio a un consorzio capeggiato dalla francese Total con l’Eni e la russa Novatek.
Il piano di salvataggio del Libano, prima della deflagrazione al porto, era stimato 10-15 miliardi di dollari, oggi è molto di più. Lo capisce anche un bambino che è un piatto troppo ricco per lasciarlo a Hezbollah e ai loro alleati iraniani: ecco perché a Beirut è arrivato il “commissario” Macron.
ALBERTO NEGRI
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