Trentamila studenti in Belgio. Dodicimila in venticinque città tedesche. Sit-in più o meno partecipati in Irlanda, Gran Bretagna, Svezia, Svizzera e Australia. Sono i numeri del ventitreesimo #FridaysForFuture, la protesta lanciata il 20 agosto scorso da Greta Thunberg.
Quel giorno la sedicenne svedese decise di fare qualcosa contro il cambiamento climatico e invece di andare a scuola si piazzò davanti al parlamento di Stoccolma armata di un cartello: «Skolstrejk för klimat». Sciopero della scuola per il clima.
I suoi argomenti sembrano aver convinto migliaia di giovanissimi che in giro per il mondo protestano da settimane per fare pressione sui governi dei rispettivi paesi affinché agiscano subito per salvare il pianeta.
A fine gennaio Greta è intervenuta al World economic forum di Davos: «Voglio che vi muoviate come nel bel mezzo di una crisi. Come se la vostra casa stesse bruciando. Perché sta bruciando». Le parole di buon senso della ragazza devono essere suonate come quelle di una marziana nel consesso degli uomini più potenti della terra, responsabili del disastro ambientale che stiamo vivendo. «Parlate solo di andare avanti con le stesse cattive idee che ci hanno portato in questo casino anche quando l’unica cosa sensata sarebbe tirare il freno di emergenza. Non siete abbastanza maturi per dire le cose come stanno» ha attaccato la sedicenne.
I «Venerdì per il futuro» sono arrivati da qualche settimana anche in Italia. Ieri si sono tenuti presidi in diverse città: Taranto, Roma, Pisa, Genova, Bologna, Venezia, Brescia e Milano. Nonostante numeri molto più contenuti rispetto alle mobilitazioni tedesche e belghe, l’idea della persistenza della mobilitazione convince attiviste e attivisti di essere sulla strada giusta.
A Roma è stato il terzo appuntamento davanti Montecitorio. «Eravamo solo una cinquantina – racconta Giulia – Ma la prima volta c’erano 10 persone e la seconda 30. E poi sono aumentate le piazze nelle altre città. Significa che anche qui sta crescendo qualcosa». «Forse è giunto il momento buono per farsi sentire» ha scritto su Facebook Luca Mercalli in sostegno alla protesta.
Nel frattempo le politiche neoliberali e i grandi interessi economico-finanziari stanno trainando il pianeta verso il disastro a velocità sempre più elevate. Secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni unite (Ipcc) fermare il surriscaldamento globale a +1,5 gradi rispetto all’era preindustriale è una condizione necessaria per evitare conseguenze che metterebbero a rischio la vita umana. Si tratta di uno degli obiettivi degli accordi di Parigi che però, dopo il fallimento della Cop24 sul clima svoltasi a dicembre in Polonia, appaiono sempre più lontani. Del resto, il montante negazionismo climatico sbandierato dai vari Trump, Bolsonaro e Salvini non lascia presagire nulla di buono.
La determinazione di migliaia di giovani in tutto il mondo, però, dimostra che qualcosa si muove e che per le nuove generazioni la cura dell’ambiente è un tema particolarmente sentito. Il 15 febbraio in Gran Bretagna gli studenti delle scuole sciopereranno «per l’azione climatica». Un mese dopo lo «School strike 4 climate change» diventerà una marcia globale. Migliaia di adolescenti guideranno la speranza di un futuro su questo pianeta.
GIANSANDRO MERLI
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