E’ sempre più difficile trovare qualcosa di inedito sul grande schermo. In oltre un secolo di vita al cinema si è visto davvero di tutto: dai primi frammenti video dei fratelli Lumière alle avanguardie europee, dal montaggio di Griffith agli effetti speciali, dal muto al sonoro, dal bianco e nero al tridimensionale passando per il colore e l’alta definizione. Dai cartoni animati realizzati prima a mano poi digitalmente agli attori ricreati al computer.
Ma il 23 dicembre del 2001, nell’Ermitage di San Pietroburgo, il regista Aleksandr Sokurov e la sua troupe realizzarono un film come mai era stato fatto prima. Alle 12.35 ci fu il primo e unico ciak. Arca russa (2002) venne infatti girato in un’unica sequenza, senza tagli e montaggio.
Sokurov (Podorvicha, 14 giugno 1951), uno dei più rigorosi e più sperimentali cineasti del ventunesimo secolo, dopo aver lavorato come documentarista, si diplomò nel 1979 alla scuola nazionale di cinema di Mosca VGIK (Università statale pan-russa di cinematografia). Lì conobbe e diventò amico di un altro grande regista russo Andrej Tarkovskij, il cui lavoro, però, venne spesso osteggiato dal Governo dell’URSS.
La stagione del Realismo sovietico, infatti, era finita da decenni e un film che si limitava a fornire una visione realistica della realtà, mettendone in evidenza i problemi, era considerato di per sé sovversivo. Le visioni più intimiste e meno collettive, le digressioni oniriche e le atmosfere dalla forte valenza simbolica che Tarkovskij portava sul grande schermo erano inaccettabili. Perfino il suo Andrej Rublëv (1966) per anni non venne diffuso per ragioni sconosciute, e nel 1980, complice anche l’amicizia col poeta e sceneggiatore Tonino Guerra, Tarkovskij si trasferì in Italia, dove stava girando Nostalghia (1983), e non fece più ritorno in Patria.
Prima che Andrej Tarkovskij abbandonasse l’URSS l’idea di un film “senza stacchi” fu spesso al centro delle chiacchierate tra i due registi russi, ma il progetto venne abbandonato per mancanza di fondi e per i troppi problemi tecnici. Sokurov non si scoraggiò e attese l’arrivo di nuovi mezzi tecnici. Girare un piano sequenza di qualche minuto era possibile, ma il cineasta pensava ad un lungometraggio. Il regista, per realizzare un’ora e mezza di film, dopo aver visitato più volte la Sony in Giappone, dovette attendere diversi anni.
Non meno difficile fu convincere i produttori per i quali finanziare un film in costume, in parte storico, realizzato in un museo e senza montaggio era pura follia. Fu, invece più semplice ottenere l’Ermitage anche se, come ovvio, le prove potevano essere fatte solo nel giorno di chiusura del celebre museo già residenza degli zar.
L’ultimo ostacolo di Zokurov fu quello di trovare un operatore capace di reggere per la durata del film la videocamera digitale Sony 24P-HD da 24 fotogrammi al secondo (la stessa usata da George Lucas per la “Trilogia prequel” di Star Wars) del peso di 12 kg. Alla fine il regista scelse il tedesco Tilman Büttner che, dopo due mesi di palestra, fu pronto per la ripresa. Organizzati negli spazi del museo i camerini per le centinaia di comparse e le luci, tutto era pronto per girare Arca russa.
Nel film, che in un primo tempo si sarebbe potuto chiamare Waterloo, un uomo del nostro secolo (la cui voce in originale è quella dello stesso Sokurov) si ritrova all’Ermitage di San Pietroburgo. E’ invisibile a tutti (anche allo spettatore) fuorché ad un burbero intellettuale tedesco dell’Ottocento, interpretato dall’attore Sergej Drejden, che lo accompagna nelle sfarzose stanze del palazzo. Il visitatore, incrociando arte e storia, presente e passato, è testimone di eventi che si svolgono in epoche diverse: vede Pietro il Grande, Caterina di Russia e gli ultimi zar, ma vede anche i turisti contemporanei che visitano l’Ermitage. Alla fine partecipa ad un gran ballo di fine Ottocento e scopre che il palazzo galleggia in un mare per l’eternità (“Dovremo navigare per sempre e vivere per sempre”).
Per realizzare il film ci vollero quattro mesi di lavorazione e due tentativi per riuscire ad effettuare quell’unica storica ripresa. Una messa in scena da kolossal, 3000 comparse coordinate con tempismo impressionante, 3 orchestre, 22 assistenti alla regia, per “riflettere, con accenti apocalittici, sulla fine della Storia e la memoria della cultura russa (e dell’intero Occidente). Il risultato è stato criticato per una certa nostalgia che può apparire reazionaria e antistorica, ma è così grandioso e ambizioso da suscitare ammirazione” (Mereghetti).
Arca russa venne quindi trasferito dall’hard disk alla pellicola perché, come sostenne Sokurov al Festival del film di Locarno nel 2013 “Se c’è la possibilità di vedere un film in pellicola usatela, su pellicola un film mantiene la qualità della vita” e fu presentato, senza grande successo, al Festival di Cannes del 2002.
Qualche anno dopo la realizzazione di Arca russa, anche in Italia venne girato un film in un unico piano sequenza. Il regista Salvatore Maira, con meno fondi, ma con eguale determinazione rispetto a Sokurov, girò Valzer (2007) interpretato da Maurizio Micheli e Valeria Solarino, che racconta il malaffare dei nostri tempi.
Arca russa non è certo l’unico grande e innovativo film di Sokurov. Del 1997 è Madre e figlio caratterizzato dalla scarsissima quantità di dialoghi e dai colori dell’arte romantica tedesca del XIX secolo. La pellicola fa parte di una trilogia sui rapporti familiari, tutt’ora incompiuta, che comprende anche Padre e figlio (2003).
Monumentale è la tetralogia sul potere costituita da: Moloch (1999) sugli ultimi giorni di Adolf Hitler reso mostruoso e insieme piccolo, ridicolo e meschino dalla magistrale interpretazione di Leonid Mozgovoi (probabilmente il miglior Führer sul grande schermo), Toro (2000) uno dei pochi film su Lenin (inedito in Italia), Il sole (2005) sull’Imperatore Hirohito e Faust (2011) in cui Sokurov rilegge l’opera omonima di Johann Wolfgang von Goethe. La pellicola valse al regista il Leone d’oro alla 68ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Più recentemente Sokurov è tornato in un museo per girare Francofonia (2015) che racconta l’occupazione nazista del Louvre. Ma l’attività del cineasta russo è tutt’altro che conclusa e vi suggerisco di seguirla, anche perché ha recentemente dichiarato: “Sto riflettendo sul prossimo lungometraggio, forse da fare in Italia”. Pare sulla Divina Commedia.
Tornando ad Arca russa, il documentario In One Breath: Alexander Sokurov’s Russian Ark (2003) di Knut Elstermann racconta e testimonia gli ultimi momenti delle riprese e coglie le lacrime di gioia della troupe e del regista: si era fatta la storia. Mai prima d’ora era stata compiuta una tale impresa e qualcosa di completamente nuovo entrava prepotentemente nella storia del cinema.
redazionale
Bibliografia
“Osservare l’incanto. Il cinema e l’arte di Aleksandr Sokurov” di Denis Brotto – Ente dello Spettacolo
“I corpi del potere. Il cinema di Aleksandr Sokurov” di Mario Pezzella e Antonio Tricomi – Jaca Book
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2014” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi