Sarà pure opinabile che il capo dei mercenari Wagner, Yevgeny Prigozhin, abbia davvero proposto – con le stesse espressioni riportate dai media – a Putin di fermare la guerra in Ucraina. Intanto traspare dalle sue parole e dalla sua «postura» il timore evidente di un conflitto infinito per la tenuta della leadership di Mosca.
Ma è assai certo che dall’altra parte dell’Atlantico si sollevano forti dubbi se sia il caso di continuare una guerra dove le perdite stanno diventando una catastrofe, con la barbarie dei russi che evocano quanto si è visto nei Balcani e con l’Isis in Medio Oriente, mentre le distruzioni belliche hanno messo in ginocchio le risorse ucraine.
Secondo la prestigiosa rivista americana Foreing Affairs: Stati uniti ed Europa devono sostenere la sovranità dall’Ucraina ma questo obiettivo non implica di recuperare, a breve termine, il controllo di Crimea e Donbass.
L’Occidente e l’Ucraina, scrivono Richard Haass and Charles Kupchan, diplomatici di rilievo dei governi americani, hanno già raggiunto il loro obiettivo respingendo il tentativo della Russia di soggiogare il Paese e attuare un cambio di regime. Mosca ha incassato una sconfitta strategica e anche gli altri Stati revisionisti (dei confini) hanno compreso che la conquista militare può diventare assai costosa e potenzialmente fallimentare.
Stati Uniti ed Europa hanno alcune buone ragioni per abbandonare la loro politica dichiarata di sostenere l’Ucraina per «tutto il tempo necessario», come ha affermato il presidente Biden. Da una parte è fondamentale ridurre al minimo i guadagni territoriali russi e dimostrare che l’aggressività non paga ma questo obiettivo deve essere commisurato ad altre priorità.
La realtà è che il supporto su larga scala e incondizionato nel tempo a Kiev comporta notevoli rischi strategici. La guerra sta erodendo la prontezza militare dell’Occidente ed esaurisce le sue scorte di armi, mentre l’industria bellica non tiene il passo con le necessità dell’Ucraina di mezzi e munizioni.
Argomenti per altro già illustrati dal capo di stato maggiore americano Mark Milley in un’intervista al Financial Times del febbraio scorso e comparsi anche nei famosi “leaks” del Pentagono trafugati da un giovane riservista dell’esercito. Ma è anche lo scenario internazionale che si sta complicando a sollevare dubbi sulla tenuta occidentale.
Se il conflitto prosegue a lungo si moltiplicano i rischi per i Paesi della Nato di uno scontro diretto con la Russia mentre gli Stati uniti devono prepararsi a una potenziale azione militare in Asia per scoraggiare o rispondere a qualsiasi mossa cinese contro Taiwan e in Medio Oriente (contro l’Iran o reti terroristiche). E il Medio Oriente non sta mandando segnali positivi a Biden con gli accordi tra Arabia saudita e Iran, il ritorno di Assad, alleato di Mosca, nel grembo arabo, le ambiguità di un Egitto tentato in difficili equilibri tra l’Occidente e la cooperazione con Mosca.
La guerra – nota Foreign Affairs – sta imponendo costi elevati anche all’economia mondiale. Ha interrotto le catene di approvvigionamento, contribuendo all’inflazione elevata, al rialzo dei prezzi energetici (il petrolio potrebbe arrivare a 100 dollari a fine 2023 secondo Goldman Sachs) mentre i Paesi del Sud del mondo risentono in modo drammatico della carenza di cibo: l’export di grano di Russia e Ucraina rappresenta il 12% delle calorie mondiali e Mosca fornisce all’Africa il 50% dei fertilizzanti. Disordini politici e instabilità sono all’ordine del giorno.
La guerra sta polarizzando pericolosamente il sistema internazionale. Con la rivalità geopolitica tra l’Occidente e l’asse cinese-russo (Brics compresi) si accentua il ritorno a un mondo diviso in blocchi dove la maggior parte del globo preferisce il non allineamento piuttosto che rimanere intrappolato in una nuova era di scontro Est-Ovest. Due terzi dell’umanità, inutile sottolinearlo, vive in stati che non hanno messo sanzioni a Mosca.
In questo contesto né l’Ucraina né i suoi sostenitori della Nato possono pensare che l’unità occidentale sia immutabile. La determinazione americana è cruciale per alimentare quella europea e Washington deve affrontare un aumento di pressioni politiche per ridurre la spesa mentre e ora che i repubblicani controllano le Camere sarà più difficile per l’amministrazione Biden garantire consistenti pacchetti di aiuti per Ucraina. La politica nei confronti dell’Ucraina, con le elezioni presidenziali del 2024 alle porte, potrebbe cambiare.
Ed ecco quello che Foreign Affairs definisce il Piano B, alternativo a una «vittoria totale» che appariva già improbabile mesi fa. Data la traiettoria della guerra, gli Usa la Nato devono iniziare a formulare un finale di partita diplomatico sin da ora. Anche se si intensifica il sostegno a una controffensiva ucraina, Washington dovrebbe avviare consultazioni con i suoi partner europei e con Kiev per un’iniziativa diplomatica da lanciare nel corso dell’anno.
In poche parole si tratta di proporre un cessate il fuoco in cui Ucraina e Russia ritirerebbero le loro truppe e le armi pesanti da una nuova linea di contatto creando una zona smilitarizzata monitorata dall’Onu o dall’Osce.
Per rendere efficace la tregua, l’Occidente dovrebbe rivolgersi ad altri paesi influenti, tra cui Cina e India: certo tutto questo complica le trattative diplomatiche ma aumenterebbero le pressioni sul Cremlino. Supponendo che un cessate il fuoco regga, dovrebbero seguire colloqui di pace su due binari: uno tra Russia e Ucraina con mediatori internazionali, l’altro tra Nato e Russia per un dialogo strategico sul controllo degli armamenti.
Questo approccio può essere troppo per alcuni e non abbastanza per altri. Ma a differenza delle alternative e di un massacro senza fine, ha il vantaggio, secondo i suoi ispiratori di oltreatlantico, di fondere ciò che è desiderabile con quanto è realmente fattibile.
ALBERTO NEGRI
Foto di Jakson Martins