Euro 2020, Danimarca versus Finlandia. Christian Eriksen finisce a terra. Arresto cardiaco. I compagni i squadra accorrono, lo soccorrono. Gli praticano il massaggio cardiaco prima ancora dei medici. Gli fanno cordone attorno. Per proteggerlo dagli sguardi non tanto dei tifosi presenti ma dei media, che fagocitano tutto, che sono onnivori di immagini, di scatti rubati, di gioia ma, sopratutto, di dolore.
La gioia non fa notizia. Il dolore sì. Il dramma in diretta poi è una delizia… Ed allora quei giocatori in piedi, che si prendono per mano, che piangono e che sono frastornati, sono il simbolo migliore di una umanità che nei momenti tragici, quelli che possono colpire chiunque di noi, viene a mostrarsi in tutta la sua evidente forza solidale. Una catena umana, un cerchio della vita, un cordone ombelicale dell’amicizia e della fraternità reciproca.
Una empatia straordianaria: forse sarà lo spirito di squadra. Forse anche. Forse un po’. Ma, in tutta probabilità, è un sentimento ancestrale, troppe volte recondito e nascosto per una sorta di pudore dettato dalla vergogna del mostrarsi pienamente umani: fatti di quelle lacrime che sono acqua salata, che sono la vita che ci pervade in tutto il nostro corpo.
Ad iniziare da quel cuore, simbolicamente. Un cuore che cessa di battere, ma che rivive grazie alla prontezza dei sentimenti e delle mani la veicolano, premendo sul petto e la trasmettono all’amico che è a terra.
A Christian Eriksen i più grandi auguri di pronta guarigione e ai giocatori della Danimarca un plauso speciale.
(m.s.)
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