Il cavallo di governo alle corse: su chi punta la borghesia?

Su quale cavallo di governo sta scommettendo il padronato? Perdonerete la domanda un po’ “retrò” ma ad un marxista questi cui prodest vengono sempre in mente se si parla...

Su quale cavallo di governo sta scommettendo il padronato? Perdonerete la domanda un po’ “retrò” ma ad un marxista questi cui prodest vengono sempre in mente se si parla di un cambio di esecutivo e, quindi, di un avvicendamento a Palazzo Chigi.
Leggendo “Il Sole 24 Ore” parrebbe che per ora anche gli editorialisti del quotidiano di Confindustria sono in attesa degli eventi: nessuno si sbilancia troppo. Si ritrovano per di più solo scritti in forma di cronaca piuttosto che ipotesi sulla formazione del governo.
Del resto è anche abbastanza comprensibile, perché le consultazioni del Presidente della Repubblica inizieranno soltanto il 3 aprile e in dieci giorni ne possono accadere di cotte e di crude sotto il cielo di Roma.
Ma se vogliamo tentare di capire più in generale uno schema di alleanze politiche che rappresenti gli interessi della classe borghese, dobbiamo anzitutto riferirci a quanto è accaduto in queste ultime ore e ai messaggi lanciati con l’elezione di Elisabetta Casellati al Senato della Repubblica e Roberto Fico alla Camera dei Deputati. Stabilità e innovazione: Forza Italia e Movimento 5 Stelle ottengono la presidenza delle Camere ma sono proprio i vecchi due architravi delle politiche liberiste di questi decenni che crollano sotto il peso di nuove egemonie e nuove guide negli schieramenti rimasti.
Berlusconi non ha più carte da giocare e in questi giorni sarà certamente Salvini il protagonista del Centrodestra che tenterà di muoversi su due fronti: recuperare il rapporto con tutti gli alleati di tornata elettorale per arrivare a presentarsi lui, da solo, al Quirinale e trattare poi con Luigi Di Maio.
D’altro canto, il PD è al suo minimo storico anche per quanto concerne il ruolo di forza politica istituzionale: pur avendo sei milioni di voti, ha rinunciato a qualunque battaglia per ottenere uno spazio, un margine di azione nella lotta per le investiture delle due più alte cariche dello Stato dopo Mattarella.
E’ evidente che se un punto di certezza esiste in tutta questa vicenda è certamente il cambio di cavallo che la borghesia imprenditoriale ha operato abbandonando al suo destino non solo Renzi ma l’intero Partito democratico che si percepisce esso stesso come aventiniano, senza alcun protagonismo da esibire anche con millanteria, bluffando… Ma bluffare è possibile se si hanno poi veramente idee e proposte alternative da far contare sul tavolo delle trattative. Invece, il PD ha votato dei candidati di bandiera e non ha nemmeno osato proporre Emma Bonino come donna alternativa alla berlusconiana Casellati.
La solidità del patto tra Lega e Movimento 5 Stelle, dunque, ha retto in entrambi i rami del Parlamento e nei prossimi giorni comprenderemo se si è trattato di un prodromo di una futura alleanza di governo o se invece Di Maio e Grillo giocano su due fronti: prima una partita in alleanza con una parte del centrodestra per la presidenza della Camere e poi una con parte del fu Centrosinistra per la seconda parte del film che invece riguarda Palazzo Chigi.
Non c’è dubbio che il mondo imprenditoriale guardi ai Cinquestelle per avere una rassicurazione sulla stabilità di governo e su quella necessaria governabilità per continuare nel solco di politiche di protezione del regime dei profitti a tutti i costi.
Del resto nessuno si illuda: i Cinquestelle non sono una forza riformista, nemmeno lontanamente vicina a posizioni economiche di sinistra, pronti a mettere in campo riforme di struttura. Sono quel che serve all’Italia per non capire da che parte voltarsi, per trovare una pace sociale accettata dagli sfruttati sotto lo slogan ritmico di: “Onestà! Onestà!”, mentre si proverà a realizzare qualche programma più che altro di campagna elettorale invece che di campagna politica di inizio legislatura.
Un governo con la Lega di Salvini li metterebbe alla berlina di un elettorato che in larghissima parte è trasmigrato da zone più o meno vagamente di sinistra: tanto da quelle della vecchia sinistra vera quanto a da quelle del centrosinistra democratico-renziano.
Un governo con il PD finirebbe per essere meno inviso all’elettorato ma poco opportuno sul piano della realizzazione di punti di programma che, indubbiamente, trovano più contatti con certi temi proposti da settori del Centrodestra come la Lega.
Quindi il rebus è tutto da risolvere, anche se alcuni tasselli sono andati a posto.
In tutto ciò la residualità della sinistra di alternativa è palese, confessabilissima e priva di ogni interpretazione possibile: lo è tanto quella di Liberi e Uguali dai pochi seggi conquistati quanto quella di Potere al Popolo! che è rimasto fuori dalle aule parlamentari.
Qui le disposizioni d’animo e di volontà sono due: attendere che passi lungo il fiume il prossimo cadavere della forza politica che sbatte il muso contro i tanti compromessi che il potere impone oppure attrezzarsi per mettere in campo già alle elezioni europee prossime una forza di sinistra che riunisca sotto un progetto antiliberista tutte e tutti coloro che offrono una visione della società rovesciata rispetto a quella in cui viviamo.
In fondo è abbastanza semplice individuare un minimo comune denominatore. Difficile è renderlo un valore, un elemento dirimente su cui impostare un lavoro di coesione attorno a pochi punti che creino unità tra centri sociali, movimenti, partiti e lotte sindacali per salvare ciò che resta della residuale sinistra di alternativa e proiettarla nel campo della politica e della società come elemento di ulteriore scelta davanti allo spettacolo uniforme dato in questi giorni da forze considerate rivoluzionarie solo perché propongono ciò che dovrebbe essere dato per scontato: l’onestà al potere.

MARCO SFERINI

25 marzo 2018

foto tratta da Pixabay

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