Negli Stati Uniti l’opinione pubblica e i media si spaccano sul prospettato abbandono da parte della Corte Suprema di Roe v. Wade (1973), che iscriveva la scelta della donna di porre fine alla gravidanza tra i diritti costituzionalmente garantiti a livello federale. I pro-choice e i pro-life si fronteggiano, armi in pugno.

Tecnicamente, il punto in discussione è se la materia debba essere di competenza statale. Alcuni stati (blue states, conservatori) hanno adottato leggi fortemente limitative dell’aborto, o intendono farlo. L’equilibrio attuale nella composizione della Corte – spostato a destra dalle nomine di Trump – apre a un disco verde per limiti e divieti degli stati. Da questo punto di vista la questione non ci riguarda. Ma ci può comunque per altro verso interessare.

È filtrata alla stampa una bozza preliminare di opinione di maggioranza stilata dal giudice Alito, che sancisce l’inversione di rotta. Per quanto so, non era mai accaduto.

La Corte fisiologicamente si divide tra maggioranza e minoranza, e il contrasto è pubblico nella decisione finale. Ma non si fa circolare una opinione ancora in formazione, evidentemente al fine di sollecitare l’opinione pubblica e condizionare in qualche modo l’esito in Corte. Ma forse anche le supreme corti si adattano al tempo in cui tutto è comunicazione. Ricorderemo, ad esempio, nell’imminenza della pronuncia sul referendum per l’omicidio del consenziente, la notizia della visita del presidente Amato agli assistenti per sollecitare una giusta e bene orientata attenzione, poi forse non concessa: anche quella una prima assoluta. Ricordiamo, altresì, la sua conferenza stampa che dopo la decisione giustificava la inammissibilità, e parallelamente condannava la iniziativa dei referendari.

Ma veniamo al merito.

Il giudice Alito usa parole durissime verso la Corte del 1973: “Roe era straordinariamente sbagliato (egregiously wrong) dall’inizio. Il suo ragionamento era eccezionalmente debole, e la decisione ha avuto conseguenze dannose”. Non è un esercizio nell’arte del distinguishing, cioè di allontanarsi da un precedente non condiviso facendo perno sulle differenze rispetto alla fattispecie in esame. È una condanna senza appello, e una vittoria senza se e senza ma dei pro-life. “La Costituzione e la rule of law” richiedono che divieti e limiti per l’aborto siano decisi dal popolo sovrano attraverso il voto.

È proprio qui la radicalità: nel negare che sia riconosciuto alla donna, in qualsivoglia misura o modalità, un diritto costituzionalmente protetto di decidere.

Non pochi temono che una Corte troppo sbilanciata a destra possa invertire la rotta su altri temi controversi, come il divieto di aborto anche in caso di violenza o di incesto, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, le adozioni, l’utero in affitto, i transgender, o persino la contraccezione.

Roe v. Wade fu criticato anche da giuristi liberal. Ma non sul principio in sé del diritto della donna, quanto sul modello scandito per trimestri che la Corte aveva costruito nella pronuncia. Nel primo la donna era libera di abortire. Nel secondo la legge statale poteva disciplinare – ma non vietare – l’aborto nell’interesse della salute della madre. Nel terzo il feto diventava vitale (viable) e il legislatore poteva vietare o disciplinare l’aborto nell’interesse del feto, salvo che per tutelare la salute della madre. Per alcuni, un modello troppo esteso a dettagli da lasciare al legislatore.

Un giudice di costituzionalità non dovrebbe mai dimenticare che il suo core business è la difesa dei diritti della persona contro il potere. Vale anche per noi. La articolata casistica nella pronuncia della Corte costituzionale sul suicidio assistito è non meno criticabile della filosofia dei trimestri in Roe v. Wade. La pronuncia di inammissibilità del referendum sull’omicidio del consenziente individua una tutela minima costituzionalmente necessaria del bene vita. A cosa potrebbe in astratto giungere una siffatta tutela, come fondamento giustificativo di leggi restrittive e liberticide?

Diritti e libertà, per quanto fondamentali, non si possono mai ritenere definitivamente acquisiti e sottratti agli attacchi del potere costituito espresso dal legislatore, verso il quale ogni giudice di costituzionalità ha una relativa debolezza nella mancanza di rappresentatività. A quel giudice non deve mancare il supporto anche critico di una opinione pubblica e di una politica attente e consapevoli.

MASSIMO VILLONE

da il manifesto.it

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