Ieri è stata discussa a Firenze una ricerca sugli effetti della legislazione antidroga sul carcere, condotta in cinque Istituti della Toscana. Dieci anni fa, la Fondazione Michelucci e l’associazione Forum Droghe condussero con il patrocinio della Regione Toscana una ricerca nelle carceri toscane per conoscere più a fondo il peso della legislazione antidroga, e in particolare il peso dei reati minori di droga (l’art. 73 sulla detenzione e il piccolo spaccio), pubblicata con il titolo «Lotta alla droga. I danno collaterali».
Il risultato fu clamoroso: da un’indagine in profondità emerse che quasi la metà dei detenuti per violazione della legge sulla droga era rinchiusa per reati di lieve entità. Emerse anche che le previsioni per attenuare la punizione nei casi meno gravi ( di «lieve entità») erano sostanzialmente vanificate dal bilanciamento fra aggravanti e attenuanti. Più grave, l’imputazione generica per l’art.73 permetteva l’arresto e la custodia cautelare, in attesa di verificare nel processo la «lieve entità».
Venne avanzata la richiesta di modificare il comma 5 dell’art. 73, da attenuante a fattispecie autonoma. Per raggiungere questo obiettivo si dovette attendere il 2014; il quadro normativo e l’iter completo si può consultare nel fascicolo «La droga in carcere: fatti e misfatti. Gli approfondimenti del garante», edito nel novembre 2015.
Il risultato della ricerca confermava l’assunto alla base dello studio, cioè la stretta relazione tra la penalizzazione dell’uso di droghe e il sovraffollamento carcerario. Si trattava anche di un primo tentativo di valutazione delle politiche penali e un passo verso un approccio scientifico al tema droga come indicava l’Introduzione di Grazia Zuffa.
L’Ufficio del garante ha ritenuto opportuno riprendere dopo tanti anni e dopo le modifiche, seppure parziali, della legislazione l’approfondimento del problema scavando su un punto specifico e cioè il peso del comma 5, relativo ai fatti di lieve entità, negli arresti e nelle condanne e quindi nel carcere.
Una ricerca qualitativa che si è rivelata assai difficile. Pesa l’opacità dei dati ufficiali riferiti all’ articolo 73, che compare senza distinzione dei commi 1, 4 e 5 nei documenti delle matricole del carcere e nelle rilevazioni delle cancellerie dei tribunali.
Ciò in concreto significa non avere la possibilità di distinguere fra traffico, spaccio di rilevante consistenza, piccolo spaccio, cessione e semplice detenzione.
Ci sono altri risultati da segnalare. In primo luogo, si riconfermano le gravi lacune dei dati, anche sui motivi dell’uscita dal carcere che non vengono neppure registrati (perciò si ignora se le persone escano per fine pena, per scadenza dei termini di custodia cautelare o per misure alternative).
Inoltre, compare la grave discrepanza tra le norme e la loro applicazione. Troppi casi lievi, relativi al quinto comma dell’art. 73, che non dovrebbero entrare in carcere, subiscono questo destino.
Clamoroso è il dato del peso straordinario dei reati di droga sul carcere rispetto ai delitti contro il patrimonio, la persona o la pubblica amministrazione. Ogni due processi per droga vi è una condanna, mentre per i reati contro la persona e contro il patrimonio vi è una condanna ogni dieci processi. Questa piramide rovesciata merita una riflessione.
Ancora più clamoroso il dato dell’indagine particolare sulla Corte d’Appello di Firenze: le condanne relative al comma 5 dell’art. 73 sono esplose dal 25% nel 2013 al 49% nel 2017; in cifre assolute da 145 a 943.
Una conclusione si impone. La politica deve riprendere il proprio ruolo e procedere a scelte strategiche. In primo luogo rendendo il comma 5 dell’art. 73 del Dpr 309/90 un articolo autonomo.
Da questa ricerca si acquisiscono preziosi elementi per un dibattito sulla politica delle droghe fondato su fatti e non su miti.
FRANCO CORLEONE
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