«Mai più» è «il grido che si eleva dai morti ai vivi» con la pretesa di «condizionare il futuro». È la voce di chi è caduto nella Resistenza, deidesaparecidos, di chi ha combattuto le potenze coloniali, delle vittime dell’odio etnico e razzista. Un urlo che attraverso il diritto «acquista valore giuridico» e, di conseguenza, «forza performativa sul corpo sociale».
I modi per farlo sono molteplici, e tutt’altro che privi di insidie e contraddizioni, come illustra efficacemente la costituzionalista Anna Mastromarino nel suo Stato e Memoria. Studio di diritto comparato (Franco Angeli, pp. 224, euro 30). Le «commissioni per la verità» e i musei, le leggi anti-negazionismo e la toponomastica delle città, i processi penali e le festività civili, le vie attraverso le quali i poteri pubblici democratici intervengono sul passato dovrebbero tutte condurre al medesimo fine: l’adesione dei cittadini al sistema di valori delle costituzioni fondate sul rispetto della dignità umana.
Un obiettivo politico e «pedagogico» legittimo, anzi doveroso, come chiarisce l’autrice. Ogni contesto, tuttavia, suggerisce soluzioni più opportune di altre, più efficaci in quanto non meramente impositive, ma capaci di autentica «integrazione». E ogni situazione nasconde possibili derive, come una certa spettacolarizzazione e commercializzazione (disneyficazione) dei luoghi della memoria, in cui il campo di sterminio è inserito all’interno dei pacchetti dei tour operator come fosse un’attrazione qualsiasi. O come il proliferare dei «giorni» attraverso cui specifici gruppi di vittime sembrano disputarsi visibilità pubblica, al di fuori di una comune narrazione.
Non ci si deve sottrarre, dunque, al vaglio critico delle scelte concrete che compie anche «lo Stato» con le migliori intenzioni, lo mostrano la confusa vicenda del «museo del fascismo» a Predappio o l’ineffettualità della Ley de memoria histórica che volle il governo spagnolo guidato da José Luis Zapatero, in cui «manca del tutto la storia e pertanto manca la possibilità di fare memoria».
Né si deve dare per scontato che le leggi di amnistia siano sempre da rifiutare, perché a volte l’azione penale è un corsetto troppo stretto per le esigenze di una società in transizione da una condizione di conflitto a una di pace.
È dunque un lavoro utile e meritorio, quello di Mastromarino, non solo in quanto è assai raro che i giuristi – in Italia – affrontino in modo sistematico le «politiche del passato», ma anche perché vi trova il giusto spazio la vasta elaborazione prodotta in altri campi del sapere, dalla filosofia alla sociologia, dalla storiografia all’antropologia. Econ uno sguardo che, opportunamente, si sofferma a lungo sul laboratorio forse più interessante in cui diritto e memoria si sono incontrati, l’America latina, dove l’attivismo giudiziario della Corte interamericana dei diritti umani incrocia la pratiche di ricerca della verità dopo le dittature e i crimini di massa. È lì che il grido Nunca mas! si è sentito più forte.
JACOPO ROSATELLI
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