Il Budapest Pride alla resa dei conti con il governo Orbán

La rubrica settimanale sui sovranismi dell'Est Europa. A cura di Massimo Congiu

Nell’Ungheria di Viktor Orbán la comunità Lgbtq+ si trova di fronte a una nuova stretta che stavolta assume la forma del divieto di tenere il Pride. La proposta è stata approvata giorni fa dalla maggioranza al potere in un parlamento che non ha fatto mancare segni di dissenso. Infatti i deputati del partito di opposizione Momentum hanno sparato fumogeni in aula per protesta.

Ma andiamo con ordine: la nuova legge contro il Pride modifica quella esistente per considerare reato l’organizzazione o la partecipazione a manifestazioni e iniziative che violino le norme esistenti in Ungheria sulla “protezione dell’infanzia”.

Norme che vietano di trattare in luoghi pubblici, o comunque alla presenza di minori, per esempio nelle scuole, il tema dell’omosessualità. Questo argomento non può essere trattato in tv prima delle 22.00, le vetrine delle librerie non possono esporre testi riguardanti la tematica in questione e le ONG, con le quali il governo ungherese non ha buoni rapporti, non sono autorizzate a recarsi nelle scuole per sensibilizzare i giovani sull’omosessualità.

Tutto ciò, secondo la retorica dell’esecutivo, per salvaguardare il corretto sviluppo psichico dei minorenni e preservarli da scelte considerate sbagliate. Questo ha dato origine alla legge del 2021 che secondo Amnesty International e diverse altre organizzazioni attive nel campo dei diritti civili ha costituito già un duro colpo inferto alla comunità Lgbtq+.

Tra l’altro questa legge  prevede anche sanzioni pesanti per chiunque si renda responsabile di atti di pedofilia e dà quindi luogo a un assurdo e detestabile condominio tra due aspetti, l’omosessualità e quello prima citato. La cosa si commenta da sola.

La norma approvata giorni fa vieta il Pride, come già precisato, e consente alla polizia l’uso di un software di riconoscimento facciale con il quale identificare i partecipanti alla manifestazione. Per questi ultimi sono previste multe fino a 200.000 fiorini (poco più di 500 euro).

Anche in questo caso, la motivazione ufficiale di tale divieto è quella di impedire eventi pubblici che possano ostacolare il corretto sviluppo psichico e fisico dei più giovani. Gli organizzatori del Budapest Pride affermano che l’obiettivo di questa disposizione è quello di fare della comunità Lgbtq+ un “capro espiatorio” e di far tacere le voci critiche verso il governo di Viktor Orbán. Così, secondo una dichiarazione di Máté Hegedűs, addetto stampa dell’evento, ripresa da Euronews del 18 marzo scorso, “questo non è proteggere i bambini, è fascismo”, e ancora: “il Pride è un movimento che non può essere vietato”.

La stretta proviene da un sistema di potere che da tempo si presenta come difensore e custode dei valori della cosiddetta famiglia tradizionale e della civiltà cristiana. Valori che, propagandati dal governo arancione diffondono diffidenza, paura, addirittura ostilità nei confronti di chi è diverso e interpreta il messaggio cristiano distorcendolo e dimenticando tolleranza e apertura.

Si arriva, in questo caso specifico, all’emarginazione e criminalizzazione dell’omosessualità che, oltretutto in una fase di contrazione delle nascite, diventa anche una tendenza antipatriottica, perché non dà figli alla patria, oltre che moralmente sbagliata. Queste visioni e l’approccio generale del governo in diversi ambiti portano a un arretramento dei diritti che caratterizza l’Ungheria guidata da Orbán.

Il divieto di cui è oggetto il Pride che a giugno si svolgerebbe per la trentesima volta nella capitale ungherese è stato condannato da Amnesty International e rappresenta per chi critica tale disposizione, un calpestamento della libertà. Ci sarà modo di riparlarne.

MASSIMO CONGIU

da il manifesto.it

Particolare della foto di Timi Keszthelyi da Pexels

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