Il taglio da 1-2 miliardi di euro al «reddito di cittadinanza» dovrebbe colpire 660 mila «occupabili» su 2,3 milioni di beneficiari complessivi di quello che, in realtà, è un sussidio di ultima istanza contro la «povertà assoluta».Questa prospettiva preoccupa anche le destre al governo delle regioni del Sud. Con le bollette alle stelle, l’inflazione record e la precarietà di massa l’effetto del taglio sarebbe drammatico.
Lo ha ipotizzato ieri il presidente della regione Calabria Roberto Occhiuto (Forza Italia). In una delle regioni dove «la povertà assoluta è tra le più alte, in questo momento – ha detto – non si può «cancellare il reddito». Occhiuto ha suggerito al governo Meloni, cioè alla sua maggioranza, di invertire le priorità: prima «le politiche attive del lavoro» nell’illusione che possano «incrociare domanda e offerta», poi la stretta contro i lavoratori poveri desiderata dalle estreme destre leghiste e postfasciste.È improbabile che il governo ascolti l’appello di Occhiuto. Il taglio del «reddito» è solo il primo «regalo» per lui, e i suoi colleghi meridionali. Il secondo arriverà con la «secessione dei ricchi», cioè le regioni del Nord: l’autonomia differenziata.
In più i giganteschi problemi che hanno impedito, e impediranno, di avviare un sistema di «politiche attive del lavoro» (il Workfare) restano ancora sul tavolo. E, prevedibilmente, saranno peggiorati dal taglio del «reddito».
La caccia ai 660 mila «occupabili» e beneficiari del «reddito di cittadinanza» colpirà di più in Campania e in Sicilia dove, secondo i dati dell’Agenzia Nazionale delle Politiche Attive del Lavoro (Anpal) (nota 9 dello scorso ottobre), c’è una concentrazione maggiore di beneficiari: il 47,2%. Un altro 24% risiede in Puglia, in Calabria e nel Lazio. Il restante 28,8% si suddivide fra 14 Regioni e due Province Autonome.
Si prepara un altro colpo di coda razzista. Il taglio al «reddito» rischia infatti di colpire i cittadini stranieri, in prevalenza comunitari. Gli extracomunitari non residenti da 10 anni sono stati esclusi da una norma razzista della legge sul «reddito» approvata dal governo «Conte 1» nel 2019. Per l’Anpal, gli stranieri comunitari che percepiscono il «reddito» e lavorano precariamente sono più numerosi degli italiani (34,3% contro il 18,8%).
Il senso della caccia al lavoratore povero del governo Meloni si comprende con l’analisi degli «occupabili». A giugno 2022 il 13% aveva un’esperienza di lavoro recente conclusa negli ultimi 12 mesi. Il 70,8% aveva conseguito al massimo il titolo della scuola secondaria inferiore. Solo il 2,8% possedeva titoli di studio terziari, mentre un quarto aveva un diploma di scuola secondaria superiore. Oggi si teme che, senza nemmeno un supporto a tempo e già condizionato come il «reddito», la loro situazione peggiori in un paese in cui tutti parlano di «lavoro», ma il lavoro (non precario) non c’è.
I primi candidati alla revoca del sussidio sono in realtà 173 mila persone che percepiscono il «reddito» e pagano spese di prima necessità a cominciare dalle bollette rincarate. Anche loro sono conteggiati tra i 660 mila «occupabili». La maggioranza (sei su dieci) risultava, a giugno, avere un rapporto di lavoro permanente o di apprendistato. Erano perlopiù donne, lavoratrici e straniere. Dunque la prima donna a palazzo Chigi colpirà le donne che lavorano e sono povere. Un cortocircuito creato dal furore ideologico chiamato «aporafobia» (la paura e il disgusto dei «poveri»). E, probabilmente, anche dalla modesta conoscenza delle politiche sociali.
Non solo. Si rischia di colpire i giovani under 30, cioè i più precari. Il 55% percepiva il «reddito», e lavorava con contratti a termine. Le destre stanno dunque, in queste ore, scivolando verso l’accanimento contro chi ha un rapporto di lavoro con durata compresa tra i 3 e i 12 mesi (il 66%). E il 19,3% aveva un contratto inferiore ai 3 mesi. Per questi lavori sono richieste «competenze basse e medio basse», così li descrive l’Anpal. Fuori anche loro. In attesa di un piano dettagliato nella manovra ieri M5S, Pd, Verdi-Sinistra hanno parlato di «classismo» e hanno annunciato «opposizione durissima».
ROBERTO CICCARELLI
Foto di Nicola Barts