Un sondaggio dell’Istituto Piepoli, pubblicato oggi sulle pagine de “La Stampa”, mostra come il 44% degli italiani sarebbe disposto a barattare un po’ di democrazia in cambio di un po’ di sicurezza. E’ un dato clamorosamente allarmante che descrive una popolazione alla ricerca di una stabilità che non percepisce più come tale.
Probabilmente la “sicurezza” che vanno cercando fa riferimento non solo ad elementi di carattere propriamente di ordine pubblico, anche perché sappiamo molto bene che quando si parla di ciò si trascura volutamente, da parte di certe forze politiche oggi al governo, di legare causa ed effetto e quindi di mostrare come l’insicurezza sia un fenomeno che proviene da una mancanza di certezze sociali che finiscono per minare anche i diritti più elementari di convivenza.
Aver scientemente trattato il fenomeno epocale delle migrazioni come un problema di mero ordine pubblico ha provocato risposte come quelle date al sondaggio: una richiesta di maggiore certezza e rigore nell’applicazione delle leggi, magari anche nuove legislazioni “speciali” e certamente un plauso popolar-populista ad una azione di governo come quella mostrata da Salvini che ha dato una risposta ad una domanda da lui stesso creata nel corso di campagne elettorali lunghissime, infinite nelle menti di persone spaventate da una disperazione sociale crescente e di cui i migranti non hanno alcuna responsabilità.
Dunque, barattare un po’ di democrazia in cambio di altrettanta sicurezza è il risultato finale di un cambio di coscienza civile, una rivoluzione quasi culturale di un Paese che ha dimenticato la propria storia passata e anche quella recente, che si è imbarbarito e che ha perso l’amore per la conoscenza, la cultura e l’approfondimento quindi delle tematiche che vive ogni giorno nel quotidiano.
Stando sulla superficie dei fatti, senza entrare nelle dinamiche che producono i grandi movimenti dell’attualità che divengono ben presto storia, e rimanendo su questa superficie per troppo tempo, si finisce con l’alimentare quell’antica propensione del cosiddetto “uomo solo al comando”, che origina dai tempi della fine della Res publica populi romani quando, dopo la conclusione delle guerre civili ad opera di Caio Giulio Cesare, si ristabilì l’unità dello Stato proprio attraverso la “dittatura perpetua” che ebbe corso per breve tempo e che aprì, di fatto, la via al Principato di Augusto.
Tuttavia è bene considerare che un 56% di italiani, dunque ancora una buona maggioranza qualificata, non sarebbe disposto a questo baratto tra democrazia e sicurezza. Su questo bisogna fare affidamento, riflettendo sul fatto che forse la distorsione della realtà è un dato a sua volta distorto che ci compenetra attraverso una disinformazione costante: quasi fosse una sorta di allucinazione fobica che deforma i fatti, che decontestualizza gli eventi e che mostra alterate le dimensioni di consenso e dissenso in base alla ipocrisia della “percezione” trasmessa dal tambureggiare di “like” sulle pagine Facebook o dal telegrafo senza fili twitteriano.
E’ sempre un 44% di italiani, poi, che considera positivo un governo ispirato ai “princìpi del populismo”: una domanda-affermazione questa che letteralmente significa davvero poco. Perché occorrerebbe sapere a cosa ci si riferisce quando si parla di “princìpi” di un populismo che non è dato conoscere come ideologia, visto che nega e ripudia le ideologie e che si presenta nei diversi stati dell’Unione Europea in forme tanto diverse da avere come collante manifestatamente unico il sovranismo.
Ma il sovranismo non può essere definito come “ideologia”: semmai è una “fisionomia politica”, un tratto distintivo di alcuni partiti e movimenti che un tempo, per quanto riguarda l’Italia, erano frontalmente opposti ad una idea di “nazione italiana” e propugnavano la divisione del Paese in “Repubblica del Nord” prima e in “Padania libera e indipendente” poi.
La giravolta politica non è in questo caso “ideologica” ma semplicemente opportunistica: serve ad adeguarsi ai tempi e a sollecitare, prima che a rispondere, una domanda di etnocentrismo su cui cresce e si diffonde un razzismo di nuova costituzione: il nemico siamo sempre noi stessi che non lottiamo contro i veri avversari di classe, che non riconosciamo la gravità della contraddizione tra capitale e lavoro, l’importanza di una unità degli sfruttati contro gli sfruttatori e ci scateniamo invece, come vuole proprio il sistema delle merci, poveri contro poveri, miseri contro miseri per racimolare una briciola di pane rimasta ai piedi di un tavolo dove a banchettare sono sempre i padroni.
E ora la domanda finale. Può il baratto tra democrazia e sicurezza, che il 44% degli italiani non disdegna ma caldeggia, portarci alle soglie di un regime autoritario, di un forma di democrazia autoritaria?
Sì, penso proprio di sì, ma penso altresì che in una democrazia autoritaria noi viviamo già: le parvenze sono quelle del mantenimento in vita della Repubblica parlamentare di cui si deve osservare formalmente la Costituzione. Ma i tentativi di forzare le regole, di andare oltre l’impianto delle garanzie sociali, civili, morali della Carta è evidente ogni giorno che passa: dal decreto sicurezza fino a ciò che si paventa in termini di autonomia fiscale per determinate regioni ricche a discapito di parti del Paese molto meno ricche.
L’autoritarismo non è necessariamente stabilito in una data, con un eclatante colpo di Stato: è una “infamia”, come ha ben detto Fausto Bertinotti, che va contrastata e combattuta consapevolmente, sapendo che oggi non la maggioranza assoluta, ma certamente una maggioranza relativa degli italiani vive nella disposizione mentale, quindi formale e sostanziale al tempo stesso, di accettazione di un restringimento della libertà personale e collettiva in nome di uno Stato forte, guidato da un uomo forte, risoluto, intransigente.
Alla “mollezza” della democrazia si contrappone la “forza” della sicurezza. Quando ciò avviene e diventa “universale” nemmeno più le formali regole che sopravvivono oggi ci salveranno dalla considerazione generale secondo cui prima di tutto viene la pena, la certezza della medesima a tutto discapito di una giustizia chiamata ancora così ma ormai svuotata di ogni concretezza in materia di diritto.
L’Italia del baratto tra democrazia e sicurezza è un Paese dove l’incoscienza antisociale raggiunge il massimo del suo apice e rischia di diventare sistemica.
Fermare questa infamia è un dovere prima di tutto sociale: a questo deve votarsi la sinistra di alternativa se vuole rinascere e, soprattutto, se vuole sopravvivere mantenendo fermi i valori di una Costituzione che, per la forza che si porta dietro, non è stato ancora possibile liquidare del tutto.
MARCO SFERINI
13 gennaio 2019
foto tratta da Pixabay