Non doveva essercene bisogno ma in questa Italia è stato necessario. Ora Liliana Segre è cittadina onoraria di tutta l’Italia. Sul piccolo palco montato in piazza Scala a Milano è il presidente nazionale dell’Associazione dei Comuni Antonio Decaro a consegnarle la fascia tricolore a nome di tutti i sindaci italiani, al suo fianco il sindaco di Milano Beppe Sala che promuovendo questa manifestazione ha avuto l’intuizione giusta. Questa marcia ha tolto la senatrice a vita dalle strumentalizzazioni politiche quotidiane e l’ha riconsegnata al ruolo che merita. «Noi tutti siamo qui per parlare d’amore, lasciamo l’odio agli anonimi della tastiera e guardiamoci da amici anche se ci incontriamo solo per un attimo» ha detto Liliana Segre aprendo il suo discorso, che è stato un omaggio all’amore e alla memoria. «Io ho conosciuto l’odio, so cosa significa diventare un rifiuto di quella società civile alla quale pensavo di appartenere. E poi ho visto con i miei occhi la messa in opera del programma feroce preparato dall’odio».
Liliana Segre è un’infaticabile signora di 89 anni che da tempo gira le scuole da nord a sud per incontrare studenti e studentesse. «Questa sera sono qui non da nonna, come mi presento di solito agli studenti, ma da madre, per gridare basta odio parliamo d’amore». La tragedia della Shoah, il ruolo della memoria. «L’odio si combatte tenendo viva una memoria condivisa delle tragedie che le generazioni passate hanno patito a causa della predicazione dell’odio».
Il messaggio si conclude con un augurio e un proposta: «cancelliamo le parole odio e indifferenza e abbracciamoci in una catena umana che trovi empatia e amore nel profondo del nostro essere uomini e donne giusti e liberi nelle loro scelte di vita». La folla che riempie piazza della Scala canta “Liliana-Liliana” e poi l’inno di Mameli. Davanti a Liliana Segre ci sono seicento fasce tricolori e altrettanti cittadini senza, arrivati per testimoniare affetto e vicinanza. Una partecipazione in parte non prevista quella dei cittadini, ma non inaspettata in questa Milano dove solo poche settimane fa tremila persone avevano manifestato solidarietà alla senatrice.
Si è chiuso ieri il cerchio su questi mesi che hanno visto protagonista suo malgrado Liliana Segre, costretta a 89 anni a muoversi con la scorta dopo le minacce, gli insulti social e le polemiche per la commissione contro l’odio online. «La tua scorta siamo noi» hanno ripetuto i sindaci e i cittadini ieri. Una risposta vera e forte a questa destra che ha tolto ogni limite alla sua propaganda e all’uso della storia.
La marcia dei sindaci era partita da piazza Mercanti, un percorso breve e affollato. Liliana Segre ha aspettato sindaci e cittadini in Galleria Vittorio Emanuele accolta dagli applausi. A un certo punto qualcuno fa partire Bella Ciao, cantata anche dai sindaci e amplificata dall’eco naturale della Galleria. «Siamo qui per omaggiare Liliana Segre è stata una scelta unanime dei nostri consigli comunali quella di essere qui» dicono alcuni sindaci arrivati in treno dal Piemonte. «Noi abbiamo subito aderito appena il sindaco Sala ha lanciato l’idea» racconta una sindaca emiliana. Perché? «Perché abbiamo bisogno di fare comunità e di parlare con un linguaggio diverso, d’amore». «Una partecipazione incredibile» dice un sindaco della provincia di Varese, vicino a lui una signora senza fascia tricolore gli fa eco «è un segnale forte contro odio e violenza».
Tra i sindaci dei grandi comuni quella di Torino Chiara Appendino, Leoluca Orlando di Palermo, Dario Nardella di Firenze. «Oggi è veramente la giornata per la Segre, della Segre, per l’Italia, e infatti abbiamo deciso che nessuno dei sindaci parlerà dal palco, solo la senatrice. A noi il gesto, a lei le parole e le parole di Liliana sono sempre le parole giuste» dice Sala, che poi dal palco, introducendo la senatrice, esclama in modo ancora più esplicito: «ho un messaggio ai fomentatori d’odio, siamo pronti a tornare in continuazione in piazza se questo clima d’odio non cambierà». Perché quel pezzo d’Italia esiste, anche se qualche sindaco di centro destra si è affacciato a questa piazza. È un pezzo d’Italia che si è ritrovato nelle parole più radicali della retorica neofascista contemporanea e che dopo essere stato sdoganato ha trovato cittadinanza nei media e nelle piazze virtuali e non.
ROBERTO MAGGIONI
foto: screenshot