L’ “affaire” – Maria Elena Boschi, padre di Maria Elena Boschi, banca Etruria, Unicredit – si trova a pagina 209 del suo libro (Ferruccio de Bortoli, “Poteri forti (o quasi)”, La nave di Teseo, pag.319,€ 19) e le ho contate: sono meno di venti righe in tutto. Venti righe semplici e piane, mera informazione; del resto trattavasi di notizia ripresa da “Libero”. A commento ci mette solo altre due righe e mezzo: <La domanda era inusuale da parte di un membro del governo all’amministratore delegato di una banca quotata>. Chiaro, una botta in perfetto stile corrieristico; e infatti la Maria Elena se ne risente assai.
Ma onestamente si deve dire che il libro di de Bortoli è anche ben altro. Di tutto. Di più. Io so. Io c’ero (e del resto sono le memorie dei suoi oltre quarant’anni di giornalismo). Le venti righe sul “caso Boschi” si trovano nel capitolo che ha per titolo “Renzi, ovvero la bulimia del potere personale”.
Momentaneamente sospeso lo stile corrieristico, va giù duro, descrivendo il malcapitato ex premier come uno <avviluppato> nella sua smania <di presenzialismo e di gestione del potere>; prigioniero di se stesso, di quel suo continuo <discorso pubblico che ha prodotto una cacofonia indigesta>.
Al diavolo lo stile corrieristico; de Bortoli riprende quanto scriveva già nel 2014, e rincara la dose, “caldamente” raccomandando a Renzi <di guardare il nemico allo specchio, cioè se stesso>.
Per la verità, quello su Renzi è il pezzo più “cattivo”; per il resto, le pagine vanno via garbate, attente ma mai invasive; acute, ma sempre molto british: pezzi esemplari di un giornalismo che sa molto bene il fatto suo e quindi sa molto bene come muoversi dentro il Sistema (de Bortoli è stato direttore del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore).
Per il resto, le pagine, anche se qua e là non mancano note critiche (e anche autocritiche), sono un lungo red carpet soprattutto per il Corriere; un tributo di onore, orgoglio, riconoscenza.
Pagine che sono, oltre che memoria, anche un inventario, con dentro volti, nomi, fatti di quarant’anni iitalici, molti dei quali visti di persona e, per così dire, toccati con mano (letteralmente). Politici, scrittori, attori, economisti, capi di partito, capi di governo, people, brigatisti, scienziati, banchieri.
Enrico Cuccia è nominato 24 volte all’interno di un capitolo lungo 40 pagine e intitolato “Miserie (molte) e nobiltà (poche) del capitalismo italiano”. Un capitolo che – molto educatamente – è molto critico verso governo, mercato, finanza dell’era, correvano gli anni 1992-2000. L’avventato Prodi (in materia di euro); quei pacchetti azionari da duecentomila miliardi (lire) ceduti ai privati; quel paradosso finale con <la Fiat che oggi si chiama FCA e non è più italiana>; e < la Montedison smembrata, la Ferruzzi scomparsa, la Olivetti una effige storica, l’Ilva indebolita e in vendita, la Pirelli con un’azionista di controllo cinese>..
Antirenziano, ma prima antiberlusconiano. Ed è in stile non molto british ma proprio fuori dai gangheri, per esempio quel suo articolo in data 31 luglio 2002, col quale, rivolgendosi direttamente al Cavaliere-premier sul tema della legge Cirinnà, chiedeva: <Tolga ai cittadini la sgradevole sensazione che il parlamento venga usato come un maglio sulla legislatura e mandi in ferie, ne hanno bisogno, quegli onorevoli avvocaticchi preoccupati più per i loro onorari che per le sorti del paese> (Ghedini e Pecorella fecero causa a de Bortoli e pure la vinsero).
Ma ha brutte parole, tanto per andare fuori dai confini, anche per quei tali José Maria Aznar e Tony Blair, che <entrambi appoggiarono la guerra in Iraq di Bush. E ne condivisero le bugie>.
In molti hanno fatto accusa a de Bortoli di essere stato un direttore “di sinistra”, persino socialista, addirittura filocomunista (Berlusconi lo bollò come <direttore del Manifesto>).
Accusa fondata? Congratulazioni.
MARIA R. CALDERONI
foto tratta da Pixabay