La visita dei vertici dell’Unione europea a Kiev non è stata la solita passerella mediatica. Intanto perché erano presenti tutti i leader, da Charles Michel a Ursula Von der Leyen, insiema a una nutrita delegazione.

In secondo luogo perché si è annunciato un nuovo pacchetto di aiuti da quasi mezzo miliardo di euro oltre a nuove sanzioni a Mosca in un momento in cui sul campo le forze russe hanno ricominciato ad attaccare con insistenza. Secondo Von der Leyen, che ha da poco annunciato il via libera ai massimali di prezzo sui derivati del petrolio russo, il decimo pacchetto di sanzioni entrerà in vigore prima del 24 febbraio.

E poi c’è il valore simbolico. I capi delle istituzioni europee erano portatori di un messaggio abbastanza chiaro per il Cremlino: a un anno dall’invasione siamo ancora al fianco dell’Ucraina.

Ma si intravede anche un leggero fastidio per l’insistenza ucraina sulle nuove forniture, soprattutto ora che la maggioranza dei paesi sta organizzando l’invio dei carri armati. Kiev sembra non accontentarsi mai di quanto l’Occidente gli accordi. Il che è interpretato da molti come un segno della delicata fase in cui sta entrando la guerra. Bakhmut, che continua a essere bombardata e assaltata da distaccamenti russi, ne è diventata un po’ il simbolo.

È la «fortezza ucraina», come l’ha definita il presidente Zelensky stesso che ha anche sottolineato che i suoi uomini non la abbandoneranno. Ma i russi premono e le informazioni sugli ingenti spostamenti di personale verso le regioni occupate e separatiste non lasciano di certo indifferente lo Stato maggiore di Kiev.

Secondo uno dei consiglieri dell’ex sindaco ucraino di Mariupol, ad esempio, nella città sul Mar d’Azov sarebbero arrivati tra i 10 e i 15mila soldati russi, portando a 30 mila il numero totale delle truppe occupanti. Stando a un’informativa del governo britannico Mosca avrebbe intrapreso una serie di azioni per «integrare il territorio appena occupato in una posizione strategica a lungo termine».

Sulla visita della delegazione Ue in Ucraina il sempre minaccioso ex-presidente russo Medvedev ha fatto sapere che «non ci poniamo limiti, l’Ucraina brucerà se continuerà l’invio di armi da parte dei Paesi occidentali». A proposito di “limiti”, Medvedev ha chiarito che anche le armi nucleari saranno considerate uno strumento legittimo se Kiev attaccherà il suolo russo.

Meno impulsiva, ma non meno perentoria, è stata la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. «L’evento tenutosi il 3 febbraio a Kiev ha confermato ancora una volta che per indebolire la Russia e servire le aspirazioni egemoniche degli Usa e della Nato, l’Ue continua a sostenere sconsideratamente il regime neonazista di Kiev».

Dal canto suo il consigliere presidenziale ucraino Mikhaylo Podolyak ha invece esortato la comunità internazionale a ignorare Medvedev e a continuare a sostenere il suo Paese in quanto «la legge internazionale parla chiaro. L’Ucraina può liberare i suoi territori utilizzando qualsiasi strumento».

Nonostante la distanza tra i due belligeranti, ieri si è anche tenuto un nuovo scambio di prigionieri. Grazie alla mediazione degli Emirati arabi, Kiev ha ottenuto la restituzione di 116 soldati ucraini in cambio di 63 russi. Il governo di Zelensky ha accusato Mosca di torture sui propri militari che avrebbero perso degli arti per congelamento.

Sulle torture si è espresso anche il procuratore generale della Germania, Peter Frank, secondo il quale il suo ufficio è in possesso di prove evidenti sui crimini di guerra russi, in particolare rispetto ai massacri di Bucha e agli attacchi contro le infrastrutture civili ucraine.

SABATO ANGIERI

da il manifesto.it

Foto di Алесь Усцінаў