Dimissioni, Quirinale, consultazioni, incarico a Gentiloni e lista dei ministri. Tutto molto veloce: cinque giorni appena per far rinascere quasi lo stesso identico governo di prima. Sarebbe tragicomico se non fosse vero. E scorrendo l’elenco dei volti noti e dei volti riconfermati, si può assistere ad una semplice partita di Risiko tra il PD e il Nuovo Centrodestra: Alfano passa dagli interni (dove arriva Marco Minniti) agli esteri e viene confermata la Lorenzin al dicastero della Salute.
Difficile conoscere le motivazioni di questi spostamenti: teoricamente, ma solo teoricamente, se un ministro ha svolto un buon lavoro e il governo non cambia di maggioranza, dovrebbe essere riconfermato. Squadra che vince non si cambia, così si usa dire in ambiente sportivo.
Ma qui la squadra sarebbe stata tutta da cambiare, da rovesciare a centottanta gradi. Invece rimane al governo anche Maria Elena Boschi, madrina della controriforma costituzionale appena stroncata dal popolo italiano.
Dopo una sconfitta di quella fatta, almeno i proponenti della riforma avrebbero dovuto abbandonare tutte e tutti Palazzo Chigi. Ma i proponenti e i promotori erano rappresentati dall’intero governo Renzi.
Non è stato il Parlamento, come Costituzione vorrebbe, a proporre una riforma della medesima Carta.
Viviamo in una democrazia a corrente alternata, dove le regole vengono adattate all’esecutivo di turno, alle convenienze elettorali e alle prospettive che ora si aprono in attesa di congressi e altre probabili dimissioni.
Con Paolo Gentiloni in campo, Renzi può dire d’essere l’unico che ha assunto sulle sue spalle la responsabilità della disfatta. Un’altra mistificazione, dopo le tante che abbiamo sentito raccontare nei due lunghi mesi di campagna referendaria, nel rovesciamento della verità sulle regole scritte nel 1948, sul funzionamento delle istituzioni repubblicane, sull’impedimento che avrebbero rappresentato per lo sviluppo sociale, politico ed economico della nazione.
Come il precedente governo, anche questo che sta per nascere – e dichiara di voler rimanere in vita solo per il disbrigo degli affari più urgenti come la legge elettorale e gli adempimenti di bilancio – seguirà il corso politico di adeguamento ai dettami della Banca Centrale Europea, di imposizione di una austerità mascherata da riforme sociali.
Prima o poi, comunque, Gentiloni presidente del consiglio si dovrà confrontare con le dinamiche interne al Partito democratico: Renzi proverà la risalita, la ridiscesa in campo e lo farà iniziando con un giro per l’Italia nella fase delle primarie. Ed allora si accorceranno i tempi di durata del governo.
Prevarranno i mercati o prevarrà la risolutezza politica del governo nel rimanere a Palazzo Chigi?
Ma, in fondo, se deve essere un governo invernal-primaverile, è poi giusto che si risparmi questa disfida di Barletta con il Renzi segretario nazionale del PD e aspirante nuovo futuro presidente del consiglio.
Fausto Bertinotti, ieri, su La 7 ha fatto una disamina completa e accurata in poche battute della situazione politica che viviamo.
La prima domanda (non retorica, ma parzialmente tale visto che nessuno di noi è ingenuamente sprovveduto e allocco) è: davvero sorprende il distacco che c’è tra la rappresentazione che Renzi fa della società e il malessere sociale stesso che viene fuori dall’analisi del voto referendario.
Quel voto ci dice che la stragrande maggioranza dei cittadini tra i 18 e 45 anni ha votato per il NO, quindi ha votato per capovolgere lo status quo del renzismo, l’immobilismo parlamentare e la riduzione del Parlamento stesso ad appendice governativa.
Quel voto ci dice che il NO è anche un voto di rivolta, di messa al bando delle politiche liberiste, perché viene da giovani e persone di mezza età che non percepiscono l’orizzonte di un benché minimo futuro davanti a loro e alle loro famiglie.
Che Renzi e il PD non intercettino questo messaggio (volutamente) è significativo.
Probabilmente in estate, ma auguriamoci di no, saremo qui a commentare di un nuovo governo Renzi per il quale Gentiloni ha fatto solo da pontiere, da traghettatore da una fase di decostruzione politica e istituzionale (col pasticciaccio brutto delle due leggi elettorali e di un Parlamento che rimane integro) ad una nuova rinascita della stabilità politica del liberismo italiano in chiave europea.
Tutto questo teatrino sembrerebbe, a priva vista, un déjà vu. Ed invece è la realtà che prende forma, governativamente parlando, dopo un tracollo, qualche inciampo e il disconoscimento delle promesse di abbandono della vita politica in caso di perdita nella consultazione referendaria.
Nessuna tragedia. Al momento, tutto sembra perfettamente coerente con la grande separatezza che così rimane tra le istituzioni e il popolo sovrano: il risultato del referendum viene come archiviato dal governo Gentiloni. Una parentesi da dimenticare.
Ma non per noi. Da quella grande vittoria del 5 dicembre scorso devono ripartire le energie popolari e sociali e costruire una alternativa di sinistra a tutto questo ciarpame dalle imbellettate sembianze di nuovo, di novità e dal sapore di una generale lucida follia alla “Arsenico e vecchi merletti”…
MARCO SFERINI
13 dicembre 2016
foto tratta da Pixabay