Nel giorno in cui il ministero del Lavoro, in un rapporto, torna a certificare che il Jobs Act è stato un danno non solo per i lavoratori italiani, ma anche per i nostri conti pubblici (vedi i miliardi investiti a dopare il mercato), lui, il titolare dello stesso dicastero, Giuliano Poletti, viene confermato: passa dalla squadra di Matteo Renzi a quella di Paolo Gentiloni, forse a testimoniare che nei mesi a venire l’impostazione del nuovo esecutivo sulle tematiche dell’occupazione e delle tutele non cambierà.
D’ALTRONDE LO STESSO Gentiloni, presentando la lista dei ministri, ha spiegato che «il governo proseguirà nel lavoro di innovazione iniziato dal governo Renzi». Ed ecco alcuni dati che certificano l’«innovazione», freschi freschi di ieri: nel terzo trimestre del 2016 sono stati attivati il 18,7% di contratti a tempo indeterminato in meno rispetto allo stesso trimestre del 2015 (precisamente 406.691, e 93.533 in meno),il che appunto conferma che dopo il doping dell’anno scorso (gli incentivi alle assunzioni a tutele crescenti erano pari a poco più di 8 mila euro per neo assunto) con il taglio ai sussidi di quest’anno (si sono ridotti a poco più di 3 mila euro) i numeri hanno cominciato a precipitare.
Dall’altro lato le cessazioni sono diminuite a un ritmo più lento: sono state 483.162, con una flessione del 3,2%. Tra l’altro è da segnalare anche la dinamica delle motivazioni: si riducono del 17,2% le dimissioni e aumentano del 10,8% i licenziamenti. Un capolavoro made in Poletti & Renzi.
E CHISSÀ COSA NE PENSA l’esercito di precari e voucheristi che (si suppone, visto anche l’alto dato giovanile registrato) ha votato No al referendum del 4 dicembre: spinto sicuramente dal desiderio di difendere la Costituzione da una riforma ritenuta pasticciata se non pericolosa, il mondo dei lavoratori più fragili ha inteso anche mandare un segnale al governo. Che con la conferma di Poletti al ministero non sembra per nulla essere stato recepito.
Fatti due conti, quindi – a fronte di quasi 407 mila attivazioni abbiamo 483 mila cessazioni – il Jobs Act si conferma un Flop Act, perché il saldo è negativo. Torna positivo solo se si calcolano anche le trasformazioni di tempi determinati o contratti di apprendistato, perché in questo caso le attivazioni salgono a 517 mila.
Giù anche la quota sul totale degli avviamenti a tempo indeterminato: rappresentano poco più del 17% del volume totale delle attivazioni, il 2,8% in meno rispetto al dato registrato un anno prima.
MA C’È UN ALTRO allarme, un’urgenza, che riguarda il lavoro, e lo hanno lanciato i sindacati degli atipici Nidil Cgil, Felsa Cisl e UilTemp: i lavoratori con contratto di collaborazione che perderanno il posto nel 2017, non avranno più diritto alla disoccupazione.
È l’effetto – spiegano i sindacati – della legge di Bilancio approvata la settiman. La Dis-Coll, ovvero l’indennità di disoccupazione per i collaboratori prevista in via sperimentale per il 2015 e successivamente prorogata anche nel 2016, rientrava infatti fra le misure di riordino degli ammortizzatori sociali nell’ambito dei decreti attuativi del Jobs Act. Ma non c’è stato il tempo (e anche la volontà politica, possiamo dire) di approvare una nuova proroga per il 2017.
MANCATA PROROGA a cui si aggiunge quella per le collaborazioni attivate presso la pubblica amministrazione (attualmente circa 40 mila): per magia di una legge di Bilancio approvata in fretta e furia, si troveranno così, a partire dall’1 gennaio 2017, senza posto e senza ammortizzatori sociali.
Nidil, Felsa e UilTemp spiegano che il divieto di stipula di nuovi contratti vigente dall’1 gennaio «non si è voluto modificare nella legge di Bilancio, nonostante l’impegno alla prosecuzione di questi rapporti contenuto nella recente intesa fra sindacati e governo sul rinnovo dei contratti pubblici».
I SINDACATI CHIEDONO che a questo punto «si intervenga attraverso il decreto di fine anno, (il “milleproroghe”», a maggior ragione adesso che si è formato il governo Gentiloni, da mercoledì nella pienezza dei suoi poteri e dell’operatività dopo che avrà ottenuto la fiducia dalle due Camere. Per agire restano meno di 20 giorni.
ANTONIO SCIOTTO
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