I curdi e l’Occidente indifferente

La questione curda è molto di più vicina e molto più grande di un “problema di separatismo della Turchia”, immagine a cui è spesso ridotta. La lotta dei curdi contro l’Isis ha molto da insegnare

Quando i capi di stato stringono mani i curdi soffrono. Ed è all’ombra di minacce e uccisioni che prendono corpo le storie delle persone che arrivano alle nostre coste, come quella di Maysoon Majidi. Ma anche delle vite interrotte a Cutro, nel buio calato sul naufragio fantasma del 17 giugno.

Giorni di agonia, nessuna risposta alle richieste di soccorso, circa settanta vittime fra cui diversi bambini. Salme occultate ai media per risparmiare al governo un nuovo imbarazzo.

Per capire il flusso di rifugiati curdi che tentano disperatamente di approdare sulle coste della Calabria occorre unire i puntini e risalire all’origine del viaggio, ovvero alla forte pressione che Iran e Turchia esercitano sulle deboli istituzioni irachene, muovendosi con disinvoltura in una regione di cui controllano, a monte, le acque. Una pressione che si appoggia su compiacenti clientele politiche locali, con gli iraniani forti a Suleymania e i turchi che dettano legge a Erbil.

In primavera Erdogan si è recato a Baghdad a firmare accordi su infrastrutture e sicurezza, formalizzando la presenza militare di Ankara nel nord dell’Iraq. Il partner locale è il Partito Democratico del Kurdistan (Kdp) di Nechirvan Barzani, che ha le mani sul reddito petrolifero e ha aperto le porte agli alleati di Erdogan: mercenari islamisti, formazioni turcomanne e le forze reazionarie di Huda-Par, un tempo legate agli Hizbullah turchi.

Il clan Barzani ha di fatto lasciato mano libera ai bombardamenti sulle formazioni del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), che è stato bandito. Oltre a fare terra bruciata di vegetazione, la Turchia continua a bersagliare Makhmour, il campo che raccoglie rifugiati curdo-turchi fuggiti negli anni 90: giorni fa un drone ha colpito tre attiviste delle Madri della Pace durante una visita di funzionari Onu.

Davanti all’invasione dell’ISIS e alla fuga dei peshmerga nel 2014 i guerriglieri del PKK furono gli unici a schierarsi sul monte Sinjar a protezione degli Yezidi. Genocidio per genocidio, quando si parla di curdi nel nord iracheno la memoria corre alla guerra di sterminio di migliaia di donne e bambini con i gas ordinata da Saddam Hussein a fine anni Ottanta: un evento-spartiacque che negli anni a seguire giustificò la presenza americana e la costruzione dell’autonomia della regione.

Il Kdp si è incaricato di tenere isolato il progetto di autogoverno dei curdi siriani (Rojava), che dopo i tradimenti di Trump e di Putin è oggi sostanzialmente confinato al Nord-Est del paese.

Sul versante iraniano e filo-iraniano, il presidente Pezeshkian ha fatto visita al suo omologo iracheno Abdul Latif Rashid, membro della Unione Patriotica del Kurdistan (Puk), nonché stoicamente rivale e complice del Kdp nel saccheggio delle risorse del paese.

Due anni fa, con il dilagare in Iran delle protese del movimento Jin Jiyan Azadi (Donna Vita Libertà) che seguì l’arresto e l’uccisione di Jina (Masha) Amini, l’Iran bombardò i campi iracheni dei fuoriusciti curdo-iraniani provenienti dal Rojhilat (la regione curda iraniana). Nel 2023 Iraq e Iran firmarono accordi che prevedevano che il confine dovesse essere liberato dell’attivismo attivismo politico curdo. Da allora i campi lungo il confine vengono chiusi e i rifugiati trasferiti nelle città del Kurdistan iracheno, dalle quali continuano ad arrivare notizie di azioni ostili iraniane.

Giorni fa due membri del Partito Democratico del Kurdistan Iranian (Kdpi), Behzad Khosravi and Shaho Ahmadzade, sarebbero stati consegnati all’Iran dalle autorità di Sulaymaniyah.

Oggi sulla stampa iraniana filtra la notizia secondo cui sarebbero in corso negoziati con le Nazioni unite per trasferire questi attivisti in un paese terzo. Uno schema che in qualche modo ricorda l’operazione attraverso la quale nel 2013, dopo che le autorità irachene avevano lasciato briglia sciolta alle milizie filo-iraniane, vennero trasferiti in un villaggio dell’Albania i Mujahiddin del Popolo (Mek) iraniani.

A seguito degli accordi fra Teheran e Bagdad, una serie di militanti curdo-iraniani sarebbero in attesa della decisione di Barzani circa l’estradizione in Iran, dove rischiano l’esecuzione. Destino simile, in barba alle Convenzioni di Ginevra, viene affrontato da quattro attivisti curdo-iraniani legati al movimento Donne Vita Libertà che la Turchia si appresta a consegnare in Iran. Giova ricordare come persino la Francia, dove i militanti curdi sono stati colpiti da spregiudicate azioni degli apparati di sicurezza turchi, abbia recentemente deportato attivisti curdi verso la Turchia.

Il 26 dicembre 1997 una nave battente bandiera turca, la Ararat, scaricò nelle acque di Badolato, Calabria, centinaia di rifugiati, molti dei quali curdi iracheni. I curdi li vedevi incamminarsi lungo la ferrovia, saltare sui treni per tentare la sorte verso il nord Europa. Altri si fermavano in Calabria.

Oggi la rotta mediterranea è diventata molto più pericolosa. La questione curda è molto di più vicina e molto più grande di un “problema di separatismo della Turchia”, immagine a cui è spesso ridotta. La lotta dei curdi contro l’Isis ha molto da insegnare. Sfregiata di tradimenti, manipolazioni e persecuzione, la storia dei curdi riflette anche nei momenti più bui i valori che le democrazie sbandierano come il proprio dna. Il silenzio e l’indifferenza sui loro naufragi e sulle nostre incarcerazioni è il riflesso della nostra viltà.

FRANCESCO STRAZZARI

da il manifesto.it

foto: screenshot ed elaborazione propria

categorie
Guerre e paceTurchia e Kurdistan

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