Marc Bloch descriveva in questi termini la genesi e il ricorrente successo delle notizie false, ciò che oggi, almeno in parte, potremmo far rientrare entro la categoria delle fake news: «probabilmente nascono spesso da osservazioni individuali inesatte o da testimonianze inesatte, o da testimonianze imprecise, ma questo accidente originario non è tutto; in realtà da solo non spiega niente. L’errore si propaga, si amplia, vive infine a una sola condizione: trovare nella società in cui si diffonde un terreno di coltura favorevole». «In esso – aggiungeva il celebre storico – gli uomini esprimono inconsapevolmente i propri pregiudizi, gli odi, le paure, le proprie forti emozioni. (…) Solo grandi stati d’animo collettivi hanno il potere di trasformare in leggenda una cattiva percezione».
È dalla consapevolezza di quanto radicato e pervasivo possa essere questo elemento che muove Francesco Filippi, storico della mentalità e presidente dell’Associazione di Promozione Sociale Deina che organizza viaggi della memoria e percorsi formativi nelle scuole, nel suo Mussolini ha fatto anche cose buone (Bollati Boringhieri, pp.132, euro 12). In quella che si presenta come una sorta di guida, a tratti giustamente ironica ma rigorosissima nella sostanza, tesa a smascherare le molte «idiozie che continuano a circolare sul fascismo», Filippi passa in rassegna quelli che lungi dall’apparire come innocenti luoghi comuni, hanno contribuito in realtà a sedimentare presso una fetta non secondaria dell’opinione pubblica del nostro paese una visione che quando non si tinge dei colori della nostalgia appare consolatoria o autoassolutoria.
Dal presunto «primato morale» di un condottiero dalle mani pulite, passando per il ruolo di edificatore dello stato sociale totalitario, «economista» e «costruttore», capace di guidare in prima persona la campagne di bonifica delle paludi, fino allo «statista» e al capo militare «umanitario» e perfino al politico che avrebbe offerto alle donne «un nuovo ruolo nel paese», la figura di Benito Mussolini è passata al vaglio della ricerca storica e delle fonti d’archivio per essere infine ricondotta alla sua dimensione reale, ripulita dal belletto della propaganda di regime, dalle omissioni e i travisamenti operati dalla censura dell’epoca come delle falsificazioni interessate del dopoguerra. Come il Ventennio e il suo epilogo repubblichino, l’immagine del duce appare perciò finalmente nitida in quel misto di ferocia e miserabilità che scandì, dall’ascesa alla caduta, la stessa terribile epopea del fascismo.
Sintetizzando in un testo agile, e di facile e piacevole consultazione, il ricco lavoro storiografico che ha già demolito da tempo le ricostruzioni di comodo sulla presunta «positività» di taluni aspetti dell’esperienza fascista e della guida di Mussolini, il volume di Filippi coglie però anche un’urgenza frutto del contesto attuale.
Trasformare la vicenda storica del fascismo in una sorta di «fiaba», quasi «un racconto mitico di felicità perduta» non attiene più soltanto alle mire della destra neofascista, e dei suoi eredi politici, desiderosi di nuova legittimità, quanto piuttosto al desiderio diffuso degli italiani «brava gente» di assolversi quanto al passato per meglio illudersi quanto al presente. «Pensare a un ipotetico passato positivo lascia una speranza nell’animo di chi è scontento del proprio presente. – spiega non a caso Filippi – In un momento di velocità e valori fluidi, avere un posto sicuro e tranquillo in cui rifugiarsi è rinfrancante, anche se questo posto è una memoria falsa. Costruire balle sul passato serve anche, nel caso di Mussolini, a mettere in piedi un racconto dell’oggi efficace e semplice, una prospettiva a cui tendere».
Più che il ritorno del duce – come suggeriva ironicamente il film Sono tornato -, d’attualità nel nostro paese sembra essere la ricerca dell’«uomo forte», del leader carismatico cui affidarsi per lenire le proprie paure o dar corpo al proprio rancore. In questo senso, «la base di un possibile futuro totalitario passa anche dalla riabilitazione del passato totalitario». Da qui la necessità di fare i conti una volta per tutte con le bugie sul fascismo «buono».
GUIDO CALDIRON
foto tratta da Wikimedia Commons