In questi giorni, dal 22 al 24 agosto, si svolge a Johannesburg il quindicesimo vertice dei Brics. Penso che si tratti di uno degli appuntamenti più rilevanti a cui ci sarà dato di assistere quest’anno e molto probabilmente questo vertice sarà ricordato come una vera e propria svolta nella storia mondiale.
Perché?
In primo luogo perché nonostante questo vertice si svolga nel bel mezzo di una guerra tra Nato e la Russia – e che il presidente di quest’ultima non potrà partecipare al vertice perché oggetto di un mandato di cattura internazionale – il vertice non solo si terrà ugualmente, non solo la struttura dei Brics non si è per nulla indebolita, ma in questo vertice si dovrà discutere della richiesta di allargamento dei Brics medesimi ad altri 23 paesi.
In pratica l’organizzazione internazionale che ha tra i suoi protagonisti il ricercato numero uno a livello mondiale tiene la sua riunione e fuori dalla porta vi è la fila per entrare a far parte dell’organizzazione stessa.
Credo che sia un primo elemento su cui riflettere: la narrazione occidentale sulle cause e sulle responsabilità della guerra in Ucraina non sono condivise a livello mondiale, la narrazione occidentale non è più egemone.
La seconda cosa che è interessante da vedere è l’elenco dei 23 paesi che chiedono in qualche modo di aderire ad una organizzazione capitanata da un ricercato globale e da un paese – la Cina – che viene considerata un avversario strategico da parte della Nato.
Per comodità li scriverò in ordine alfabetico: Algeria, Arabia Saudita, Argentina, Bangladesh, Bahrein, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Honduras, Indonesia, Iran, Kazakistan, Kuwait, Marocco, Nigeria, Palestina, Senegal, Thailandia, Venezuela, Vietnam.
Non occorre essere esperti di geopolitica per cogliere la grande diversità di orientamenti politici dei governi dei paesi elencati.
Questo elemento sottolinea come l’aggregazione dei Brics non derivi da una sintonia ideologica, ma da una necessità comune: una parte significativa dei paesi del sud del mondo che non sono più disponibili a farsi strangolare dai paesi occidentali e dalle loro istituzioni (Fondo Monetario Internazionale in primo luogo) o ritengono che il loro sviluppo economico e sociale non possa avvenire in un legame fondato principalmente sul rapporto con i paesi occidentali.
La varietà politica che caratterizza i governi che guardano ai Brics come ad una possibile rete di relazioni alternative è un fattore di forza e non di debolezza, e sottolinea come i Brics siano in grado di avanzare una proposta politica concreta e non ideologica di cooperazione mondiale alternativa alla globalizzazione dominata dagli Usa e a loro favorevole.
Oltre alla varietà politica occorre sottolineare come questa non sia una aggregazione di poveracci ma veda la partecipazione di paesi che sono grandi potenze economiche – come la Cina – o media potenze economiche – qui l’elenco è molto lungo. Abbiamo qui potenze emergenti – o riemergenti – che non sono disponibili ad avere rapporti di servitù e subalternità nei confronti dei paesi occidentali.
E’ bene ricordare che proprio in seguito al rifiuto degli Stati Uniti di cedere una parte del potere nella gestione del Fondo Monetario Internazionale, i Brics dettero vita nel 2014 alla Nuova Banca di Sviluppo – un Istituto finanziario non solo autonomo ma alternativo al FMI.
I Brics hanno quindi una storia e da quasi 10 anni si sono mossi con decisione per costruire una alternativa alle istituzioni economiche internazionali gestite dagli Usa con la collaborazione dei suoi alleati occidentali.
Nel summit attualmente in corso, questa potenzialità economica e politica alternativa al sistema delle relazioni poste in essere dagli Usa e dalla Nato è destinata ad emergere con nettezza e ad estendersi ad un campo che dopo la seconda guerra mondiale era stato di esclusiva competenza statunitense: quello finanziario.
I Brics hanno già cominciato a dar luogo a scambi economici senza passare attraverso la mediazione del dollaro e proprio in questo vertice stanno discutendo di dar vita ad una moneta che sia in grado di regolare gli scambi internazionali senza passare per il dollaro. Molti possono pensare che si tratti di un fatterello senza importanza e i media occidentali fanno finta di nulla, minimizzando quando sta succedendo.
Molti economisti mainstream occidentali dicono che, anche se si arrivasse a mettere in discussione il monopolio del dollaro negli scambi internazionali, in fondo non cambierebbe poi molto. Questa attitudine a minimizzare è fondata su una colossale menzogna: la modifica del meccanismo finanziario avrebbe l’effetto di un terremoto, in particolare per l’economia e la società statunitense.
Vediamo perché.
Nei fatti, dagli accordi di Bretton Woods del 1944 fino ad oggi, la moneta utilizzata per gli scambi economici è stata il dollaro e questa moneta ha anche avuto la funzione di valuta di riserva a livello internazionale. Questa situazione che ha visto il dollaro assumere una funzione dominante a livello mondiale si è accentuata dopo il 1971, quando il governo statunitense ha unilateralmente deciso di abolire la convertibilità del dollaro con l’oro secondo un rapporto di scambio fisso.
In pratica dopo il 1971 gli Usa hanno goduto di una posizione di rendita che ha dato loro tutti i vantaggi di stampare la moneta che veniva poi usata a livello mondiale, senza essere chiamati ad avere alcun tipo di responsabilità per lo svolgimento di questo ruolo particolare e unico a livello mondiale.
La condizione di privilegio di questa situazione è riassumibile – in buona sostanza – nel fatto che gli Usa possono spendere quanto vogliono ma non sono chiamati a pagare i loro debiti.
Questo perché gli Usa i debiti con gli altri paesi del mondo li fanno in dollari ma nello stesso tempo i dollari li stampano e – nella sostanza – ne stampano quanti ne vogliono. In pratica gli Usa, dal 1971 ad oggi, non hanno più dovuto pagare i loro debiti: hanno vissuto regolarmente al di sopra delle loro possibilità consumando merci prodotte da altre parti del mondo (Cina, Giappone ed Europa principalmente) che venivano pagate in dollari prontamente stampati dalle rotative statunitensi…
Forse a questo punto è chiaro perché penso che il vertice dei Brics sia destinato a cambiare il corso della storia: sta provando a chiudere la fase del mondo unipolare dominato dagli Usa.
Non è una cosa da poco e partire da questa situazione nuova per costruire un mondo multipolare, di pace, cooperazione e giustizia sociale è il nostro compito fondamentale. Superare il mondo unipolare è decisivo, su tutti i piani, ma il nostro obiettivo non è un mondo bipolare – per sua natura di guerra – ma un mondo multipolare, per sua natura di dialogo. Per questo servono le scelte dei Brics e servono le lotte e il protagonismo dei popoli.
PAOLO FERRERO
Rifondazione Comunista – del coordinamento nazionale di Unione Popolare
foto: screenshot