288 giorni di sciopero della fame per urlare alla Turchia e al mondo intero che il regime di Erdogan non aveva il diritto di impedire a lei e ai suoi compagni di suonare, di esprimersi liberamente: con le note, con le parole.
Helin Bolek è morta. Nel silenzio assoluto prima di tutto nostro, di quei suoi compagni che possiamo ritenerci (forse a torto), in quanto internazionalisti come era lei, libertari e comunisti, contro un regime che opprime più di un popolo, che limita qualunque diritto civile, che non fa sconti nemmeno ai diritti sindacali e dei lavoratori.
Il gruppo musicale, Grup Yorum, di cui faceva parte Helin è stato perseguitato per anni: arrestati, incarcerati, costretti ad una lotta musical-sociale per una resistenza che dura e si diffonde in tutta Europa con concerti che si moltiplicano e che denunciano la crudeltà del regime di Erdogan.
Chi di noi aveva sentito parlare di Grup Yorum o di Helin fino ad oggi? Io no. Quindi siamo tutti un po’ responsabili di questo omicidio di Stato, di questa morte, per non essere riusciti ad arrivare con le nostre orecchie alla musica della libertà, alle parole che la esprimono.
Non diamo la colpa al Coronavirus e alla sovrabbondanza di informazione sulla pandemia che tutto copre e tutto il resto esclude. Helin era in sciopero della fame da quasi un anno e il Grup Yorum è attivo dal 1985… Io questa colpa la sento… Non mi ero accorto di nulla. E oggi posso solo domandarmi: come mai?
(m.s.)
foto: screenshot composto