Ramallah dista da Hebron una cinquantina di chilometri. Ma in questi giorni le due città sembrano lontane anni luce. Le forze di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese faticano a riprendere il controllo delle strade di Hebron, teatro da giorni di una violenta faida tra famiglie locali ben armate, mentre a Ramallah, presieduta da Mahmoud Abbas (Abu Mazen), proseguiva ieri la prima seduta in quattro anni del Consiglio Centrale dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), annunciata come «decisiva» e invece destinata a concludersi con la semplice cooptazione nel Comitato esecutivo dell’Olp di un alleato del presidente palestinese.
Domenica notte è stato un inferno nella zona H1 di Hebron sotto il controllo, almeno in apparenza, dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). La zona di Bab Zawie e altri quartieri si sono trasformati in campi di battaglia: auto, bus, negozi, abitazioni, una piccola fabbrica e ristoranti dati alle fiamme mentre i membri dell3 due famiglie –Abu Eisha Awiwi e Jabari – mitra in pugno si combattevano senza sosta, come mostrano i video postati dalle due parti puntualmente su Tik Tok.
Diversi i feriti, tra cui un bambino di sette anni e un anziano. Le due parti respingono la tregua. I Jabari insistono per vendicare Basil, un giovane taxista ucciso senza motivo apparente dagli Abu Eisha-Awiwi e non accettano risarcimenti come vorrebbe in questi casi la tradizione. Sullo sfondo c’è l’Anp incapace di imporre il rispetto della legge, quella penale e non tribale, e di tenere sotto controllo una città spaccata e in parte (zona H2) nelle mani dei coloni israeliani.
Pare che nell’intero distretto di Hebron la polizia possa contare su appena 200 agenti perché 500 sono stati trasferiti da Hebron a Jenin, altra città che le forze fedeli ad Abbas faticano a controllare e dove la popolarità delle organizzazioni islamiste, a cominciare da Hamas, è in costante crescita. Senza dimenticare che lo stesso governatorato di Hebron da anni simpatizza per Hamas e non per Fatah, il partito di Abbas.
Quella a Ramallah doveva essere una seduta di eccezionale importanza per i 124 membri del Consiglio centrale dell’Olp che include le principali le organizzazioni palestinesi (ma non Hamas e Jihad). «Prenderemo molto sul serio il processo di riforme e di rinnovamento», ha assicurato domenica l’ottantaseienne presidente palestinese all’apertura del Consiglio centrale, assemblea ridotta del Consiglio nazionale dell’Olp, il «parlamento» di tutti i palestinesi nei Territori occupati, nei campi profughi e in esilio.
Alla vigilia erano state annunciate «risoluzioni» volte a ridare slancio alle aspirazioni palestinesi pur nel quadro della soluzione a Due Stati con Israele. «Niente di tutto questo», ci diceva ieri, visibilmente deluso, Nasser H., un militante di Fatah, «chiedevamo un cambiamento vero e l’adozione di una linea ferma nei confronti di Israele che nega i nostri diritti, ma non sarà così. Anzi, Abbas sta stringendo i rapporti con il governo Bennett e si affida sempre al ruolo degli Stati uniti che pure si è rivelato dannoso e comunque a favore di Israele».
Per il rinvio della riunione del Consiglio centrale si erano schierati vari partiti, in particolare il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (sinistra) che ha accusato Abbas di voler cogliere l’occasione per favorire l’ascesa di alcuni dei suoi fedelissimi ai vertici dell’Olp. Ieri sera si attendeva infatti la nomina di Hussein Sheikh, ministro molto vicino al presidente e che tiene i rapporti con Israele, a membro e segretario generale del Comitato esecutivo dell’Olp. Con questo incarico Sheikh diventa il favorito nella corsa alla successione di Abbas.
MICHELE GIORGIO
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