Tutto si tiene. O per meglio dire tutto si distrugge nel tenersi. In Australia un miliardo di animali morti, duecento arrestati per gli incendi appiccati per lo più da ragazzi minorenni… Nel Medio Oriente i missili iniziano a piovere dall’Iran sulle basi degli occidentali e sono solo un “timido schiaffo” (parola dell’ayatollah Khamenei) rispetto alla risposta più complessa che verrà data per vendicare la morte del generale Soleimani.
Donald Trump non fa altro che twittare sbaragliando il Pentagono, costringendo i suoi generali a precipitose smentite su presunti propositi di attacchi a siti di carattere culturale nell’antica Persia mentre, a loro volta, i militari si rimpallano le lettere in forma di bozza (nonostante siano firmate e protocollate) sul ritiro delle truppe statunitensi dall’Iraq.
“Non ce ne andremo via mai!“, “Finiremo la guerra che abbiamo incominciato“. Un bel capolavoro davvero: dichiarazioni farsa, mera propaganda alla Goebbels che vorrebbe far intendere che gli americani sono lì per difendere ancora una volta la tanto agognata democrazia. Loro che ne sono la patria con una statua che ti accoglie appena arrivi a New York, con la fiaccola di un sogno che si è sempre più spento nel corso dei decenni.
L’Europa è divisa tra sostenitori dell’interventismo trumpiano e dialoganti. Di pacifisti nemmeno l’ombra. Ma del resto, è normale che sia così: un governo che issasse la bandiera della pace, che ritirasse i soldati dall’Iraq e da tutti i teatri di conflitto e che dichiarasse di applicare la Costituzione a puntino, quindi usando le forze armate solo per scopi di difesa, sarebbe un governo eversivo per l’ordine economico costituito. Per la Carta del 1948 sarebbe un vero governo, ma si sa… i princìpi costituzionali confliggono sovente con le esigenze del capitalismo.
Poi c’è il problema dello smog, dell’inquinamento atmosferico nella Pianura padana: vengono fermate le automobili di varie classi; i livelli di guardia per la salute dei cittadini vengono superati e si va dal Piemonte alla Toscana, dal Veneto alla Lombardia fino all’Emilia Romagna tutta presa nel dilemma elettoralistico tra Bonaccini e Bergonzoni.
Tutto si tiene. Anzi, come si può vedere, tutto si tiene nel portare avanti molteplici fattori di conflittualità tra l’esistenza delle specie su questo Pianeta e il loro percorso di vita condizionato dagli interessi economici che creano condizioni di insopportabilità di qualunque equilibrio sia possibile far nascere per scansare da un lato, anche solo per un attimo, le logiche disumane, antropofaghe e sterminatrici dell’ecosistema proprie del sistema del profitto e delle merci.
La nuova guerra che prende sempre più corpo tra Trump e l’Iran, le devastazioni ambientali, lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici, lo schiavismo dei bambini costretti alle estrazioni di minerali in Africa, a cucire palloni e tappeti in Afghanistan, Pakistan e India, al turismo sessuale in Indonesia, Laos, Cambogia, Vietnam… La lotta per il dominio globale dei mercati tra i poli capitalistici americani, asiatici ed europei… Gli inutili tentativi meramente burocratici di fermare le emissioni di gas nell’atmosfera, il surriscaldamento del Pianeta, la corsa e la rincorsa all’atomica non più cinese dei Nomadi e di Guccini ma a quella koreana e iraniana, israeliana e americana, russa e indiana…
Tutto si tiene. Tutto fa parte del “villaggio globale“, di una perversione strutturale di un sistema che se non viene visto nella sua interezza, se viene spezzettato nei suoi singoli effetti, non comunica – seppure indirettamente – il suo potenziale annichilente e sembra poter essere riformabile, contenibile e gestibile a seconda dei casi che si presentano più o meno nella loro gravità, di volta in volta.
Non esiste una parte dalla quale schierarsi in una guerra tra Usa e Iran. Esiste solo l’imperialismo, la voglia di sopraffazione per ristabilire da parte americana un predominio nell’area mediorientale perso da qualche anno, quanto meno ridimensionato. Ed esiste una simile esigenza da parte iraniana.
Tuttavia, va detto proprio perché la critica deve essere senza se e senza ma, gli Stati Uniti accampano da sempre a sé stessi il diritto di essere una “nazione eletta“, la guida del mondo, la principale interprete del capitalismo moderno in un contesto globale dove, dopo la scomparsa degli assetti della “guerra fredda“, soltanto ora tornano a schierarsi dimensionalità intercontinentali, alleanze tra paesi che scelgono da che parte del campo stare: con Putin o con Trump?
La guerra civile libica ne è un esempio eclatante: l’Onu è inefficace in questo acquartieramento di truppe che provengono da Ankara, di miliziani mercenari che arrivano dalla Russia (come già nell’altra grande tragedia civile, quella siriana), ed assiste alla riformulazione delle dislocazioni militari senza pronunciare alcuna risoluzione di condanna. Sarebbero lettera morta, parole di circostanza. Purtroppo.
Tutto si tiene. Anzi, tutto si disfa continuamente, come la tela di Penelope, per essere sempre pronta alla ritessitura diurna. E’ un gioco delle parti fatto in nome del predominio economico sul mondo: di popoli che vengono trascinati da pochi grandi petroldollari e finanzieri a scontrarsi per aumentare le produzioni di merci: in questo caso di armi. Mercato florido, che non conosce crisi, che fa assottigliare gli investimenti statali sul sociale, ma che fa arricchire i mercanti di morte e tiene al potere i loro lacché dal ciuffo biondo al di qua e al di là dell’oceano.
Tutto si tiene finché la diserzione, la ribellione, il rifiuto di tante sovrastrutture non diventerà la norma: dalle religioni al mito dell’obbedienza ai superiori con mostrine, al saluto alla bandiera, alla mitologica “difesa della democrazia“. Ma per fare questo, per ribellarsi occorre avere coscienza… E le religioni servono ad anestetizzare le paure che le masse hanno verso l’insensatezza della vita. Incapaci di viverla così, semplicemente, senza cercarne un senso e provando ad esorcizzare il terrore della morte fino a che, epicurianamente, si è in vita e quindi non lo deve temere.
Coraggio. La guerra sta per cominciare. Per dimostrare che siamo umani, dobbiamo farla una guerra nuova anche nel 2020. La via della guerra, del resto, è lastricata, proprio come quella dell’inferno, sempre di buonissime intenzioni. Lo spettacolo di morte torna ad iniziare. Non è mai finito, in verità, e la parola “pace” sembra soltanto una arlecchinata, un insieme di colori che scemano sotto la lacrima nera di un Pierrot laconico, triste e pieno di angoscia. Tanto è il peso di una lacrima.
MARCO SFERINI
8 gennaio 2020
foto: graffito di Bansky per la Siria