Greta Garbo. La Divina

GLI ESORDI. Da Stiller e Pabst a Hollywood
Greta Garbo

PRIMA PARTE

Quando nel 1951 Hugh Beaver, l’amministratore delle birrerie Guinness di Dublino, lanciò l’idea di un libro contenente i primati e i record mondiali tutti lo presero un po’ per matto, ma da allora il “Guinness World Records” è la pubblicazione più venduta al mondo dopo Bibbia e Corano. Tutti dati più o meno oggettivi, spesso insensati, che toccano anche le caratteristiche degli individui, i baffi più lunghi, l’uomo più alto, la donna più forte, la percentuale di tatuaggi, ma non la bellezza, perché come precisa ancora oggi il sito internet “non è oggettivamente misurabile”. Tuttavia nella prima edizione del “Guinness dei primati”, pubblicata nel 1955, venne nominata “The most beautiful woman that ever lived”, la donna più bella mai vissuta, record ritirato e per questo imbattibile. Il suo nome era Greta Garbo.

1. Greta Garbo

Il padre Karl Alfred Gustafsson, nato l’11 maggio 1871 nella piccola Frinnaryd, si trasferì a Stoccolma in cerca di lavoro. Fece il garzone di macelleria, il droghiere, l’operaio, il netturbino. Nella capitale svedese conobbe Anna Lovisa Karlsson, nata a Högsby il 10 settembre 1872, discendente di una famiglia lappone migrata nel sud del Paese per sopravvivere. Professione: donna di servizio e operaia in una fabbrica di marmellate. Una coppia proletaria che andò a vivere in un piccolo appartamento nel quartiere operaio di Södermalm, al numero 32 della centrale Blekingegatan. La famiglia ben presto si allargò e in quel trilocale, oggi demolito, arrivarono Sven Alfred, nato il 26 luglio 1898 e Alva Maria, nata il 20 settembre 1903. Infine lunedì 18 settembre del 1905 alle ore 19.30 nacque Greta Lovisa Gustafsson, presto soprannominata Kata perché era così che da bambina pronunciava il suo nome.

Una vita non semplice quella dei Gustafsson. Greta, iscritta alla Katarina Södra Folkskol dove si diplomò il 14 giugno 1919, ricordò: “Un momento ero felice e l’attimo dopo molto depressa; non ricordo di essere stata davvero bambina come molti miei altri coetanei. Ma il giooco preferito era fare teatro: recitare, organizzare spettacoli nella cucina di casa, truccarsi, mettersi addosso abiti vecchi o stracci e immaginare drammi e commedie”.

Ogni momento era utile per andare a teatro o al cinema, vendeva per strada lo “Stridsropet”, il giornale dell’Esercito della Salvezza, per comprarsi i biglietti. Il suo idolo era l’attore e cantante danese Carl Brisson (che negli anni successivi interpreterà due film del periodo britannico di Alfred Hitchcock) che riuscì a conoscere durante un suo tour a Södermalm.

Nel frattempo il fratello Sven, dopo mille lavori e un lungo servizio militare, aveva incontrato una ragazza di nome Elsa Hägerman, i due si erano innamorati e avevano avuto un figlio, Sven Åke Gustafsson. Ma ben presto la giovane si ammalò e morì. Sven tornò così a vivere col figlio con la sua famiglia. Ormai erano in sette al numero 32 della centrale Blekingegatan.

2. Greta Garbo nel 1920

I drammi, tuttavia, per la famiglia Gustafsson non erano finiti. Nell’inverno del 1919 la tristemente famosa “influenza spagnola” si diffuse in tutta Stoccolma. Papà Karl si ammalò e venne licenziato. I tre figli così iniziarono a lavorare senza sosta. Sven in una panetteria, Alva, che aveva studiato come dattilografa, in un’agenzia di assicurazioni, Greta come “ragazza” di tre barbieri. Metteva il sapone ai clienti prima della rasatura.

Greta si prendeva cura del padre, lo accompagnava ogni settimana in ospedale, prima dell’ultima crisi. Karl Alfred Gustafsson morì a causa di una nefrite il primo giugno del 1920. Per Greta, che non aveva ancora 15 anni, fu un trauma.

Sempre più in difficoltà economica, Greta Gustafsson cercò un nuovo lavoro e lo trovò nei grandi magazzini PUB. Aperti nel 1882 da Paul Urbanus Bergström, dalle iniziali il nome, i magazzini si erano rapidamente ampliati e avevano servito, tra gli altri, anche Lenin che nell’aprile 1917 proprio a Stoccolma aveva acquistato, accompagnato dai comunisti svedesi Ture Nerman e Fredrik Ström, l’abito per il trionfale ritorno in Russia.

Greta lavorò prima come operaia nella modisteria, dove preparava cappelli per signore, poi come commessa nel reparto di abbigliamento femminile. Amava la cioccolata, era paffuta, e non passava inosservata. Bergström, che stampava e inviava i cataloghi dei suoi prodotti, la fece chiamare per fare da modella dei cappelli. Nel catalogo datato 1921 Greta apparì in molte foto, semplici ma efficaci. Non solo. I grandi magazzini PUB erano in continua espansione e Bergström, per festeggiare i quaranta anni dall’inaugurazione, pensò di far realizzare uno spot pubblicitario da proiettare nei cinema prima dei film. Per girarlo venne chiamato il regista Ragnar Ring che scelse Greta Gustafsson per il suo spot intitolato Herrskapet Stockholm ute på inkop, poi chiamato Herr och fru Stockholm (Il signor e la signora Stoccolma) che venne proiettato il 12 dicembre 1920. Benché ci fosse un minimo di trama, una coppia dopo un incendio si reca nei magazzini, l’obiettivo era mostrare gli abiti targati PUB che la giovane Greta indossava divinamente.

Ma tra il lavoro, pubblicità e il primo amore, il pallanuotista Max Gumpel medagliato alle Olimpiadi di Stoccolma nel 1912 e Anversa nel 1920, Greta non aveva dimenticato la passione per la recitazione, il teatro, il cinema.

Nel 1921 partecipò come comparsa, insieme alla sorella Alva, al film En lyckoriddare (1921) di John W. Brunius, poi una nuova pubblicità Konsumtionsföreningen Stockholm med omnejd (Nostro pane quotidiano), ancora diretta da Ragnar Ring, finanziata dall’associazione dei panificatori. Quindi di nuovo comparsa, sempre con Alva, in Karlekens Ögon (1923) ancora di Brunius. I due registi, soprattutto Ring, avevano notato qualcosa in quella giovane svedese, ma per i magazzini PUB doveva fare semplicemente la commessa.

3. Erik A. Petschler

Poi l’occasione. Il regista Erik A. Petschler si recò ai PUB per scegliere personalmente i cappelli per il suo prosssimo film. Venne accolto dai modi gentili e disponibili di Greta che decise di scritturare per lo stesso film. L’aspirante attrice chiese un anticipo sulle ferie, ma al rifiuto dell’azienda si licenziò. Era il 22 luglio 1922. Recitò quindi la parte di una bella in costume da bagno nel film di Petschler Luffar-Petter (Peter the Tramp, 1922), per poi iscriversi, non senza dubbi considerata la situazione economica dei Gustafsoon, alla Royal Dramatic Training Academy. Ottenne una borsa di studio, superò il provino col severo Frans Enwell, già direttore della struttura ora dedito ai nuovi talenti, e vi studiò fino al 1924.

In quegli anni la Royal Dramatic Training Academy era diretta da Gustaf Molander, che ebbe un ruolo importante anche nello sviluppo della cinematografia svedese, e tra gli studenti figuravano Mimi Pollak, Vera Schmiterlöw, Nils Asther, Alf Sjöberg. Greta Gustafsoon, ormai sul palco del Royal Dramatic Theatre di Stoccolma, debuttò davanti al pubblico nell’aprile del 1923 nel ruolo della signora von Brandt nell’opera teatrale di Richard Kessler “The Turtle’s Shame”. Quindi recitò in altri spettacoli, talvolta cantando, nei quali si esibì al fianco dei maggiori attori teatrali dell’epoca: Nils Personne, August Lindberg e Julia Håkansson, Harriet Bosse, Jessie Wessel, Anders de Wahl, Maria Schildknecht, Ivar Kåge, Gabriel Alw e Märta Ekström.

Per arrotondare la paga Greta tornò anche a fare la modella, questa volta per la linea di abbigliamento NK, ma continuava a sognare il cinema che all’epoca vedeva la Svezia tra i vertici mondiali. La mancata distribuzione dei film statunitensi durante la Prima guerra mondiale, infatti, aveva permesso lo sviluppo di una grande casa di produzione, la Svensk Filmindustri – che organizzava anche eventi come l’incontro con Mary Pickford e Douglas Fairbanks (cui, ovviamente, Greta partecipò) – e l’affermarsi di due grandissimi registi: Victor Sjöström e Mauritz Stiller. Con quest’ultimo c’era anche stato un infruttuoso provino, ma i due erano destinati ad incontrarsi nuovamente.

4. Mauritz Stiller

Stiller stava per portare sul grande schermo il primo romanzo di Selma Lagerlöf, monumento vivente in Svezia nonché Nobel per la letteratura nel 1909, che non sempre gradiva questi adattamenti. Il libro, uscito nel 1891, si intitolava “Gösta Berlings saga” e raccontava la storia di un Pastore cacciato dalla sua Chiesa per alcolismo. Per il ruolo maschile il regista scelse Lars Hanson, anche lui convolto nelle pubblicità PUB, ma ormai attore di primo piano nel panorama nazionale. Più casuale, invece, la scelta dell’amata del protagonista, un ruolo secondario nel film, ma centrale per la storia del cinema.

Un giorno, su consiglio di Gustaf Molander, Stiller si recò al Royal Dramatic Theatre di Stoccolma per scoprire dei talenti emergenti. Non si ricordava del loro precedente incontro, ma venne subito colpito da quella diciottenne piuttosto in carne che rispondeva al nome di Greta Lovisa Gustafsson. Quel lungo cognome fu l’unica cosa a non piacere a Stiller che, insieme a Gustaf Molander e allo sceneggiatore Arthur Norde, le propose un altro cognome. In quelle settimane Molander stava leggendo alcuni testi sulla figura di Gabriele Bethlen il condottiero ungherese che nella lingua madre risultava essere Bethlen Gábor. Ispirandosi a quel nome e convinta mamma Anna, con tanto di passaggio in Comune, Greta Lovisa Gustafsson divenne Greta Garbo, una delle più splendenti stelle della Storia.

Per l’attrice Mauritz Stiller divenne un imprescindibile punto di riferimento, mentore e amante, nonostante la grande differenza di età.

5. la sconosciuta Greta Lovisa Gustafsson divenne Greta Garbo

Nell’agosto del 1923 iniziarono le riprese che durarono quasi ininterrottamente fino al febbraio del 1924. Fu la più grande produzione cinematografica svedese dell’epoca. Il film venne presentato in due parti, la prima uscì il 10 marzo del 1924, la seconda parte la settimana successiva, per una durata complessiva di oltre tre ore. Era Gösta Berlings saga (La leggenda di Gösta Berling o I cavalieri di Ekebù), il primo film di Greta Garbo.

Nel 1820 nel Varmland, nel sud est della Svezia, Gösta Berling (Lars Hanson), un Pastore cacciato dalla sua parrocchia per alcolismo, è assunto come precettore della giovane Ebba Dohna (Mona Mårtenson) dalla matrigna Märtha Dohna (Ellen Hartman-Cederström) che, conoscendo il passato di Gösta, vuol far avvicinare sentimentalmente i due per poter diseredare la figliastra in favore del figlio naturale il Conte Henrik Dohna (Torsten Hammarén) sposato con la bella Elizabeth (Greta Garbo, quasi sempre ripresa frontalmente per nascondere il doppiomento). Quest’ultima scopre l’inganno lo riferisce all’incredula Ebba che lascia Gösta e poco dopo muore. L’uomo, distrutto, trova rifugio nella confraternita dei “cavalieri di Ekebù”, una dozzina di avventurieri chiassosi e festaioli, fedeli alla ricca Comandante Margaretha (Gerda Lundequist) che li ospita a sue spese nella dimora di Ekebù. I “cavalieri” hanno il solo compito di animare con spettacoli le serate dei nobili del Varmland. Dopo una rappresentazione teatrale, Gösta conquista involontariamente la ricca Marianne Sinclaire (Jenny Hasselqvist), mentre nella cena che si svolge dopo lo spettacolo, un altro cavaliere, ubriaco, rivela le infedeltà della Comandante (Majorskan, nell’originale). Per le due donne nulla sarà più come prima. La giovane, nonostante la contrarietà della madre Gustafva Sinclaire (Karin Swanström), viene cacciata di casa dal padre Melchior Sinclaire (Sixten Malmerfeldt) e trova rifugio nel castello di Ekebù. Mentre Margaretha viene ripudiata dal marito Julius (Oscar Byström) che lascia in gestione il castello, simbolo dell’infedeltà della donna, nelle disastrose mani dei “cavalieri”. Margaretha, in preda all’odio, si fa aiutare dai popolani, e da fuoco al castello. Ai “cavalieri” viene intimato di andarsene e di ritornare da dove erano venuti, ma l’arrivo delle guardie porta all’arresto della Comandante, mentre Gösta salva Marianne, bloccata a letto dal vaiolo, dalle fiamme. La ragazza viene riaccolta dal padre e interrompe sul nascere l’amore dell’ex Pastore. Ma un’altra donna non riesce a togliersi dalla testa Gösta, è Elizabeth che, saputo dell’incendio, corre a Ekebù. I giovani si incontrano. L’uomo su una slitta trainata da un cavallo, promette di riportarla a casa, ma i due sono costretti ad una corsa tra i ghiacci nella direzione opposta perché inseguiti dai lupi (una delle scene più avvincenti di tutto il film). Finalmente a casa Elizabeth capisce di amare Gösta e poiché il suo matrimonio col Conte Dohna è nullo per un errore di forma, confessa i suoi sentimenti prima di dare con una firma validità al matrimonio. Cacciata trova ospitalità prima dai Sinclaire, poi da Margaretha che, scontata la pena e divenuta vedova, da prima mandato ai “cavalieri” di ricostruire Ekebù poi fa si che l’amore di Elizabeth per Gösta non rimanga segreto facilitando il loro matrimonio.

Considerato il “canto del cigno” del cinema svedese muto, La leggenda di Gösta Berling è il capolavoro di Stiller. Nel film si intrecciano e si sovrappongono molte storie in cui le donne dimostrano una libertà e un coraggio ben superiore a quella degli uomini. Il tutto arricchito da una natura selvaggia, nella quale tutti devono perdersi prima di riuscire a ritrovarsi.

6. La leggenda di Gösta Berling (1924) di Mauritz Stiller

La pellicola ottenne un buon successo di pubblico, ma venne criticata per l’infedeltà rispetto al romanzo di Selma Lagerlöf. Stiller e lo sceneggiatore Ragnar Hyltén-Cavallius, infatti, ridussero di molto la “complicata trama picaresca per privilegiare l’accettazione del destino che pesa sui singoli personaggi, disposti a seguire fino in fondo le loro passioni e le maledizioni familiari che guidano le loro azioni fino a trasformare il film da melodramma in autentica tragedia” (Lourcelles). Da segnalare, infine, la bella fotografia curata da Julius Jaenzon, che ispirò molti lavori dell’Espressionismo tedesco.

In quel film, nonostante la piccola parte, la stella fu Greta Garbo che nel frattempo era diventata amica sempre più intima della compagna di studi di recitazione Mimi Pollak (negli ultimi anni è emersa anche la loro fitta corrispondenza) con la quale trascorreva gran parte del suo tempo e condivideva il palcoscenico. Non dichiaratamente bisessuale. Ma Stiller aveva altri progetti. Voleva unire la cinematografia europea, la tedesca UFA, la francese Pathé e, ovviamente, la svedese Svensk Filmindustri e realizzare un film internazionale.

In quest’ottica il 20 agosto del 1924 si tenne la prima berlinese di Gösta Berlings saga alla presenza di Mauritz Stiller, Gerda Lundequist e Greta Garbo, per la prima volta all’estero. Fu un successo clamoroso. A novembre il film venne visto anche Louis B. Mayer, il capo della Metro-Goldwyn-Mayer (MGM), in Europa per controllare le riprese di Ben-Hur e reclutare nuovi talenti da portare ad Hollywood. Mauritz Stiller era il primo della lista, il suo amico e rivale Victor Sjöström era in California già dal 1923.

7. Louis B. Mayer

Stiller accettò, secondo la leggenda impose anche Greta Garbo e la gestione della stessa nel contratto, ma prima di partire voleva realizzare il suo ultimo film europeo frutto di un accordo con la casa di produzione tedesca Trianon, che aveva anche curato i dettagli del viaggio a Berlino. Accordo siglato. Mauritz Stiller e Greta Garbo dovevano partire per gli Stati Uniti nel maggio 1925.

Nel dicembre 1924 l’attrice e il regista arrivarono a Costantinopoli per iniziare le riprese del film internazionale su cui Stiller aveva lavorato. Nel cast anche Einar Hansson e Conrad Veidt. Il film si sarebbe dovuto intitolare Odalisken från Smolna e avrebbe raccontato la storia di un’aristocratica ragazza russa, che fugge dalla confusione politica della sua terra natale e si imbarca clandestinamente su una nave, sperando di trovare il suo amante a Costantinopoli, ma l’equipaggio della nave la vende come odalisca nell’harem di un principe turco.

Greta Garbo passò anche l’ultimo dell’anno in Turchia, nell’ambasciata svedese, ma quel film non si fece mai (il poco materiale girato è oggi da considerarsi perduto) perché la Trianon fallì lasciando troupe e attori in Turchia. Stiller tornò a Berlino per trovare una soluzione e trovò Georg Wilhelm Pabst, regista tedesco che aveva assistito entusiasta alla prima di Gösta Berlings saga. Pabst si fece avanti per risolvere la situazione e far rientrare l’attrice. In cambio voleva solo un film. Stiller accettò, ma a due condizioni: Greta Garbo la “gestiva” lo svedese, tutto doveva finire tutto prima della partenza per Hollywood.

8. Georg Wilhelm Pabst

Dispiaciuta per il film mancato, Greta tornò a Berlino il 23 gennaio 1925. Giusto in tempo per le riprese che iniziarono il 17 febbraio e si conclusero il 26 marzo 1925. Il 18 maggio dello stesso anno si tenne la prima a Berlino de Die freudlose Gasse (La via senza gioia).

Nel primo dopoguerra Vienna è devastata dall’inflazione e la popolazione è alla fame. Miseria, speculazione, disprezzo per la vita umana che si ritrovano nel microcosmo di Melchiorgasse, la via in cui abitano la proletaria Marie Lescher detta Mizzi (Asta Nielsen), la borghese Grete Rumfort (Greta Garbo), la povera Else (Hertha von Walther), la signora Greifer (Valeska Gert) cinica mezzana e un ripugnante macellaio (Werner Krauss). Davanti alla sua macelleria la fila inizia di notte, quando le donne del quartiere si mettono in coda per qualche misera porzione necessaria al sostentamento. Il macellaio le terrorizza col suo alano, chiama la polizia per farle sgomberare e costringe le donne più disperate, come Else che deve badare al marito disoccupato (Otto Reinwald) e al figlio appena nato, a concedersi per un pezzo di carne surgelata (come ricorda l’insegna della bottega). Marie, anch’ella in coda, non ottiene la porzione che il violento padre (Max Kohlhase) le aveva ordinato. Scappa quindi di casa e finisce nelle mani della signora Greifer, che dietro un negozio di moda nasconde un bordello per uomini facoltosi. Tra bordello e Hotel Carlton (la cui sfrenata volgarità si contrappone alle zone più povere), si muove l’industriale Don Alfonso Canez da Valparaiso (Robert Garrison) accompagnato dal segretario Egon Stirner (Henry Stuart) che rifiuta l’amore di Marie per concedersi a Lia Leida (Tamara Geva), la moglie di un volgare speculatore (Alexander Murski) che, insieme al banchiere Max Rosenow (Karl Etlinger) e alla moglie Regina Rosenow (Agnes Esterhazy) mettono in circolo la voce di uno sciopero per lucrare in borsa. Vittima delle speculazioni finanziarie è Hofrat Rumfort (Jaro Furth). L’uomo vive in un bell’appartamento insieme alle due figlie, la piccola Rose (Loni Nest) e Grete (Greta Garbo), impiegata nello studio dell’avvocato Trebitsch (Raskatoff). Rumfort, vuole riscattarsi dalla crisi economica che sta attraversando (la figlia più piccola si lamenta di mangiare sempre cavoli) e, convinto di fare un buon affare, si licenzia e investe la liquidazione nelle azioni del carbone, date in crescita. Per festeggiare offre alle figlie una ricca cena e invita la più grande a farsi un bel regalo. Grete, derisa anche dalle colleghe per il suo cappotto sgualcito, decide di comprarsi una pelliccia nel negozio della signora Greifer. Ma le azioni, per colpa degli speculatori, sono in caduta libera e i Rumfort cadono in povertà; come se non bastasse Grete viene licenziata perché rifiuta le profferte sessuali del suo capo. La famiglia, tuttavia, non si perde d’animo e decide di affittare una stanza della loro casa al tenente Davis (Einar Hanson) della Croce Rossa. Per un equivoco e per l’orgoglio di Hofrat Rumfort, che non si rassegna alla nuova condizione sociale, l’ufficiale è, tuttavia, costretto a lasciare l’alloggio. Grete, che aveva preso in pegno la pelliccia, è costretta così dalla signora Greifer ad entrare a far parte delle ragazze del suo night club. Le storie di Marie e di Grete, scorrono parallele, senza mai incontrarsi. Marie per gelosia uccide Lia Leida e fa ricadere la colpa sull’amato Egon, per poi confessare tutto e riprendere, ormai malata, la sua vita tra miseria e bordelli. Grete, scovata per caso dal tenente Davis, rifiuta la prostituzione e viene salvata dall’ufficiale insieme al padre. Ben più tragica la fine di Else. Non ha più la forza di allattare e torna dal macellaio, pronta a concedersi nuovamente pur di salvare il figlio. Al rifiuto del ripugnante uomo, lo uccide con una mannaia. La folla la supporta e, ormai stanca delle continue angherie, appicca il fuoco al bordello. Si salverà solo il figlio di Else che verrà adottato dall’intera via.

9. La via senza gioia (1925) di Gerorge Wilhelm Pabst

Un nuovo film prevalentemente al femminile che rimane una fotografia spietata della Repubblica di Weimar, dove tutto è riducibile alla valutazione monetaria. Articolato in nove atti il film è, infatti, “un ritratto il più possibile oggettivo e distaccato della miseria – fisica e morale – che dominava Vienna e la Germania del dopoguerra” (Mereghetti). La pellicola divenne rapidamente famosa in Germania e all’estero, ma l’inflessibile realismo di Pabst nel descrivere quella decadenza, quell’affresco dello squallore del mondo tedesco in cui l’inflazione aveva reso ancora più poveri gli ultimi e tolto ogni senso morale ai più ricchi, offese i contemporanei.

Grandissima prova delle due principali attrici in un simbolico passaggio di testimone: Asta Nielsen, la stella del muto europeo, chiuse di fatto la carriera, Greta Garbo l’aveva appena iniziata; anni dopo confessò “di non aver mai capito il suo grande successo visto che era niente se confrontata ad Asta Nielsen”. Ma un’altra diva comparve nella pellicola, Marlene Dietrich coi capelli ancora neri, all’epoca sconosciuta cantante del “kabarett” berlinese, si intravede ad inizio film tra le donne in coda dal macellaio. Secondo alcune ricostruzioni il rapporto tormentato tra Greta e Marlene iniziò proprio sul set de La via senza gioia.

Garbo e Stiller dopo il ritorno in Svezia e un mancato accordo con la tedesca UFA, partirono finalmente per gli Stati Uniti. Il 26 giugno del 1925 salirono sulla S/S Drottningholm, il transatlantico che copriva la rotta Svezia-USA. Arrivarono a New York il 5 luglio accolti dal solo Hubert Voight, un pubblicista della MGM che era stato incaricato di incontrarli. Voight riuscì a fare, per la rivista “Motion Picture”, la prima intervista a Greta Garbo negli Stati Uniti e una delle poche in assoluto.

10. Greta Garbo e Mauritz Stiller in partenza per gli Stati Uniti

Già perché Mauritz Stiller teneva molto alla riservatezza e all’alone di mistero che circondava la “sua creatura”. I set dovevano essere recintati (talvolta con tende), nessuno poteva entrare in scena e perfino il regista doveva nascondersi (elemento che aveva già portato allo scontro con Pabst). In caso contrario Greta Garbo sarebbe rientrata nel camerino e andata via. Poche e scrupolosamente selezionate le foto. Il primo a ritrarla fu il fotografo Arnold Genthe.

Impaurita e riservata Greta Garbo voleva ritornare in Svezia. Fortunatamente Mauritz Stiller e Victor Sjöström la convinsero a restare anche perché nell’agosto del 1925, dopo settimane di serrate trattative, arrivò il contratto della MGM, firmato il giorno del suo ventesimo compleanno. L’accoglienza a Hollywood fu più calorosa e i due vennero accompagnati da Louis B. Mayer nell’ufficio di Irving Thalberg, uno dei più grandi produttori di tutti i tempi, che le fece un provino. L’attrice venne messa a dieta, perse venti chili, i denti furono limati e incapsulati, ma rimaneva un “problema”: l’altezza. Greta era troppo alta per la media degli attori USA, quindi il consiglio era quello di girare scalza nel set.

Quale set? Stiller provò, invano, a riprendere il suo Odalisken från Smolna, che aveva prontamente tradotto in inglese, ma la MGM lo cestinò senza troppi problemi. Il nuovo film con Greta Garbo era, invece, tratto da una novella dello spagnolo Vicente Blasco Ibáñez intitolata “Entre Naranjos”. Scelto da tempo il protagonista maschile, Ricardo Cortez che aveva lo pseudonimo latino, ma era un ebreo viennese, l’attrice si aspettava alla regia il mentore Stiller, ma la MGM stava già prendendo le distanze. La direzione fu affidata a Monta Bell, famoso solo per aver attaccato i baffi di Groucho Marx. I due artisti svedesi non gradirono la scelta, ma decisero insieme di accettare il ruolo per Greta. Come se non bastasse Ricardo Cortez si sentiva l’erede di Rodolfo Valentino e trattò con arroganza e sufficienza la giovane attrice svedese, definita “idiota”. Nonostante tutto il 21 febbraio del 1926 uscì il primo film americano di Greta Garbo, Torrent (Il torrente).

11. Torrent (1926) di Monta Bell

Don Rafael Brull (Ricardo Cortez) e la bella Leonora Moreno (Greta Garbo) sono cresciuti nello stesso paese in Spagna. Si innamorano, ma per la madre del ragazzo le diverse estrazioni sociali sono insormontabili. Leonora, divenuta una star dell’opera a Parigi, dove Rafael si era rifiutato di andare, torna in paese, la passione si riaccende, ma l’uomo deve sposare, ancora per volontà della madre, un’altra donna.

Film modesto, ma la MGM entusiasta. Ricardo Cortez era convinto di avere nell’attrice svedese una modesta spalla, alla fine del film scoprì che la stella era Greta Garbo. La rivista Variety scrisse: “È la vera scoperta dell’anno, un’attrice convincente, con una personalità magnetica. Teniamo d’occhio questa ragazza perché andrà lontano”. Andrà lontano per davvero.

Nel frattempo la MGM, che voleva estendere il contratto all’attrice da tre a cinque anni, aveva incaricato Stiller di scrivere e dirigere per lei un nuovo film tratto da “La Tierra de Todos”, ancora un’opera di Ibáñez. La sceneggiatura venne giudicata buona dai produttori, si intitolava The Temptress (La tentatrice). Greta Garbo era entusiasta del nuovo progetto, ma ben presto l’entusiasmo sparì. A febbraio iniziarono le riprese, ma dopo quattro settimane i problemi di Stiller con la lingua inglese, lo scontro con l’attore protagonista Antonio Moreno, cui intimò di tagliarsi i baffi perché davano fastidio alla Diva, e i crescenti dissapori con la MGM, portarono al licenziamento del regista che venne sostituito da Frank Niblo. Fu l’ultima volta in cui Mauritz Stiller e Greta Garbo lavorarono insieme.

12. Stiller dirige Greta Garbo e Antonio Moreno in La tentatrice, prima di essere licenziato dalla MGM

L’attrice cadde in una forte depressione, sempre più sola in un mondo che, tutto sommato, non sentì mai suo. A questo si aggiunse il 21 aprile del 1926 la morte prematura, per tumore, dell’amata sorella Alva.

Nonostante tutto, in ritardo sui tempi di programmazione in quanto vennero rigirate tutte le scene fatte da Stiller, uscì The Temptress.

Elena (Greta Garbo) è una bellissima donna dal passato misterioso, che porta alla rovina il marito, al suicidio il suo socio in affari e sembra distruggere tutti coloro che vengono in contatto con lei.

Altro grande successo di pubblico, con due diversi finali che i cinema potevano scegliere.

Nell’estate 1926 Greta Garbo avrebbe voluto tornare in Svezia, ma Mauritz Stiller, passato alla Paramount, e, soprattutto, il contratto con la MGM, la convinsero a restare anche perché per lei era pronto un nuovo film. Il regista era Clarence Brown (Clinton, 10 maggio 1890 – Santa Monica, 17 agosto 1987) che da assistente di Maurice Tourneur era passato alla regia firmando, tra gli altri, The Eagle (Aquila nera, 1925) grande successo con Rodolfo Valentino. L’italiano sarebbe stato perfetto per il nuovo film, ma morì prematuramente il 23 agosto. Alla sua morte una trentina di suicidi e qualche decina di migliaia di persone in due differenti cortei funebri. Il ruolo fu quindi interpretato da John Gilbert (Logan, 10 luglio 1897 – Los Angeles, 9 gennaio 1936), già protagonista di The Big Parade (La grande parata, 1925) di King Vidor, e The Merry Widow (La vedova allegra, 1925) di Erich von Stroheim. Il resto lo fecero Greta Garbo e l’innegabile passione che scoppiò sul set. Il 25 dicembre del 1926 uscì Flesh and the Devil (La carne e il diavolo).

13. Flesh and the Devil (1926) di Clarence Brown

Germania fine Ottocento. Amici fin dall’infanzia Leo von Harden (John Gilbert) e Ulrich von Eltz (Lars Hanson, altro svedese legato a Stiller giunto a Hollywood) condividono anche la scuola militare. Durante un ballo Leo si innamora ricambiato della ricca Felicitas von Kletzingk (Greta Garbo), ma quando il marito, il Conte von Rhaden (Marc McDermott), li scopre lo sfida a duello, usando come scusa una partita a carte finita male per non rovinare il suo nome. Leo all’alba uccide il rivale e su consiglio del pastore Voss (George Fawcett) fugge in Africa affidando Felicitas alle cure di Ulrich, ignaro di tutto. Una volta rientrato apprende che i due si sono sposati. Leo impazzisce, aggredisce la donna per poi essere nuovamente sfidato a duello. Felicitas, su insistenza di Hertha (Barbara Kent) innamorata di Leo, corre per separarli, ma cade attraverso uno strato di ghiaccio e muore, mentre Leo e Ulrich ritovano l’amicizia (con sfiorati elementi omosessuali).

Tratto dal romanzo di Hermann Sudermann, Flesh and the Devil è un insolito melodramma “con un finale violentemente misogino” (Mereghetti), qualche maldestra trovata del regista (le sovrimpressioni), ma passato alla storia per le scene, all’epoca scabrose di Greta Garbo che sceglie di bere il vino consacrato dallo stesso lato del calice ancora umido dalle labbra dell’amante e il trasportato bacio tra i due protagonisti, reale e passionale, che fecero dell’attrice la diva del momento. Un volto bellissimo, magnificamente illuminato da William H. Daniels che curerà gran parte dei suoi film.

Greta Garbo e John Gilbert si ritrovarono sul set nel successivo Anna Karenina (1927) diretto da Edmund Goulding.

14. Anna Karenina (1927) di Edmund Goulding

Nella Russia zarista il giovane ufficiale e conte Alexei Vronsky (John Gilbert) si innamora di Anna Karenina (Greta Garbo), moglie del senatore Karenin (Brandon Hurst) e madre di Serezha (Philippe De Lacy).

Liberamente tratto da Leo Tolstoy il film non è la migliore trasposizione dell’opera, ma ancora una volta Greta Garbo lasciò il segno.

Stiller, invece, tornò in Europa, diresse ancora due film, per poi morire solo e dimenticato nel 1928 ad appena 45 anni. Il cinema di Hollywood, il cinema capitalista per eccellenza, pare non aspettasse altro. Alla morte di Stiller, lo sceneggiatore Ragnar Hyltén-Cavallius, su ordine dei produttori, sonorizzò Gösta Berlings saga e tagliò quasi metà del film per mettere in risalto il solo ruolo di Greta Garbo, che nella versione originale, di fatto, entrava in scena solo nella seconda parte del film. Stessa sorte anche per Die freudlose Gasse, ribattezzato Joyless Street, con la presenza di Asta Nielsen quasi cancellata.

Ma a Hollywood un regista che aveva fatto fortuna c’era ed era Victor Sjöström che la diresse in un film molto svedese, oggi perduto, ma fondamentale. Nella pellicola, di cui resta solo un frammento di nove minuti, Marianne (Greta Garbo) seduce il giovane soldato Lucien (Lars Hanson) e, in sua assenza, diviene l’amante del ricco Henry Legrand (Lowell Sherman). Classico triangolo, ma indimenticabile fu, soprattutto, il titolo The Divine Woman (La donna divina). Da quel momento Greta Garbo, che aveva già conquistato i titoli dei film, divenne semplicemente The Divine, La Divina.

15. The Divine Woman (1928) di Victor Sjöström

Il cinema, nel frattempo, aveva scoperto il sonoro, ma Greta Garbo l’inglese lo parlava poco e male, nonostante l’impegno dell’attore e interprete Sven-Hugo Borg (altro cognome che alla Svezia darà molto). Quindi la MGM decise di realizzare ancora film muti.

Nel 1928 uscì The Mysterious Lady (La donna misteriosa) ancora diretta da Fred Niblo con un canovaccio non dissimile dai precedenti.

Il capitano austriaco Karl von Raden (Conrad Nagel) cade nella trappola tesagli dalla spia russa Tania Fedorova (Greta Garbo) che si innamora di lui.

Un melodramma modesto e prevedibile, “Von Sterberg ne avrebbe potuto ricavare un grande film, Niblo riesce solo a valorizzare il fascino magnetico di Greta Garbo – che comunque non è poco” (Mereghetti).

Di diverso spessore il successivo A Woman of Affairs (Il destino, 1928) che vide tornare a lavorare insieme Clarence Brown, John Gilbert e Greta Garbo.

In Inghilterra quando le nozze con l’amato Neville Holderness (John Gilbert) vengono ostacolate dal padre di lui (Hobart Bosworth), la ricca Diana Merrick (Greta Garbo) ripiega sull’amico David (Johnny Mack Brown) che, copertosi di debiti pur di mantenerla, si uccide in viaggio di nozze. Tornata in patria dopo diversi anni ritrova Neville, ormai sposato, e decide di uccidersi piuttosto che rovinargli la vita.

Film che fece scaldalo e scalpore, benché più “morbido” rispetto al libro da cui era tratto “The Green Hat” di Michael Arlen, ma che stagliò ulteriormente la figura di Greta Garbo come donna forte e fatale. Sensuale la scena dell’anello che scivola dal dito (una sequenza simile c’era anche in Gösta Berlings saga) e la protagonista che abbraccia il mazzo di fiori come fosse un amante.

Seguirono Wild Orchids (Orchidea selvaggia, 1929) diretto da Sidney Franklin in cui il principe De Gace (Nils Asther, danese soprannominato con troppa enfasi “the male Greta Garbo”) cerca di sedurre Lillie Sterling (Greta Garbo) in vacanza col marito John (Lewis Stone) in un paese esotico (durante le riprese la MGM impedì a Greta Garbo di partecipare ai funerali di Stiller); The Single Standard (Donna che ama, 1929) del veterano John S. Robertson, un altro triangolo amoroso in cui interpretò la ricca Arden Stuart divisa tra Tommy (Johnny Mack Brown) e Packy (Nils Asther); e soprattutto The Kiss (Il bacio, 1929), per la regia di Jacques Feyder.

The Kiss (1929) di Jacques Feyder

Parigi. Irene Guarry (Greta Garbo) infelicemente sposata con Charles (Anders Randolf), molto più vecchio di lei e gelosissimo, trova conforto nelle braccia dell’avvocato André Dubail (Conrad Nagel) ed è goffamente corteggiata dal giovane Pierre (Lew Ayres) che, mentre cerca di baciarla, viene sorpreso dal marito. Charles il giorno dopo viene trovato morto. Irene viene processata per omicidio e a difenderla è lo stesso André che sostiene la tesi del suicidio. Riesce a scagionarla, ma la donna confessa.

Debutto hollywoodiano per Jacques Feyder con un dramma non sempre convincente. Fu l’ultimo film muto della MGM.

Greta Garbo era passata da essere una ragazza dolce e indifesa nei film europei, ad essere una donna ardente, calcolatrice, affascinante, dura e sinuosa a Hollywood. Era, appunto, diventata La Divina. Ma dalla Germania stava arrivvando una sua vecchia conoscenza.

MARCO RAVERA

redazionale

LA SECONDA PARTE USCIRà il 27 novembre


Bibliografia
“Enciclopedia Rizzoli Larousse”
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2021” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi

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