Gran Bretagna: un trionfo previsto, oppure una disfatta annunciata

La scelta tra due punti di vista così diversi ci porta a considerare come la relatività delle cose possa condizionare anche il primo sguardo sulle elezioni generali che si...

La scelta tra due punti di vista così diversi ci porta a considerare come la relatività delle cose possa condizionare anche il primo sguardo sulle elezioni generali che si sono svolte il 4 luglio (data fatidica per storia britannica) nel Regno Unito e che segnano una piccola svolta, almeno in apparenza, dopo 14 anni di governi conservatori.

Nel regno di Carlo III, con le prime elezioni generali senza Elisabetta dopo 69 anni, e l’affluenza in calo che con il 60% registra il peggior risultato degli ultimi 20 anni, la “legge del pendolo” ha rispettato lo scenario dell’alternanza che analisti e sondaggi indicavano già da un anno, con la valanga laburista che si è abbattuta sul premier Sunak e ciò che rimane della maggioranza Tory dopo quasi tre lustri di potere che hanno cambiato molto il paese.

L’ultima volta del Labour, nel 2010, alla guida del numero 10 di Downing Street c’era Gordon Brown agli sgoccioli dell’egemonia blairiana. Un’era geologica fa, considerando la Brexit, e i cambiamenti avvenuti negli ultimi 4 anni.

E’ il giorno del Labour Party; è il giorno di sir Keir Starmer, di professione avvocato e attuale segretario del secolare partito dei lavoratori britannici, che con 9.725.000 voti e il 33,8% si aggiudica la vittoria elettorale e una super maggioranza alla Camera dei Comuni di 412 deputati, ad un soffio dai record ottenuti da Tony Blair nelle elezioni del 1997 e del 2001.

Risultati elettorali nello speciale del “The Times”

Moderato di buon senso e non ideologo, come si autodefinisce, Starmer ha riportato il Labour sui sentieri moderati e centristi della terza via tanto cara a Blair epurando molti membri dell’ala sinistra. Non è un caso, infatti, che abbia ricevuto anche apprezzamenti da tabloid e quotidiani storicamente più vicini ai conservatori. Ha persino elogiato Margaret Thatcher per aver risvegliato lo spirito imprenditoriale del paese, dimenticando i gravi danni allo stato sociale che aveva prodotto la “lady di ferro” negli anni Ottanta.

Una figura pragmatica e politicamente ambigua nella sua ricerca all’elettore mediano, che però difficilmente potrebbe fare peggio di chi lo ha preceduto negli ultimi anni alla guida del paese. O forse no.

Chi invece è riuscito ad ottenere uno dei peggiori risultati di sempre nella storia dei Tories, a livello di eletti, è stato Rishi Sunak. Naturalmente il peso della sconfitta può essere condiviso con Boris Johnson e Liz Truss (che ha perso il suo seggio), ma la sua decisione di anticipare le elezioni di 6 mesi ha accelerato la disfatta.

Con 6.824.000 voti raccolti, il 23,7% e solo 121 rappresentanti, mai i conservatori avevano fatti così male a Westminster dimezzando di fatto i risultati delle ultime elezioni, e gli effetti della Brexit, gli scandali che hanno travolto Johnson, la posizione ultra aggressiva sulla questione Ucraina e l’inflazione galoppante – che solo di recente è tornata a scendere significativamente – sono solo alcune delle spiegazioni del tracollo.

Il Conservative Party vive da anni una crisi identitaria e la frattura creata dalla scelta di fare o meno la Brexit prima, e di come realizzarla dopo, non hanno fatto altro che mandare ancora più in confusione l’intero partito e il suo elettorato.

Molti dei voti persi dai conservatori sono finiti al partito di destra-destra Reform UK di Nigel Farage, storico nocchiero dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e vera sorpresa della tornata elettorale. Il suo partito ottiene il 14% e 4 milioni di voti, ma solo 5 rappresentanti alla Camera.

Un classico effetto del funzionamento del sistema elettorale maggioritario britannico, con i suoi collegi uninominali dove conta avere un voto in più degli altri per vincere. Ne guadagna la stabilità della legislatura, ne perde chiaramente la rappresentanza dei partiti medio-piccoli, schiacciati dai due più grandi. E con questo meccanismo, il partito Liberal-democratico ottiene solo il 12% con 3.400.000 voti e 71 rappresentanti contro i 5 del più votato Farage.

Scendendo a livello regionale, chi esce fortemente ridimensionato da queste elezioni è il Partito Nazionalista Scozzese, spazzato via nelle zone industriali dal ritorno dei laburisti, con circa mezzo milione di voti persi e solo 9 seggi raccolti sui 48 della scorsa tornata.

Complice anche lo scandalo dei fondi pubblici al partito che aveva costretto la precedente premier locale Nicola Sturgeon alle dimissioni nel 2023, questo risultato è una battuta d’arresto importante che, come riconosciuto anche dai suoi stessi dirigenti, mette in naftalina per un po’ di tempo la battaglia indipendentista, non percepita attualmente dagli scozzesi come istanza prioritaria di una popolazione decisamente più interessata alla garanzia e alla tutela dello stato sociale.

Risultati elettorali dal sito della BBC

In Galles i laburisti confermano la loro ampia egemonia anche se in leggere calo rispetto al 2019, mentre la vera notizia è che i conservatori non ottengono nemmeno un seggio. Il partito nazionalista gallese elegge 4 rappresentanti e conferma la sua buona posizione di “diritto di tribuna” ai Comuni.

In Irlanda del Nord i risultati confermano le tendenze degli ultimi anni: i repubblicani di sinistra dello Sinn Fein, con una bella prestazione, confermano la maggioranza relativa al 27% e conquistano 7 rappresentanti, mentre il Partito Unionista Democratico si conferma seconda forza 22% e 5 seggi. Altri partiti unionisti raccolgono 4 seggi. La situazione nell’Ulster, quindi, è al momento cristallizzata.

La nota più piacevole, forse anche perché più inaspettata, riguarda l’ex segretario nazionale laburista Jeremy Corbyn, che dopo essere stato allontanato dal partito con la ridicola scusa dell’antisemitismo, è riuscito nell’impresa di essere rieletto come indipendente nel suo storico collegio di nord Islington a Londra.

Una notizia sicuramente poco piacevole per i media nostrani, che negli anni si erano accaniti ferocemente per i risultati ottenuti da Corbyn alla guida del Partito Laburista; eppure, dati alla mano e onestà intellettuale, nonostante le sconfitte del 2017 e del 2019, Corbyn aveva ottenuto oltre 10 milioni di voti in entrambe le occasioni, ben al di sopra del moderato Starmer, che oggi migliora a livelli di seggi, ma non in termini di voti assoluti.

Corbyn non pagò per la sua proposta politica massimalista, come ripetuto spesso in malafede da Letta, Gentiloni e Renzi, bensì per l’ambiguità naturale con cui lui e il suo partito dovettero affrontare il tema della Brexit nelle elezioni del 2019 in un elettorato polarizzato.

In quell’occasione, se obtorto collo i conservatori avevano fatto quadrato intorno a Johnson e avevano raccolto i voti di tutti coloro che volevano l’uscita dall’Europa (compresi i lavoratori della “muraglia rossa” nel nord-est dell’Inghilterra, storicamente a sinistra), i laburisti furono logorati dalla mancanza di chiarezza sul tema più divisivo della recente storia britannica. Ben pochi avrebbero saputo fare meglio in quella situazione, con buona pace di chi sostiene il contrario.

L’elezione di Corbyn permette di avere ancora a Westminster una voce critica e apertamente socialista, attorno al quale è possibile riunire i sopravvissuti all’epurazione dell’ala sinistra avvenuta nel Labour Party.

Al di là del superficiale clamore mediatico utilizzato per rappresentare i risultati elettorali di Starmer come sorprendenti, l’impressione – sostenuta dai dati finali – è che nel complesso siano i conservatori ad aver perso le elezioni, piuttosto che i labursti ad averle vinte. Un passaggio di consegne all’interno di un sistema già collaudato e senza vere sorprese.

A differenza del 1997, quando il New Labour, pur nella sua svolta liberista, dava un’impressione diversa e nuova, quella di oggi sembra più che altro un ritorno ai passati (ne)fasti blairiani, con tutto ciò che ne può conseguire: maggiore attenzione, ma senza esagerare, allo stato sociale, ma politiche neoliberiste per la classe padronale.

Il tempo dirà se, nel parlamento di Westminster, ci sarà spazio per delle sorprese oppure se tutto seguirà la solita lineare quiete tanto cara ai britannici.

FABRIZIO FERRARO

6 luglio 2024

foto: screenshot ed elaborazione propria

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Fabrizio Ferraro

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