Si fa sempre più frequente, nel dibattito mediatico su giornali e televisioni, ma in particolare – a dire il vero – proprio sulla carta stampata, la citazione del machiavellismo come praxis politica comune, estorcendo all’autore del “De principatibus” una discendenza quasi ideologica, una appartenenza postuma di azioni che nulla hanno e avrebbero avuto a che fare col pensiero di Niccolò Machiavelli.
Pensieri ed azioni che si riferiscono alla politica italiana di un oggi intriso di emergenzialità, di velocissima composizione di decreti che umiliano il ruolo del Parlamento repubblicano e ne fanno, il più delle volte, una duplice sede di mera ratifica delle decisioni prese dal governo. Il vilipendio della democrazia, ormai abbastanza evidente anche per chi nega che tutto questo possa avere una simile connotazione, è nei fatti, nonostante chi lo porta avanti dica di agire per il bene del Paese, per l’interesse collettivo e nel pienissimo rispetto della Costituzione.
Per l’appunto nel dibattito di queste settimane, in merito ai rapporti squilibrati tra i poteri dello Stato, alterati certamente dall’effetto pandemico sulla politica italiana, europea ed internazionale, si è inserito il ricorrere ad un termine che era stato dimenticato per decenni: il “bonapartismo“. Se ne riprese la citazione all’avvento prepotente del berlusconismo, cesura ultima per una Italia che ancora rispondeva allo schema democratico ereditato dalla fine della Seconda guerra mondiale, passato più o meno indenne per cinquant’anni tra eversioni nere, tentativi di colpi di Stato, terrorismi di vario colore e una politica pervertita all’interesse personale con l’emergere del craxismo.
Ma già allora il termine di paragone strideva: usato da Marx aveva un significato veramente attuale nel definire l’involuzione antisociale e antidemocratica di uno Stato liberale ad opera di un individuo spuntato – se non dal nulla, perché nessuno viene dal nulla – quanto meno in un repentino susseguirsi di eventi che, senza bisogno di ricorrere alla categoria della “rivoluzione“, avevano finito col mutare radicalmente il presente dal passato per proiettarlo in un futuro completamente nuovo.
Usato oggi, il termine “bonapartista“, riferito a personaggi ed eventi non casuali ma ben determinati e riscontrabili nella storia triste del nuovo secolo e millennio, risulta meno di grottesco ma certamente fuori luogo. A prima vista può sembrare che non vi sia un sinonimo adatto per descrivere la presunzione salvifica che è stata cucita attorno al draghismo e alla sua espansione nella istituzioni della Repubblica. Ad una osservazione più attenta, andando a ricercare un po’ negli studi politici, sociali ed economici del ‘900, si ritrova invece il termine che fa al caso nostro e che descrive molto circostanziatamente ciò che, un po’ ciclicamente, avviene nei corsi e ricorsi storici. Quindi anche nella stretta attualità in cui ci troviamo.
Angelo d’Orsi, nel suo libro “Gramsci. Una nuova biografia“, si occupa degli studi del grande pensatore sardo più e più volte. Lo fa con una prosa molto accurata, che sminuisce le difficoltà che il lettore potrebbe riscontrare nell’avvicinarsi alla vita del primo Segretario del Partito Comunista d’Italia, permettendo a tutti di leggere tra le pieghe dell’esistenza di uno degli intellettuali più rilevanti che si imporranno letteralmente sulla scena mondiale, a partire dalla fine della guerra.
Nella biografia di d’Orsi la straordinarietà della vita di Gramsci è trattata senza alcun intento agiografico, senza enfasi, ma con il rispetto storico, politico e intellettuale che si deve ad un uomo che ci ha lasciato una eredità davvero unica per poter aprirci all’esercizio costante di una dialettica intuitiva e ad uno stimolo del dubbio che non rimanessero esercizio ozioso e petulante, tipicamente autoreferenziale; ma che, invece, fossero proprio il miglior modo di attualizzare il marxismo.
Nei “Quaderni dal carcere” numeri 4 e 13, Gramsci nota e analizza il rapporto tra Machiavelli e Marx nello sviluppo di una concezione dello Stato in rapporto alla politica del tempo e alle trasformazioni che sarebbero state determinate dall’emergere di nuove ispirazioni culturali, sociali e civili in relazione alla complessità dei rapporti interstatali e – ovviamente – di natura economica.
L’aggiornamento di analisi che Gramsci introduce nella critica del suo tempo, vale oggi per descrivere proprio quei fenomeni di innovamento politico che sono fortemente condizionati da tumultuosi rimescolamenti degli assi di dominio finanziario-speculativo su un mondo in pieno rivolgimento.
Il “cesarismo” gramsciano si sostituisce al “bonapartismo” marxiano e la comprensione di questi passaggi è possibile, tanto per lo studente ancora a digiuno di scienza politica quanto per lo studioso attento e preparato, grazie alla considerazione che d’Orsi mette nello scrivere una biografia di Gramsci che non sia soltanto il racconto della sua vita, ma soprattutto una intima conoscenza intellettuale dell’uomo, del comunista, del filosofo, dell’uomo politico e anche del giornalista, del divulgatore di complicati concetti attraverso una stampa liberamente in controtendenza e, per questo, censurata e repressa dal regime fascista perché – prima di tutto – dichiaratamente antimussoliniana.
Senza scostarsi troppo dall’attualità dell’oggi, dal draghismo che ci sovrasta, la lettura del “Gramsci” di Angelo d’Orsi non ci separa minimamente dal limitrofo sociale, civile ed intellettuale del nostro tempo.
Proprio la conoscenza approfondita della vita di quel cervello che il fascismo voleva mettere a tacere per vent’anni, impedendogli di pensare (una delle sconfitte più grandi di Mussolini e dei suoi tribunali repressivi e criminali), è oggi più che mai necessaria per capire le circonvoluzioni di eventi che si somigliano sempre di più; per cui è possibile – senza esagerazione alcuna – fare dei paragoni che abbiano una attinenza con un pragmatismo dei fatti che ci aiuti a riconoscere i pericoli dell’autoritarismo, del deperimento democratico e dello sfibramento sociale.
Il partito comunista che Gramsci vuole costruire si separa, ad un certo punto, dalla rigida dualità del marxismo-leninismo, non per spirito di eresia, non per contrasto diretto, ma per cercare di adattare all’esperienza italiana l’analisi del Moro e i suoi sviluppi novecenteschi. Nello studio di Machiavelli e, in particolare, nel riprendere quello del Risorgimento, Gramsci ritrova tutta una sequela di analogie con il tempo in cui si trova a sopravvivere, braccato dalle camicie nere, arrestato nonostante fosse deputato in carica, relegato nelle regie prigioni, costretto a leggere senza poter scrivere per anni e anni.
Mussolini non è un moderno Cesare e tanto meno un Bonaparte. E’ accostabile a quel “cesarismo regressivo” che ha connotazioni non militari ma, invece, poliziesche, repressive. Il filo nero della storia d’Italia si svolge in un pericoloso labirinto in cui è difficile vedere l’uscita: il regime fascista non solo condurrà il Paese alla rovina morale e materiale, ma ne inquinerà quella “democrazia liberale” che esisteva prima della marcia su Roma e che verrà sostituita dalla nuova democrazia costituzionale, fondata sul lavoro e quindi con un carattere sociale marcato, nonostante il compromesso inevitabile con il privato, con il capitale.
Il draghismo di oggi è un salto di qualità proprio di questo equilibrio inserito nella Costituzione e che, alla fine, determina una prevalenza del pubblico sull’interesse particolare e personale. Il berlusconismo ha ereditato dal craxismo una marcata tendenza a spostare questo punto di compromesso, distruggendo la consuetudine che voleva esistesse una sorta di formale equidistanza tra la politica e l’impresa, tra la politica e il mondo del lavoro.
Nel momento in cui Berlusconi “scende in campo“, il neobonapartismo si riprende la scena e per vent’anni fa strame degli assi portanti dello stato sociale, di una enorme rete di tutele di un proletariato moderno che sa sempre meno di essere tale perché non si riconosce più in una classe sociale atomizzata, parcellizzata e separata da sé stessa grazie alla seduzione merceologica, al rampantismo e all’egoismo portato in processione in ogni parata istituzionale, in ogni discorso ufficiale e in tanti, troppi dibattiti televisivi.
La vita di Antonio Gramsci che Angelo d’Orsi ci ha raccontato nel suo libro ci serve tanto, veramente tanto, per interpretare le apparenti incomprensibili trasformazioni della politica italiana al suo interno e nei contesti più ampi del continente economico europeo e nel “mondo grande e terribile“. La lettura di una biografia, come ci insegna questa esperienza, a volte non riguarda soltanto l’uomo o la donna che vi sono descritti e narrati, ma ci obbliga a fare i conti con il suo tempo e, soprattutto, col nostro.
GRAMSCI. UNA NUOVA BIOGRAFIA
ANGELO D’ORSI
FELTRINELLI, 2018
€ 15,00
MARCO SFERINI
11 gennaio 2022
foto: particolare della copertina del libro