Gramsci, Togliatti, Berlinguer. Tre idee per il cinema e la letteratura

Non soltanto la storia del Partito Comunista Italiano si prefigura nella trattazione della rappresentazione cinematografica, artistica e letteraria delle vite di Gramsci, Togliatti e Berlinguer, ma una linea di...

Non soltanto la storia del Partito Comunista Italiano si prefigura nella trattazione della rappresentazione cinematografica, artistica e letteraria delle vite di Gramsci, Togliatti e Berlinguer, ma una linea di continuità temporale che includa, per l’appunto, anche cultura e socialità fornisce immediatamente un quadro sufficientemente chiaro dell’Italia novecentesca, delle sue contraddizioni, del fascismo stesso, delle guerre volute e subite, di una ricostruzione saturniana affidata ad una democrazia claudicante ma ben delineata nelle pagine costituzionali.

Dietro ai tre segretari del PCI più ricordati e studiati, c’è l’epifenomeno di un intero Paese, il retroscena di una complessità nazionale che già emerge nei primi scritti gramsciani e che, con la ricomposizione democratica del dopoguerra si viene esprimendo compiutamente nell’analisi togliattiana e, con molte differenze, in quella berlingueriana.

Ivano Azzellino, con “Gramsci, Togliatti, Berlinguer. Tre idee per il cinema e la letteratura” (Tab edizioni) ha tentato ed ha osato, per certi versi, estrinsecare le qualità primigenie dei tre grandi leader comunisti, mettendole a fuoco attraverso la trasposizione che, direttamente o meno, ne ha fatto la Settima arte e, più in generale, anche la pittura, la letteratura e le scienze politiche.

Il suo studio non è una prima lettura per tutti: servono conoscenze profonde per avvicinarsi ad una disamina così meticolosa e particolareggiata, messa insieme proprio con un “metodo storico” che, infatti, poggia su una ricca bibliografia e su una documentazione esposta attraverso cui il lettore può verificare, passo dopo passo, la veridicità di quanto l’autore espone in modo lucido, lineare e comprensibilissimo soprattutto per i neofiti della cinematografia “politica”.

In questa intervista, che intende presentare un libro che unisce biografia, tratteggio storico, analisi dei contesti, un pizzico di sociologia e una capacità di rendere parallelamente fatti novecenteschi pre-bellici con gli sviluppi culturali invece di un dopoguerra in cui nasce la nuova Italia repubblicana, vorremmo approfondire con Ivano Azzellino alcuni particolari che ci sono sembrati interessanti sotto molteplici aspetti:

Il libro si apre con le biografie di Gramsci, Togliatti e Berlinguer. La necessità della sintesi non ti ha impedito di stabilire già nelle prime pagine una correlazione diretta con il seguito del tuo studio: il rapporto con le arti figurative e, fondamentalmente, con la novità novecentesca per eccellenza, con quella che Mussolini chiamò «l’arma più potente», ossia il cinema.
Come nasce questa intuizione di disarticolare le vite di tre grandi uomini di cultura, di tre grandi politici, di tre comunisti attraverso la trasposizione del grande schermo?

Ivano Azzellino

Per risponderti devo partire da mio padre che ha lavorato per diversi anni a l’Unità, lo storico quotidiano di riferimento del Partito Comunista Italiano. Ogni giorno, rientrando a casa, aveva con sé una copia del giornale sottobraccio e io, come tutti i bambini, la prima domanda che gli rivolgevo era cosa mi avesse portato. La sua risposta era semplicemente: “l’Unità”, una delusione per l’Ivano di quella età. Poi, crescendo ho imparato, sfogliandola, ad amarla.
La cosa che più mi intrigava era la dicitura in prima pagina, sotto il logo della testata, “Fondato da Antonio Gramsci”. Da lì parte la mia curiosità. Chi era Gramsci? Perché aveva fondato questo quotidiano? Cosa sognava? Dove voleva arrivare?
Sono passati gli anni e la mia passione per gli scritti di Gramsci si è sempre più rafforzata fino a portarmi ad espandere questo desiderio di capire il suo pensiero, esplorandone i contenuti, direttamente e anche attraverso chi lo aveva conosciuto di persona, chi ne aveva condiviso la necessità di puntare ad una libertà illesa dal fascismo. Ho sentito di dover guardare anche ai suoi successori, quindi a Togliatti e Berlinguer, senza andare oltre. Considerando la fine di quel sogno comunista proprio con la morte di Berlinguer, forse con qualche scia fino ad Achille Occhetto.
Il perché decidere di scriverne un libro analizzandone le figure attraverso le arti e con un particolare sguardo al cinema coincide con il desiderio personale di non far morire le idee di tre uomini giusti, idee essenziali e intoccabili per una democrazia. Punti di riferimento rilevanti. Non a caso anche diversi politici di destra ogni tanto prendono spunto da Berlinguer.

“Vita di Antonio Gramsci” di R. Maiello, con M. Sbragia e Milena Vukotic

Trasmettere è un termine che vedo bene con tramandare, è importante tenere vivo il ricordo e se non lo si fa lasciandolo a chi viene dopo di noi, quale altro modo abbiamo? E come portare i giovani, prima di tutto, a leggere pensieri, per alcuni versi complicati, per non farli apparire come dei pistolotti se non adeguandosi al loro modo di leggere e ascoltare? Ecco che qui entra in scena la settima arte.
E iniziando a ricercare, ho capito quanto essa sia importante, insieme alla letteratura, per trasmettere valori indissolubili. Senza banalizzazione, guardando con attenzione alla fedeltà dei fatti, perché con una pellicola si può semplificare, ma non si deve camuffare o ingannare.
E se il cinema ha il suo ruolo fondamentale per la conservazione delle ideologie, non sono da meno, la poesia, la musica, il teatro, la pittura. In questo senso, ma non vorrei essere frainteso, lontano da me irriverenti paragoni, proprio Roberto Benigni, più volte citato nel libro, dall’alto della sua esperienza attoriale e di regista cinematografico, ha tracciato un solco con le sue esposizioni accattivanti, addirittura divertenti, della Divina Commedia e della Costituzione.

Il commento filosofico è, pagina dopo pagina, una costante, un convitato di pietra che enuncia, chiosando con arguzia e invitando il lettore a stimoli ulteriori, come sospeso in una suspence incipiente, una serie di riflessioni tutt’altro che trascurabili.
La politica, così trattata, esce dalla banalità in cui è precipitata in questi ultimi decenni e riacquista quella valorialità che le era propria ai tempi di Gramsci: un coinvolgimento di massa, un tentativo di far comprendere anche i più complicati aggrovigliamenti parlamentari e istituzionali a masse trattate come sudditi in tutto e per tutto.
Non trovi che questa funzione pedagogica l’abbia avuta anche il cinema, anche nei riguardi della narrazione storica della sinistra in Italia?

Condivido pienamente. Aggiungo, sì il cinema ha trattato in modo pedagogico il comunismo italiano ma non gli ha dedicato quello spazio essenziale che avrebbe meritato e che meriterebbe. Se non altro per farne emergere, in modo più frequente e chiaro, quei tratti profondi di una linea caratteristica che costituisce le fondamenta per una democrazia longeva e non discutibile, apprezzabile dalla popolazione tutta.

Palmiro Togliatti e un giovane Enrico Berlinguer

È vero però che il troppo stroppia e quando si eccede su un argomento non gli si restituisce, forse, una corretta visione, ma un miscuglio ingannevole. Ovviamente non è questo il caso, dove con poche opere si ha una chiara e corretta interpretazione del pensiero politico-sociale dei tre leader comunisti. Sicuramente non c’è stata nei confronti di ognuno di loro la stessa attenzione, non sono stati trattati tutti allo stesso modo, è emersa qualche manchevolezza.
Non a caso è necessario sottolineare: la poca filmografia dedicata a Gramsci; la sola trasposizione in documentari di Berlinguer e quindi mai interpretato da nessun attore; l’inesistente storia cinematografica su Togliatti, sempre rappresentato in ruoli di comprimario in opere dedicate ad altre figure politiche. Penso però che non è mai troppo tardi per recuperare.

Dopo il circostanziato viaggio nella filmografia che ha permesso, soltanto dopo quarant’anni dalla sua morte, a Gramsci di rivivere in prima persona dentro i cinema e le televisioni degli italiani, mostrandosi ad una cittadinanza che diventava soprattutto “pubblico” catodico, poni a tema la questione inerente i caratteri salienti che sono emersi – anche a tuo modo di vedere – dei tre segretari del PCI.
Scontrosità, amore per la cultura, per l’arte, utopia e sogno, riformismo e rivoluzione, empatia popolare e ritrosia al tempo stesso. Quanta aderenza c’è tra la narrazione biografica su Gramsci, Togliatti e Berlinguer trattata nella letteratura corrente e quella invece del cinema? Per meglio dire: la Settima arte ha reso giustizia alla verità storica ed anche, quindi, alla descrizione “intima” delle vite pubbliche e private dei segretari del PCI?

Partiamo dal fatto che non sono mancati premi che hanno legittimato la buona riuscita di una certa narrazione cinematografica. Il Pardo d’oro al Festival di Locarno, in Svizzera, per il film “Antonio Gramsci – I giorni del carcere” del 1977 di Lino del Fra e il Nastro d’Argento per “Quando c’era Berlinguer” del 2014 di Walter Veltroni.

Berlinguer ti voglio bene (1977)

Questo a testimonianza della capacità, di riportare in modo efficace, emotivo, realistico e fedele i fatti storici che hanno coinvolto le figure prese in considerazione, senza tralasciare quell’aspetto privato che rende ancora più unico un lavoro cinematografico. Ovvio, non è sempre così, ma devo riconoscere che c’è stato molto rispetto nei confronti di Gramsci, Togliatti e Berlinguer. Al contrario, ma forse qui c’entra anche il diverso spessore dei protagonisti, sono stati trattati altri personaggi storici, dove si è generata una vera e propria indigestione narrativa che ha portato, a volte, gli spettatori a crearsi una loro idea, anche totalmente falsata.
La settima arte ci restituisce un Gramsci, un Berlinguer e, per quel poco, anche un Togliatti, attraverso una loro immagine definita e condivisa negli anni. Ne ha rispettato, fino ad ora, il tratteggio politico e personale, riportando all’interlocutore una fedeltà confermata, evidentemente, da chi li ha vissuti da vicino: i familiari; gli amici; i colleghi. Di Gramsci in particolare, abbiamo tanti scritti che possono aiutare nel delineare quel suo carattere filosofico ben narrato nell’arte, più in generale, e che il cinema ha saputo trasporre egregiamente.
La capacità sta proprio nell’amare prima di tutto i personaggi per poi restituirli fedelmente. Coglierne quelle sfaccettature che solo dedicandosi a una lettura attenta dei loro scritti e a uno studio altrettanto minuzioso dei documenti, che li raccontano, può contribuire a un risultato di eccellenza. Nel momento in cui il cinema porta tutti gli spettatori ad avere una visione omogenea del protagonista trattato si è vincitori, perché lo scopo è proprio quello di restituire la storia per quella che è stata.

Dei tre giganti politici in questione, quello che ci è cronologicamente più vicino è ovviamente Enrico Berlinguer. Walter Veltroni nel suo “Quando c’era Berlinguer” ha realizzato un documentario che ha voluto essere reminiscenza per chi allora c’era e lottava, nelle fabbriche, nel sindacato e nel partito, e che ha cercato di essere al contempo memoria storica per l’avvenire, pungolo di interesse per giovani generazioni che solo scolasticamente potrebbero apprendere dell’esistenza di figure eminenti della politica italiana.
La domanda è questa: quanto è cambiato, rispetto ai primi film e documentari su Gramsci e, molto indirettamente su Togliatti (narrando magari le vite di chi gli stava intorno, come Nilde Iotti), il modo di fare cinema e documentaristica su temi non proprio commercializzabili e diffondibili su larga scala?
Siamo davanti ad una nuova espressione del cinema d’essai oppure no?

Benigni con in braccio Enrico Berlinguer in un celebre comizio

Non so se siamo davanti a una nuova espressione del cinema d’essai, certamente questa forma di cinematografia si rivolgeva a un pubblico di nicchia, diciamo colto, diverso da quello attuale dei social. Sono convinto invece che il cinema può fare ancora molto, ma per tutti.
Come dicevo all’inizio dell’intervista, per raggiungere le nuove generazioni bisogna imparare a parlare come loro e il mezzo migliore per diffondere il verbo è proprio quello di adeguarsi ad un nuovo modo di comunicare. Non dico che già sia passato il tempo del documentario e che il biopic sia una cosa obsoleta, ma si dovrebbe, ad esempio, puntare su serie come quelle che oggi i giovani rincorrono su Netflix, piuttosto che su Raiplay.
La capacità di coinvolgimento è tale da poter rendere personalità come Gramsci, Togliatti e Berlinguer, personaggi pseudo-fantastici della nuova letteratura seriale.
Avvicinare le loro storie, le loro vite, le loro vicende a una metodologia di apprendimento tale da garantirgli l’eternità almeno storicamente parlando. Sono certo che la velocità di trasmissione e la potenza di raggiungimento dell’utente, obiettivo che hanno le nuove piattaforme, possa garantire la buona riuscita dello scopo essenziale: far conoscere a tutti coloro che avevano idee ancora oggi adottabili per una pace globale e una serenità democratica. “Le idee attualissime di tre uomini eccezionali” potrebbe essere il titolo da dare ad una nuova eventuale serie.
In un’epoca dove la diffusione culturale via internet sta dando i frutti desiderati, la cancellazione di un analfabetismo, per alcuni versi ancora presente, che potrebbe scomparire del tutto, grazie all’andare incontro verso l’interlocutore, piuttosto che sperare che sia lui ad avvicinarsi. Il modo di comunicare è in continua evoluzione e non fa eccezione il cinema. La settima arte ha avuto diverse stagioni che l’hanno vista raccontare il mondo sempre in modo differente dalla precedente e siamo forse ancora una volta a una svolta, l’ennesima, la più sorprendente. 

Nel ringraziare Ivano Azzellino per la sua disponibilità, e sperando di avervi incuriosito al punto da cercare il suo libro per metterlo sui vostri scaffali di biblioteca dopo averlo attentamente letto, ricordiamo che nella bibliografia dello studio appena analizzato potete trovare veramente una ricca selezione di testi per approfondire tutte e tre le figure qui analizzate.

La storia del “mondo grande e terribile” nel “secolo breve” passato da appena ventitré anni, si fa anche leggendo, ma la si vive soprattutto immergendosi nelle immagini di film e approfondimenti che riescono a regalarci molto di più di una pur necessaria, importante ed imprescindibile descrizione letteraria.
Buona lettura e buona visione.

GRAMSCI, TOGLIATTI, BERLINGUER
TRE IDEE PER IL CINEMA E LA LETTERATURA
IVANO AZZELLINO
TAB EDIZIONI
€ 18,00

MARCO SFERINI

22 febbraio 2023

foto: screenshot e immagini tratte dalla puntata 80 di “Corso cinema”: “Berlinguer ti voglio bene. La dimensione genitale e l’utopia comunista” di Marco Ravera

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