In un paragrafo del quaderno 17 Gramsci ragiona della guerra moderna, delle novità risultate dal primo conflitto mondiale, ma anche dalla rivoluzione bolscevica e dal fascismo. Un dato era evidente sin dalla Grande Guerra, qualcosa che investiva il cuore stesso del warfare: “L’attacco si esaurisce avanzando; perciò la vittoria deve essere cercata quanto più possibile nelle vicinanze del punto di partenza”. Con riferimento proprio ai rischi della guerra di aggressione e dell’allungamento delle linee nell’illusione di una guerra breve, Gramsci cita, nello stesso paragrafo, von Clausewitz, il grande teorico tedesco della guerra moderna.
Si riferiva ad un saggio in cui il pensiero del generale tedesco così era riassunto: “Se la offensiva oltrepassa il punto culminante dell’attacco senza aver raggiunto il suo obiettivo, il rovesciamento delle forze che si verifica genera una reazione che è molto più efficace dell’attacco”. Non è stupefacente la somiglianza con quanto avviene, sotto i nostri occhi increduli, in Ucraina?
Se si fa caso: 1) l’attacco russo si è esaurito proprio per aver voluto troppo e troppo presto avanzare; 2) la incredibile fila di 60 chilometri di carri e mezzi è stata l’immagine plastica di un allungamento di linee esiziale per gli attaccanti; 3) aver cercato la vittoria in profondità, invece che “nelle vicinanze del punto di partenza”, ha portato alla sconfitta del piano iniziale e costretto ad una guerra lunga e drammatica in fatto soprattutto di costi umani; 4) l’“offensiva” non solo non ha raggiunto “il suo obiettivo”, ma ha favorito “il rovesciamento delle forze”, la “reazione” degli aggrediti. La “difesa flessibile” ovvero guerra asimmetrica degli ucraini (mai accettare lo scontro in campo aperto, ‘mordi e fuggi’ di piccoli gruppi, addestramento e tecnologie occidentali) ha reso la vita molto dura alla Grande Armata di Putin (spingendola ad una reazione rabbiosa, distruttiva).
Come si vede 100 anni fa Gramsci ci forniva gli strumenti per capire l’oggi. Quella che chiamiamo la “guerra del XXI secolo”, immaginando chi sa quali innovazioni, si è rivelata ancora una “guerra di materiali”, nel senso di potenza bruta, di logoramento, di distruzione, di massacri, di false notizie, per tempi insopportabilmente lunghi. Né è solo questo. Nel quaderno 19 Gramsci parla anche di “guerra di posizione, fatta da masse enormi che solo con grandi riserve di forze morali possono resistere al grande logorio muscolare, nervoso, psichico” (p. 2051).
Di nuovo: a che cosa assistiamo oggi se non ad una “guerra di posizione”, dopo la fola russa di una guerra breve? E indubbiamente l’Ucraina è coinvolta in massa nella guerra di difesa dall’aggressione e getta in campo, contro la forza bruta del numero, di chi ha il monopolio dei cieli e dei mari, le “grandi riserve di forze morali” di un popolo che cerca di difendere il proprio diritto all’esistenza.
Ma quella di Gramsci non era solo una riflessione di pensiero militare, aveva un immediato risvolto politico. Scriveva infatti: “La massima di Clausewitz, applicata all’arte politica, deve essere adattata alle diverse condizioni; ma rimane il punto che tra il punto di partenza e l’obbiettivo occorre una gradazione organica, cioè una serie di obiettivi parziali”. Non fare dunque l’errore dei russi! Non allontanare troppo l’“obiettivo” dal “punto di partenza”, non slanciarsi in avanti, per la buona “arte politica” la rivoluzione è una serie infinita di passaggi, di scelte forti ma ponderate, di “obiettivi parziali” da consolidare prima di arrischiare il passo successivo. Una lezione di storia e di politica.
Dalla tragedia ucraina la sinistra può trarre diversi motivi di riflessione. Se la Nato e un malinteso Occidente vogliono vederci solo l’occasione per portare le spese militari al 2% del Pil, noi dovremmo saperci vedere altro.
Fare della pace (proprio come dell’ecologia) non un vago ideale o una equivoca equidistanza, ma la costruzione politica, strategica, di un ambiente in cui sia possibile non solo convivere e interagire, ma promuovere pratiche di trasformazione e di critica dell’esistente.
La pace migliore non è il dopo-guerra, ma quella che crea le condizioni materiali, politiche e morali perché alla guerra non si arrivi. Categorie gramsciane come “rivoluzione in Occidente” e “guerra di posizione” aspettano ancora di essere intese e valorizzate in chiave strategica, non solo brillanti idee per capire il nostro tempo, ma strumenti di un modo diverso di intendere la politica e la pratica critica.
FABIO VANDER
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