Il presidente della camera Roberto Fico ha annunciato ieri l’interruzione delle relazioni diplomatiche tra i parlamenti italiano ed egiziano fino a una svolta vera nell’inchiesta sull’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni; definendo poi «atto coraggioso» l’iscrizione nel registro degli indagati di 7 agenti dei servizi segreti egiziani da parte della Procura di Roma. Sarà pure un atto simbolico, ma a fronte di troppe menzogne e silenzi di tre governi, quelli a guida Pd di Matteo Renzi e poi di Gentiloni, e quello attuale gialloverde di Giuseppe Conte – non a caso contrariato dalla decisione coraggiosa di Fico – ha davvero il sapore di rottura per una svolta di verità.
Con la quale Fico ha mantenuto la promessa d’impegno fatta alla famiglia Regeni. Perché finora dalle sedi del potere nulla era ed è venuto. E poi basta con la grande ipocrisia di chi, nei giornali, tace che Renzi è stato lo sdoganatore del golpista Al Sisi, diventato l’interlocutore della politica estera italiana; e tale è rimasto anche con il «nuovo» governo dei due populismi, giustizialista del M5s e razzista di Salvini. E che, nonostante le promesse di Di Maio al Cairo, continua a considerare il regime di al Sisi il referente della crisi in Libia, della strategia energetica e grande piazza d’affari del nostro export milionario di armi. Un regime responsabile della morte del ricercatore italiano, come di migliaia di oppositori egiziani, che ha la faccia tosta di dichiarare: «Regeni, uno di noi».
Dopo quasi tre anni dal suo assassinio, nessuna verità è mai arrivata dall’Egitto. In queste ore il procuratore di Roma Colaiocco ha constatato di persona che la «disponibilità» delle autorità giudiziarie egiziane è pura formalità: nessuna prova è stata consegnata e addirittura gli attesi referti video risultano contraffatti. Così sarà l’Italia ad aprire l’iscrizione del registro dei primi sette indagati del crimine. Sarà la manovalanza del sequestro, delle torture e dell’omicidio, non certo chi l’ha ordinato, come il ministro degli interni Ghaffar, il capo torturatore di Giza Shalaby, il generale-spione Hegay e in primis il presidente Al Sisi. Un’altra iniziativa «simbolica» ma capace di dimostrare che dai sicari si può risalire alla piramide dei mandanti.
TOMMASO DI FRANCESCO
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