Gerusalemme, centro dello scontro di civiltà

Sarebbe davvero interessante conoscere i piani del governo americano che non traspaiono, se non per postulate ipotesi, nella volontà ormai decisa di traferire la sede dell’ambasciata della grande Repubblica...

Sarebbe davvero interessante conoscere i piani del governo americano che non traspaiono, se non per postulate ipotesi, nella volontà ormai decisa di traferire la sede dell’ambasciata della grande Repubblica stellata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme.
Evidentemente una nuova destabilizzazione dell’area medio-orientale giova agli Stati Uniti e crea delle premesse per una gestione anche differente della soluzione della gravissima crisi siriana, della ricomposizione degli assetti in un quadrittico di Stati (Libano, Siria, Iraq, Israele).
La decisione di Donald Trump rischia persino di incrinare i rapporti con lo storico alleato turco e, inevitabilmente, innesca una nuova Intifada che già in queste ore si diffonde per le strade delle principali città dei Territori occupati e anche per quelle dello Stato ebraico.
Ad un primo, ingenuo sguardo parrebbe un boomerang, una sconsideratezza altrettanto ingenua da parte di un presidente. Anzi, del presidente del più potente stato del mondo.
Eppure è una mossa che, proprio perché si inimica metà degli Stati del pianeta e quasi tutta la polveriera medio-orientale, raggiunge il suo scopo.
L’impossibilità a comprendere tutto ciò ha condotto alcuni analisti ad ipotizzare che possa avere anche la valenza di distrazione di massa dai guai che attualmente la Casa Bianca deve affrontare sul terreno internazionale: i rapporti con il regime di Putin sono sempre sotto i riflettori di televisioni e giornali e spostare l’occhio dei popoli su un’altra appetibile questione irrisolta è sicuramente utile.
Ma sarà veramente questa la ragione consapevole di un consapevole scatenamento di un conflitto che si poteva e si può forse ancora evitare?
Perché dichiarare al mondo che per Washington la città di Gerusalemme appartiene solamente allo Stato di Israele vuol dire escludere due altre grandi culture e popoli monoteisti: arabi e cristiani. Assemblaggi di popoli, ma riuniti sotto due enormi sfere culturali, sociali e, dunque, anche politiche.
Non esiste però un argine di difesa internazionale per i Palestinesi: le proteste di queste ore che si sono levate dalle capitali arabe sono atti diplomatici ma non mirano, almeno per il momento, ad isolare Israele in sede ONU, a chiedere con forza che il processo di pace proceda anteponendo i diritti di un popolo che vive in un grande campo di concentramento all’aperto rappresentato da una politica di aggressione che ha perso il conto degli anni, da tanto tempo che dura e si inasprisce.
Una politica imperialista, non una democrazia. La soluzione a tutto ciò è un complicato puzzle, con migliaia di incastri e, al momento, la dichiarazione di Donald Trump, anzi la volontà esplicita di provocare – al pari della passeggiata di Sharon sulla Spianata delle Moschee – una violenta reazione dettata dall’esasperazione dei palestinesi, non fa che aggravare un equilibrio che non era nemmeno tale e che ha visto in questi ultimi mesi le prove di dialogo tra Hamas e Al Fatah per ricomporre l’unità palestinese in ambito governativo e amministrativo.
Israele punta a distruggere tutto questo lavoro di lento riavvicinamento e a diventare l’unico Stato nella regione con una capitale proclamata dal suo più fedele e potente alleato.
Purtroppo siamo innanzi ad una vicenda che prevede solo inviluppi, accelerazioni su dinamiche violente irrefrenabili.
Possiamo soltanto protestare, far sentire la nostra voce davanti alle ambasciate e ai consolati. Possiamo però anche parlarne e scriverne e provare a rimettere in piedi un circuito di solidarietà che si deve attivare ogni volta che un popolo è aggredito, oppresso, offeso nel più profondo del suo essere tale iniziando dalla negazione dei diritti più elementari e, per questo, più preziosi.
Protestiamo, informandoci, sapendo, controbattendo a chiunque adduca ragioni per la mossa americana, per una Gerusalemme che è capitale palestinese, città multiculturale e centro di una disputa che rischia di essere, questa sì, uno scontro fra civiltà.

MARCO SFERINI

8 dicembre 2017

foto tratta da Pixabay

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