Genesi del “melonismo”, ultima seduzione reazionaria italiana

Si faccia bene o si faccia male a dare per scontata la vittoria delle destre nelle prossime elezioni politiche del 25 settembre, si sia quindi lungimiranti oppure eccessivamente pessimisti,...
Giorgia Meloni

Si faccia bene o si faccia male a dare per scontata la vittoria delle destre nelle prossime elezioni politiche del 25 settembre, si sia quindi lungimiranti oppure eccessivamente pessimisti, esiste ormai un conclamato dato di fatto: quasi tutto oggi è vento a favore delle destre.

Il ricompattamento del post-Draghi, lo stabilimento della regola storica sull’assegnazione del diritto alla Presidenza del Consiglio per il partito che ottiene più voti nell’ambito della coalizione, l’esposizione di un programma che tocca punti di disperazione sociale che aumentano, veramente come se non vi fosse un domani e, ultimo ma non ultimo, la saldatura rinnovata tra il liberismo anti-pubblico (ma non antistatalista) e il sovranismo neonazi-onlista egemone nel tridente ex berlusconiano.

Il vento utile per il marinaio che sa navigare è proprio questo: degli alisei che fanno della politica delle destre un sicuro viatico per l’ennesima illusione trasversale, ma che coinvolge prima di tutto i ceti meno tutelati, più indigenti e quindi in balia della seduzione promettente di forze che hanno già abbondantemente dato in merito e che sono molto esperte nel riproporsi alla guida di un Paese dove le altre opzioni di governo sembrano tutte usate, abusate, trite, contorte e screditate completamente agli occhi, alle orecchie e al ventre della popolazione.

La visione superficiale di quello che avviene è, purtroppo, l’unico strato a cui si ferma l’osservazione di larga parte della gente, mentre la decisione su dove mettere la propria X al momento del voto, addirittura, in un buon trenta per cento dei casi, è il frutto di una repentinissima intuizione che nasce appena prima della soglia del seggio.

E’ davvero tutto così desolantemente già scritto? Non possiamo fare niente per evitare che le destre vincano la partita legislativa settembrina? Lagnarsi e abbandonarsi alla rassegnazione serve veramente a poco. Anzi, a niente. Occorre per lo meno, se proprio pare inevitabile la prevalenza destrorsa nel prossimo Parlamento, limitarne la preponderanza, fare in modo che Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e alleati non abbiamo la maggioranza dei due terzi delle Camere.

Quella maggioranza che il Rosatellum può regalare loro, fino al 61% dei seggi, con “soltanto” il 45% dei consensi. Un bel margine di assolutismo, in tutti i sensi.

A quel punto le destre potrebbero intervenire per smantellare l’equilibrio costituzionale, o almeno provarci, perché se il tentativo venisse fatto, ci si augura che almeno si sia pronti a scendere nelle piazze, a manifestare con scioperi e blocchi non solo per mandare in crisi le controriforme incostituzionali di queste forze conservatrici e autoritarie, ma per, farne cadere il governo rovinosamente.

Adesso, probabilmente, è il tempo della Meloni: lei è la nuova “capitana“, quella che ha ereditato gran parte dei voti di una Lega che si è consunta e ha patito l’inedia derivata dai tanti passaggi fatti proprio nelle esperienze di governo e nelle varie tornate elettorali. La stella prima padana e poi nazionalista di Salvini si è offuscata, nonostante ottenga ancora un discreto seguito soprattutto al nord.

L’entusiasmo di una fetta di popolo, aiutato in questo da carta stampata, televisioni e soprattutto Internet, è tutto per il “non ancora provato“, per la carta non ancora giocata, nonostante si tratti di un personaggio politico non di primo pelo e che, anzi, ha fatto parte dei governi di Berlusconi, che ha dato prova della sua ambiguità ideal-ideologica mai smentendo di essere originaria di un passato con al collo croci celtiche, riscaldata dalla fiamma tricolore ardente sulla bara di Mussolini e che, quindi, ancor più del leader della Lega, mai e poi mai le è si è potuto far dire – nonostante abbia giurato fedeltà alla Costituzione della Repubblica – di essere antifascista.

E’ comprensibile. Chi è storicamente fascista, intimamente autoritario e molto poco segretamente ultra-conservatore al punto da essere il paladino di tutti i disvalori clericali che attaccano diritti civili e laicità dello Stato, non può negare sé stesso con dichiarazioni, oltre tutto, che gli risulterebbero di mera prammatica. E ormai, anche se lo facesse oggi, in piena campagna elettorale, il tempo sarebbe comunque scaduto: perché la mutazione meloniana è gattopardesca, resilientissima a ciò che le accade intorno.

Cambia senza cambiare, si mostra nuova pur essendo di lungo corso, fa di questa sua esperienza il tratto più congeniale per garantire tanto ai poveri quanto ai ricchissimi quella competenza che altri suoi vicinissimi colleghi di coalizione avevano, e hanno perso, oppure non hanno mai veramente avuto, pur spacciandosi come ottimi ministri dell’Interno o candidati permanenti a premierati vagheggiati e fatti vagheggiare ad un elettorato affievolito, stanco e depresso per le crisi economiche crescenti e le soluzioni mancate.

Al Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini, è lei la più applaudita. Riunisce in sé un passato che non passa, e che resta debitamente sullo sfondo, ma ci resta; un presente in cui condensa nella sua proposta politica tanto l’autonomia del pericoloso schema presidenzialista, che affianca al modello francese, ma che pensa in realtà sul modello ungherese e su quello dei piani neo-franchisti della Vox iberica, quanto il peggio del cattolicesimo veramente reazionario. Quello dei Family day, dell’antiabortismo che prevale su un valore della vita affidato ad un deismo anacronistico, che fa a pugni con la laicità repubblicana…

La applaudono imprenditori, sottoproletari moderni, nuovi poveri, partite IVA e intransigenti cattolici che confermano così la trasmigrazione dalla fallimentare opzione leghista. I sondaggi, unanimemente, la consacrano come la futura Presidente del Consiglio e noi siamo qui a domandarci come è possibile contenere tutto questo e fare in modo che il Paese non abbia a pentirsene per i prossimi anni.

Non c’è una risposta certa, perché l’enigma è insidioso, cambia di giorno in giorno: ad iniziare dalla diffusione del video di uno stupro, continuando con le dichiarazioni sulle “devianze giovanili” (in cui Meloni include anoressia e obesità…).

Il volto della rispettabilità democratica, che la leader di Fratelli d’Italia vuole mantenere come ufficiale immagine della sua proposta politica di governo, confligge apertamente con una trivialità di comportamenti sinceri che sono la vera anima nera della sua concezione del potere, del rapporto con la società e della stessa struttura antropologico-etico-politica che la deve uniformare.

Se le destre otterranno il 61% dei seggi, se avranno la possibilità di cambiare la Costituzione senza nemmeno passare dalla valutazione popolare tramite il referendum, quello che rischia di avverarsi è proprio la mutazione della natura dello Stato repubblicano sulla base della saldatura già descritta tra neoliberismo economico e sovranismo politico.

Finché le destre sapranno garantire alla classe dirigente di questo Paese la continuità dei privilegi che hanno conservato (quasi) intatti anche (e soprattutto) grazie al centrosinistra e alle enormi ammucchiate di “unità nazionale“, non vi sarà grande margine di manovra politica per fermare i piani antidemocratici che mirano a spostare il fulcro della Repubblica dal Parlamento ad una Presidenza della Repubblica che sia anche un po’ Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Il timore anticipatorio che dobbiamo avere, deve renderci ben consapevoli che ogni voto è importante per arginare la prepotenza conservatrice e neonazi-onalista delle destre. Evocare il pericolo del fascismo del nuovo millennio è improduttivo soltanto dal punto di vista della comunicazione: perché l’autoritarismo e il totalitarismo non sono modelli sempre esportabili asetticamente, senza prendere in considerazione la capacità di adattamento dei fenomeni che, proprio per la mutevolezza del tempo che passa, riescono a trovare la loro ragion d’essere nella cosiddetta “modernità” dei nostri giorni.

Se un pericolo per la democrazia repubblicana esiste, questo è già ampiamente contenuto, ad esempio, nello stravolgimento che la legge elettorale fa del rapporto tra elettore ed eletto: un Parlamento di deputati e senatori praticamente individuati dalle segreterie (quando non soltanto dai segretari) di partito, è un indebito, incostituzionale travalicamento del valore intrinseco del diritto stesso di voto che non significa solamente mettere una croce su un simbolo di una forza politica ma molto di più: vuol dire scegliere con contezza i propri rappresentanti, saperli perfino riconoscere, sentendoli parte del proprio territorio.

Ecco come la destra estrema e sovranista è riuscita a rompere gli argini della democraticità italiana: col venire sempre meno delle fondamentali regole che stavano a garanzia di un pluralismo vero, di un confronto aperto tra le idee che oggi sembra un lontano ricordo, trasformatosi in una contesa concorrenziale per avere dei posti in Parlamento che, oltretutto, si sono dimezzati grazie alla populistica riforma pentastellata, appoggiata altrettanto pretestuosamente, per accattivarsi il volere popolare sui tagli dei costi della politica, da quasi tutte le formazioni di centro, di destre e in parte anche di sinistra.

Il melonismo, come fenomeno politico, per fortuna è ancora tutto da scrivere, perché gli stessi esponenti del tridente destrorso devono trovare una quadra, un equilibrio in un post-elezioni che non si preannuncia affatto facile.

Ma la completa assenza di una schieramento progressista, fieramente alternativo al conservatorismo economico anti-sociale, alla xenofobia divampante con le pretese salviniane di tornare agli interni e al berlusconismo che esige la riparazione dei torti subiti sulla giustizia e sul fisco, sono un trittico destabilizzante certo, un altro scossone tellurico alle fondamenta del parlamentarismo, delle fondamenta della Repubblica.

La difesa, l’argine, la diga di contenimento di questa ondata reazionaria che si sta per abbattere sull’Italia deve poter essere costruita con elementi strutturali solidi che si richiamino all’esatto opposto di quanto le destre stanno per tradurre in pratica governativa, consolidando la sostanza dell’agenda Draghi con la forma di un ideologismo autocratico, con una linea di condotta repressiva nei confronti dell’ordine pubblico e delle manifestazioni di libero dissenso, contro ogni cultura che non si uniformi a quella neonazi-onalista.

Questa risposta può venire soltanto da un recupero del disagio sociale alle ragioni della partecipazione sociale e politica. Può venire soltanto da un consolidamento di una nuova formazione che si pensi ben oltre il voto e che guardi agli altri mentre riflette su sé stessa: Unione Popolare può essere l’inizio di questo percorso. Non sprechiamo nessuna occasione per dare vita ad un polo progressista che diventi il campo largo dei diritti sociali e civili, che sia il presupposto di una speranza per l’alternativa di società in questa Italia sempre più povera.

MARCO SFERINI

25 agosto 2022

foto: screenshot

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