Sami Abu Omar, dopo giorni, finalmente ieri ha risposto al telefono. Che per un abitante di Gaza vuol dire «Sono ancora vivo». «Mi trovo con la mia famiglia ancora nella zona di Mawasi» ci ha detto il cooperante palestinese della ong italiana Acs sfollato nelle settimane passate da Bani Suheila dopo l’inizio dell’offensiva israeliana a Khan Yunis. «Ora – precisa – siamo in 45 tra parenti e amici rimasti senza casa. Le donne vivono in una stanza che abbiamo affittato e noi uomini in una tenda montata in un campo».
Abu Omar, nonostante le enormi difficoltà quotidiane che deve superare – «procurarsi il cibo e l’acqua è la priorità ed è sempre più difficile perché gli aiuti umanitari qui a Mawasi arrivano raramente e al mercato costa tutto quattro-cinque volte di più rispetto ai mesi scorsi», ci dice -, continua a lavorare per portare aiuto ai civili. «Con i fondi che arrivano (alle banche di Gaza ancora operative, ndr) – racconta – dall’Acs e varie associazioni italiane compriamo coperte, materassi e beni primari. E siamo impegnati a costruire bagni».
La mancanza di gabinetti è una delle difficoltà più gravi che le centinaia di migliaia di sfollati palestinesi devono affrontare, a cominciare dalle donne. «Compriamo lamiere, cemento, mattoni e i sanitari e costruiamo bagni per chi vive nelle tende e in strada, le condizioni igieniche sono spaventose», aggiunge Abu Omar che lancia l’allarme sulle condizioni di vita in rapido peggioramento a Rafah: «Di fronte all’offensiva israeliana i civili scappano dalle città del centro e del sud e si riversano sul confine con l’Egitto, lì ormai ci sono oltre un milione di persone. Non hanno nulla, al massimo possono sperare in una tenda e in un po’ di cibo». A Rafah giungono anche i morti. Ieri ne sono arrivati 80, di uccisi nel nord di Gaza e restituiti da Israele. Sono stati sepolti in una fossa comune.
L’avvertimento di Sami Abu Omar trova conferma nelle parole di Gemma Connell, una funzionaria dell’Onu. Spiega che molti palestinesi che hanno seguito l’ordine di lasciare le loro case giunto dall’esercito israeliano – l’ultimo in ordine di tempo è stato dato agli abitanti di Wosta – credendo di trovare la salvezza in aree designate a Rafah, si sono poi ritrovati in zone incredibilmente affollate dove non c’è più spazio per nessuno.
«Vanno verso sud con materassi e altri averi in furgoni, camion e automobili. C’è così poco spazio qui a Rafah che le persone semplicemente non sanno dove andare, fuggono da una zona all’altra. È una scacchiera umana» ha spiegato alla Reuters Connell, caposquadra di Ocha (l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari). Connell ha descritto la morte di un bambino di nove anni di nome Ahmed nell’ospedale di al-Aqsa a Deir Al-Balah, dove sono stati portati molti dei feriti degli ultimi attacchi aerei israeliani.
«Quando è stato colpito si trovava in un’area sottoposta a un ordine di evacuazione, era in una zona che avrebbe dovuto essere sicura. Non esiste un posto sicuro a Gaza», ha detto. Il portavoce militare ha ribadito che «Israele agirà contro Hamas ovunque operi, con pieno rispetto del diritto internazionale, distinguendo tra terroristi e civili e prendendo tutte le precauzioni possibili per ridurre al minimo i danni ai civili».
Erano tutti «terroristi» i 100, per altre fonti 200, palestinesi uccisi nel fine settimana da bombardamenti aerei violenti nel campo profughi di Maghazi? Il portale palestinese watan.net, riportando testimonianze di residenti nel quartiere di Sheikh Radwan a Gaza City, riferiva ieri di «giovani uccisi sommariamente e gettati in strada senza che le ambulanze fossero in grado di recuperare i loro corpi».
A Gaza si parla della trasformazione dello stadio da calcio in un centro di detenzione. I militari israeliani ci avrebbero radunato dozzine di palestinesi, nudi e con le mani legate dietro la schiena, come mostra un video che circola in rete. Tra le persone detenute ci sarebbero medici, insegnanti, giornalisti e anziani. Euro-Med Human Rights Monitor ha inviato un rapporto alla Relatrice speciale dell’Onu, Francesca Albanese, e al Procuratore della Corte penale internazionale in cui denuncia esecuzioni sommarie di prigionieri palestinesi.
La Vigilia di Natale nella zona centrale e meridionale di Gaza è stata una delle notti più sanguinose degli ultimi due mesi. Mentre i palestinesi piangevano le loro perdite, il primo ministro israeliano Netanyahu ha promesso di continuare la guerra «fino alla distruzione di Hamas», incurante delle pressioni che giungerebbero dall’estero. Hanno confermato le sue parole il ministro della Difesa Gallant e il capo di stato maggiore Halevi, aggiungendo che l’offensiva a Gaza andrà avanti per mesi se non per anni.
È probabile però che nelle prossime settimane Israele ritiri da Gaza una buona parte delle sue forze per proseguire la guerra con attacchi più circoscritti ma non meno letali e distruttivi. I comandi israeliani riferiscono ogni giorno di «successi» contro Hamas, di «eliminazione» di decine di combattenti del movimento islamico e di altre organizzazioni, della scoperta e distruzione di gallerie sotterranee. Hamas però non pare sconfitto o almeno non così danneggiato come si dice.
Video diffusi dalla sua ala militare, le Brigate Qassam, mostrano agguati contro soldati e mezzi corazzati. Ieri sono stati comunicati i nomi di altri militari morti in combattimento, sono oltre 160 dalla fine di ottobre quando è cominciata l’offensiva di terra, di cui una ventina negli ultimi quattro giorni. Intanto il gabinetto di guerra israeliano vuole dagli Usa altri elicotteri da combattimento Apache fondamentali per l’appoggio alle truppe sul terreno, riferisce Yediot Ahronot.
Washington non ha ancora dato il via libera ma, sottolinea il giornale, ha garantito il più grande aiuto militare a Israele negli ultimi 50 anni. «Senza di esso l’esercito non avrebbe potuto a combattere fino ad oggi», aggiunge. Alcune fonti parlano di 230 aerei cargo colmi di armi e munizioni e altri equipaggiamenti militare giunti in Israele negli ultimi 80 giorni.
Intanto quello che nelle scorse settimane era stato uno descritto come uno scherzo, poco alla volta si rivela una realtà. Un video mostra soldati a Gaza che espongono uno striscione della Harey Zahav, una delle principali società immobiliari israeliane nella costruzione di insediamenti coloniali nella Cisgiordania occupata. La scritta e i disegni annunciano cinque progetti di colonie ebraiche a Gaza che si richiamano a quelle che furono evacuate nel 2005 con il piano di ridispiegamento voluto dal premier scomparso Ariel Sharon.
MICHELE GIORGIO
foto: screenshot tv