Garibaldi. Una grande vita in breve

Non aspettatevi di leggere una vera e propria biografia del Generale se avrete tra le mani il libro di Denis Mack Smith “Garibaldi” (ed. Mondadori, 1993/2014). Senza questa puntualizzazione...
Giuseppe Garibaldi

Non aspettatevi di leggere una vera e propria biografia del Generale se avrete tra le mani il libro di Denis Mack Smith “Garibaldi” (ed. Mondadori, 1993/2014). Senza questa puntualizzazione finirebbe con l’essere deluso qualunque accostamento al testo del grande storico inglese, forse il più interessato alla nostra storia risorgimentale. No, quella di Mack Smith è una trattazione della vita di Giuseppe Garibaldi da un punto di vista critico, per niente agiografico e quindi demitizzante l’eroicità del nostro più grande avventuriero e rivoluzionario ottocentesco [Per approfondire: “Garibaldi, il nostro ‘Che Guevara’“].

Lo si capisce dal sottotitolo: “Una grande vita in breve“.

Ma ancor di più, lo si dovrebbe dedurre anzitutto dalla mole del libro, anche se è pur vero che non dalla copertina si giudica un’opera e non lo si dovrebbe fare nemmeno dal numero delle sue pagine. Tuttavia, una biografia che riguardi una vita così piena e intensa come quella di Garibaldi meriterebbe una trattazione ampia e particolareggiata, ricca di intersezioni con le esistenze parallele dei più grandi uomini politici e degli statisti di quel secolo in cui tutta l’Europa, gran parte del mondo, e certamente l’intera Italia fu attraversata da fermenti nazionali che miravano a sostituire l’ordine costituito dal Congresso di Vienna.

Mack Smith ci offre una coloritissima e vivace storia delle gesta garibaldine facendone sempre soltanto cenno e contornandole di innumerevoli osservazioni che hanno il sapore della ricerca storica molto dettagliata, dando ai capitoli il compito di invitare all’approfondimento ulteriore.

Da un lato si potrebbe dire che lo storico britannico ha voluto rimanere alla superficie degli eventi per consentire al lettore di stimolare ulteriormente il proprio acume e la propria voglia di saperne di più di Garibaldi; dall’altro si potrebbe obiettare che forse non sarebbe guastata una intromissione maggiore nella vita del Generale, senza scivolare oltre il metodo storico, senza scadere nella tentazione del pettegolezzo che alcuni biografi hanno avuto e per la quale hanno pure riscosso un meritato successo.

E’ il bello dell’anticonformismo garibaldino. Anche nel seguire gli schemi di battaglia, nell’organizzare la difesa del confine uruguayano prima e della Repubblica Romana dopo. Gli strateghi delle guerre pieni di stellette e mostrine, i capi di stato maggiore dell’800 lo additano più come un bandito, un rivoluzionario stravagante, un demagogo socialista, uno stravagante avventuriero che non ha né arte e né parte. Ma devono riconoscergli la popolarità, la sua vicinanza ai sentimenti della maggior parte di una Italia che fatica a riconoscersi in sé stessa e lo collocano a metà strada tra il liberalismo istituzionale e monarchico di Camillo Benso e il rigido protocollo rivoluzionario di Giuseppe Mazzini.

Garibaldi è, a differenza di Cavour e di Mazzini, un uomo eclettico, poliedrico e pieno di contraddizioni: la sua non è una esistenza coerente con i princìpi della morale borghese, ma un continuo rivoltarsi alle convenzioni antisociali nel nome della libertà, inseguendo di volta in volta tutte le lotte in cui potersi infilare per mettere insieme tanto la sua sopravvivenza a tempi che non lo capiscono quanto le sue idee che sono spesso abbozzate e bislacche.

I posteri, nel nome di grandi miti della Storia (che sono il contrario dei fatti e degli accadimenti veri), finiscono con il commettere dei grossolani errori di interpretazione e, per sostenere anche politicamente le fondamenta di una nazione appena venuta alla luce, mettono insieme l’inaccostabile: Cavour, Garibaldi, Mazzini e Vittorio Emanuele II. Quattro idee diverse di come fare l’Italia, del pensarla sia prima e sia dopo l’Unità del 1860 e il suo completamento nell’arco temporale dal 1870 al 1918.

Denis Mack Smith non manca, nella sua scrittura priva di mitologizzazione e antieroica, di umanizzare Garibaldi e di trascinarlo fuori dalle trappole della assurda divinizzazione che il Paese gli tributò ipocritamente (e talvolta molto sinceramente) dopo la sua morte. A partire dalle sue ultime parole sul letto di morte: non le sapremo mai a causa di quella spasmodica voglia di attribuirsi la vicinanza ideale del Generale: pari pari alla scena del vecchio garibaldino in “Destinazione Piovarolo“, laddove per svilenti interessi di partito, socialisti e popolari si contendono il revisionismo storico sulla leggendaria frase di Calatafimi: «Bixio, ricordate: qui si fa l’Italia o si muore!».

A Mack Smith questa storia non interessa e, francamente, nemmeno a noi. E’ bello pensare che, davanti al colle del Pianto dei Romani, in una giornata soleggiata, davanti al tentennare del suo luogotenente, Garibaldi abbia mostrato quell’ardimento, quella certezza del e nel proprio volere. Ma, enfasi e retorica o meno, il mito si compone e si scompone di continuo e non ha sosta questa dialettica delle posizioni, delle letture un po’ romanzate che contribuiscono non alla ricerca della verità storica ma al tramandare esclusivamente una versione puramente aneddotica.

Dalla mente semplice e dal grande cuore“, è la chiosa finale con cui lo storico riassume la vita di Garibaldi, l’uomo, il condottiero, il marinaio, il politico, il rivoluzionario. Non si tratta di un eccesso di semplificazionismo: semmai è il tentativo di smontare quella ingombrante strumentalizzazione antistorica messa in campo dal nazionalismo post-risorgimentale e pre-novecentesco (quindi pre-bellico) che aveva annullato le differenze tra la diplomazia cavouriana, la dinastia sabauda, il repubblicanesimo mazziniano e l’avventurismo socialisteggiante garibaldino.

Il valore del testo di Mack Smith sta proprio in questo saper rendere in breve una enormità, nel semplificare senza semplicizzare, nel ridefinire i confini dei fatti senza entrare nei fatti stessi. E’ un esercizio di astuzia, una capacità emblematica se la si pensa esercitata su un periodo storico densissimo di avvenimenti, dove nazioni frammentate come l’Italia e la Germania si sono progressivamente avvicinate all’unità politica dovendo, soprattutto nel caso del nostro Paese, costruire a posteriori quella sociale, culturale e civile.

La vita di Giuseppe Garibaldi è un grande affresco di scene memorabili che meritano una attenzione particolare, circostanziata, perché ci portano a conoscere la società ottocentesca in tutte le sue sfaccettature e ad ogni latitudine e longitudine del globo. Dai due mondi della giovinezza nel mare aperto dei commerci e delle guerre di liberazione nazionali dell’America Latina al ritorno in Italia per recuperare un senso, una ispirazione ideale che in lui sarà sempre una mescolanza tra amore per la nazione, disprezzo per i preti, avversione per le monarchie, simpatie per una internazionale dei lavoratori sul finire del suo tempo.

Leggete Mack Smith sia per iniziare a conoscere Garibaldi, sia, avendolo già trattato ampiamente con altri testi, a cominciare dalle infarinature scolastiche, per collocarlo nella sua giusta e naturale dimensione: un uomo dalle doti straordinarie, dal carattere indomitamente ribelle a cui volere bene umanamente e storicamente. Ma, per favore, mai e poi mai un mito. E’ un insulto che Garibaldi non merita più.

GARIBALDI. UNA GRANDE VITA IN BREVE
DENIS MACK SMITH, MONDADORI, 1993/2014
€ 10,50

MARCO SFERINI

1° dicembre 2021

foto: particolare della copertina del libro

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