«Conserviamo il pessimismo per tempi migliori», è l’invito dello scrittore e teologo della liberazione Frei Betto di fronte alla drammatica involuzione politica e culturale registrata in Brasile sotto il governo Bolsonaro. Una deriva autoritaria non molto distante in realtà dalle dinamiche di decostruzione della democrazia che si registrano anche in Europa (e in Italia), come è stato ricordato durante il seminario «Brasile: democrazia in crisi. Allarme per l’America latina», promosso il 14 maggio alla Lumsa dalla Fondazione Basso e dal Comitato italiano Lula Livre, con la presenza, oltre che di Frei Betto, di giuristi, professori, filosofi brasiliani e italiani.
Ma se la tendenza è generale, il Brasile – è stato sottolineato – rappresenta un caso significativo di quelle «autocrazie elettive» contrassegnate, come ha ricordato Luigi Ferrajoli, dall’insofferenza per ogni vincolo costituzionale, in base a una nuova forma di politica a cui i mercati, «i veri sovrani assoluti», chiedono «una sola cosa: disciplinare la società».
Ed è in questo laboratorio di neoliberismo ultrautoritario costituito dal Brasile che la sinistra, secondo Frei Betto, è chiamata a rimboccarsi le mani, riscattando gli errori commessi dai governi del Pt.
Lo sciopero di insegnanti, studenti e lavoratori dell’istruzione contro i tagli all’educazione può essere il segnale di una ripresa dell’iniziativa da parte della sinistra?
Perché la sinistra riprenda l’offensiva è necessario che torni al lavoro di base, alla formazione di nuovi militanti, all’elaborazione di un progetto di paese. Quando entrai nel governo Lula, la prima cosa a cui mi dedicai fu la creazione di un’équipe di educazione popolare, la Rete di educazione cittadina (Recid), costituita da 800 educatori popolari pagati dal governo e da mille volontari. Eppure, quando nel novembre del 2014 proposi a Dilma, appena rieletta, di sostenere la Recid, la presidente non aveva idea che nel governo esistesse un’équipe di 800 educatori chiamati a svolgere un lavoro di coscientizzazione con le famiglie beneficiarie del programma bolsa familia.
Il problema è che non siamo riusciti a trasmettere il senso del processo politico che stavamo vivendo. Ci siamo limitati a offrire beni personali, anziché investire con decisione su quelli sociali. E con ciò abbiamo creato una nazione più di consumisti che di cittadini e cittadine in grado di assumere un protagonismo politico. Non a caso Paulo Freire diceva che la testa del povero tende a essere l’albergo dell’oppressore. E a ciò si aggiunge la smobilitazione provocata dalla cooptazione dei movimenti popolari, i quali, con onorevoli eccezioni come quella del Mst, sono passati più a rappresentare il governo presso le basi che le basi presso il governo.
E così, dopo 13 anni di Pt, la gente ha scelto Bolsonaro…
Lo ha scelto anche perché il candidato che avrebbe votato era stato messo in prigione. E perché la coltellata subita da Bolsonaro, su cui tanti dubbi sono stati sollevati – compresi i miei – lo ha sottratto al dibattito, trasformandolo in una vittima. Ma un altro fattore decisivo per la sua vittoria è stata la manipolazione delle reti digitali, che io mi rifiuto di chiamare reti sociali perché è assai dubbio che creino socialità. Che poi è l’orizzonte in cui si muove Steve Bannon, e che spiega come mai, malgrado tutti i media statunitensi, con l’eccezione della Fox, si opponessero a Trump, abbia vinto quest’ultimo; malgrado tutti i media inglesi fossero contrari alla Brexit, gli elettori abbiano deciso di lasciare l’Europa e malgrado tutti i media brasiliani attaccassero Bolsonaro, sia stato lui a conquistare la presidenza. Il problema è che noi non abbiamo il controllo degli algoritmi e loro sì, riuscendo a inviare milioni di fake news a milioni di cellulari.
Tutto ciò non toglie, però, il fatto che la sinistra abbia commesso l’errore di scambiare un progetto di Brasile, quello disegnato nei documenti originari del Pt, con un progetto di potere. E che, così facendo, abbia aperto il fianco all’offensiva della destra. Senza contare che l’assenza di autocritica da parte del Pt sugli scandali di corruzione ha favorito l’idea di una corruzione generalizzata, provocando un discredito profondo.
È stato ampiamente evidenziato come il governo Bolsonaro esprima un mix micidiale di neoliberismo e ultra-autoritarismo. È in questa logica che si inscrive lo smantellamento dell’educazione pubblica?
Il quadro è quello della destatalizzazione in corso a livello mondiale, in base a due idee fondamentali: che lo Stato debba funzionare come un’impresa, e dunque debba essere amministrato non dalla classe politica ma da chi abbia competenze nell’iniziativa privata, e che allo Stato vada sottratta la responsabilità dei diritti sociali. Cosicché in un’epoca di mercificazione totale di tutte le dimensioni della vita, anche i diritti universali, a partire da alimentazione, salute ed educazione, devono essere privatizzati. L’aspetto più significativo dei tagli di Bolsonaro è che il programma di finanziamento agli studenti, di maggiore interesse per i proprietari di scuole private, sia stato quello più tutelato.
Ce la farà Bolsonaro ad arrivare alla fine del mandato?
Il governo è talmente disastrato e attraversato da conflitti interni che l’opposizione non deve fare quasi nulla per contrastarlo. Il suo discredito è endogeno. Non so cosa accadrà, ma condivido l’opinione del leader dell’opposizione alla Camera Alessandro Molon, secondo cui è meglio che resti Bolsonaro, piuttosto che veder salire al potere il generale Hamilton Mourão. Perché, a differenza del presidente, che non ha l’appoggio né del mercato, né dei grandi media né di tutta la forza armata, il suo vice gode del pieno sostegno di tutte queste forze. E così potrebbe imporre al Brasile un regime molto più duro. Per quanto incredibile possa apparire, Mourão, con il suo profilo elegante e apparentemente democratico, è più pericoloso di Bolsonaro.
CLAUDIA FANTI
foto tratta da Wikimedia Commons