Nicola Fratoianni, lei prima della manifestazione di piazza Santi Apostoli ha mandato una lettera aperta a Giuliano Pisapia chiedendo un incontro sul programma. Avendo ascoltato da fuori l’intervento appena finito è più ottimista che si possano trovare punti in comune?
Dopo aver sentito Giuliano sono in uno stato di sospensione, mi ha lasciato un po’ perplesso. È mancato un significativo sforzo di chiarezza. Non ho sentito su un singolo tema proposte radicalmente alternative alle politiche portate avanti dal Pd in questi anni.
In realtà l’avverbio «radicalmente» Pisapia lo ha pronunciato molte volte. Non le è bastato?
Sì, l’ha detto ma poi non ha mai spiegato in cosa essere radicali. Se l’intervento di Bersani è stato molto positivo nel merito, seppur non tutto condivisibile, soprattutto nel rivendicare «la globalizzazione dal volto buono» che per me non c’è mai stata, Pisapia si è limitato a tracciare un elenco di temi senza mai lasciar neppure intravvedere la svolta necessaria. Bersani mi pare abbia interpretato il bisogno della piazza di chiudere una stagione politica terribile: ha parlato di lavoro, di welfare universalistico, di progressività. Pisapia lo ha fatto molto meno…
Sta dicendo che Bersani è più leader di Pisapia? Eppure è stato proprio l’ex segretario Pd a incoronare Giuliano come «leader della nuova casa comune della sinistra e del centrosinistra»…
I leader non si inventano. O si scelgono in modo democratico o ci sono perché sono in grado di convincere tutti per la giustezza della loro proposta. Detto questo, non voglio personalizzare il problema. Che è invece quello di lavorare per costruire un programma in grado di essere credibile come alternativa ai governi di questi anni. Non intendo rassegnarmi, ma se qualcuno pensa che la piazza di oggi sia lo spazio a cui aderire a prescindere dal programma terrebbe un comportamento poco intelligente.
Se dovesse scommettere dunque ad oggi la prospettiva delle due liste a sinistra è la più probabile?
Non voglio fare scommesse. Voglio lavorare perché una prospettiva di alternativa al Pd abbia il massimo di successo, ma per esserlo deve essere prima di tutto credibile. Non si può imporre l’unità mettendo in secondo piano la credibilità di politiche di sinistra che riportino a votare i milioni di persone che si astengono. Il 18 giugno con Anna Falcone e Tomaso Montanari abbiamo iniziato un percorso che deve procedere, senza rendere impossibile il confronto con Giuliano.
La discriminante è il rapporto col Pd? Il problema è sempre Renzi?
Che il problema per noi non sia Renzi è dimostrato dal fatto che eravamo all’opposizione anche del governo Letta. Il problema sono le politiche portate avanti dal Pd in questi anni: Jobs act, Buona Scuola, bonus ai ricchi. Con questo Pd non c’è possibilità di intesa.
In piazza però c’erano anche molti esponenti del Pd a partire da Andrea Orlando. Con lui un dialogo possibile?
Trovo incredibile che Orlando possa essere considerato un interlocutore. Lo dovrebbe essere solo perché ha sfidato Renzi alle ultime primarie? Non scherziamo: è stato ministro anche con Letta, è l’autore di provvedimenti che poco hanno a che fare con la sinistra. Io sono contrario ad una astratta vocazione coalizionale: un’alleanza si costruisce sul programma e il programma deve essere totalmente diverso dalle politiche portate avanti anche da Orlando.
Pisapia e Bersani le obietterebbero che se non vi allete fate il gioco della destra…
Mi pare l’abbia detto bene anche Leoluca Orlando dal palco: «Se la sinistra fa la destra, le persone votano l’originale». Il problema è tornare a fare la sinistra, non inseguire la destra. Solo così potremo vincere
MASSIMO FRANCHI
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