Francesco Nuti. Di padre comunista

L'attore e regista toscano che, con i suoi film, continua a influenzare generazioni di artisti
Francesco Nuti

Fine anni ’60. Cecco e Paolo sono due adolescenti di Prato che hanno in comune una grande passione per il calcio. Il primo, di un anno più grande, gioca per il quartiere di Narnali, il secondo per la squadra di Santa Lucia. Un giorno vengono convocati insieme a Coverciano nel ritiro della Nazionale under 14. Condividono allenamenti e stanza. Hanno lo stesso sogno, ma Cecco capisce subito che Paolo è molto più bravo. Lo sarà per davvero. Paolo, che di cognome faceva Rossi, poi semplicemente Pablito, diventerà Campione del mondo nel 1982; Cecco, che è il soprannome di tutti i Francesco della Toscana, si chiamava invece Nuti, Francesco Nuti.

1. Francesco Nuti e Paolo Rossi

Il futuro attore nacque a Firenze il 17 maggio 1955 da mamma Anna Giglio, donna molto religiosa originaria di Crotone che avrebbe voluto una bambina, e da papà Renzo conosciuto all’epoca come il “barbiere del Mugello” che viveva la sua bottega come una sezione del PCI. Cecco a Firenze visse solo i suoi primi sei anni. La famiglia, composta anche dal fratello maggiore Giovanni – classe 1952, che diventerà medico, pittore, poeta ed, infine, grazie alla collaborazione con Giovanna Marini, raffinato musicista – infatti, si trasferì presto a Prato, frazione Narnali, dove il padre aveva trovato una nuova bottega.

Il piccolo Francesco era diviso tra l’educazione religiosa delle suore nella scuola privata imposta dalla madre (il padre voleva quelle comunali, ma non ci fu verso) e la vitalità della Casa del popolo, il Circolo ARCI dedicato a Renzo Rossi un partigiano pratese morto durante la Resistenza. In quel luogo tra operai tessili con le dita mozzate e racconti più o meno fantasiosi, Francesco Nuti scoprì una delle grandi passioni della sua vita: il biliardo. E poi c’era il calcio. Si allenava e giocava nel campo di Narnali. Era bravo, ma nella sua stessa città c’era, appunto, uno molto più bravo.

Abbandonato il sogno di diventare un calciatore, Nuti provò a concentrarsi sugli studi. Dopo essersi diplomato perito chimico all’Istituto Tullio Buzzi di Prato si iscrisse a biologia, ma nell’ultimo anno delle scuole superiori aveva scoperto la recitazione, il teatro, il cabaret. Iniziò così a scrivere dei monologhi surreali che, tuttavia, non trovarono grande riscontro. Cecco iniziò quindi a lavorare come operaio in un’industria tessile, che a Prato è il settore che dava e da più lavoro in assoluto, ma quei monologhi non erano passati inosservati. Nel 1977 Nuti fu, infatti, chiamato da un gruppo comico, i Giancattivi.

2. I Giancattivi nella formazione più nota. Da sinistra Benvenuti, Nuti, Cenci

Fondati nel 1972 da Alessandro Benvenuti (Pelago, 31 gennaio 1950), Athina Cenci (Coo, 13 marzo 1946) e Paolo Nativi (Siena, 17 febbraio 1940 – Firenze, 24 giugno 1976) i Giancattivi, dal latino “iam captivus” già schiavi ovvero liberi, si erano affermati nella scena comica toscana con punte di surrealismo. Liberi appunto. Nativi, morto prematuramente, fu prima sostituito da Franco Di Francescantonio (Roma, 14 giugno 1952 – Firenze, 27 luglio 2005) poi da Antonio Catalano (Potenza, 13 marzo 1950).

Oltre ai tanti spettacoli teatrali (“Il teatrino dei Giancattivi”, “Il teatrino dei Giancattivi 2”, “Nove volte su dieci più una”, “Italia ’60”, “Pastikke”) da ricordare anche un celebre scherzo radiofonico (che riecheggiò quello irraggiungibile di Orson Welles) in cui il trio fece credere che la provincia di Lucca, dichiarata zona batteriologicamente “bianca”, dovesse essere evaquata. Qualcuno ci credette davvero, ma il riferimento più che batteriologico era politico: Lucca era l’unica provincia “bianca” (democristiana) in una regione “rossa” (comunista).

L’arrivo di Francesco Nuti nei Giancattivi coincise con la maggiore esposizione televisiva del gruppo (dopo quella radiofonica a Black Out), prima a Non stop, poi a La sberla. Con loro, su quegli innovativi palchi televisivi, anche il romano Carlo Verdone, con cui Nuti legò molto, il gruppo napoletano della Smorfia (Troisi, Arena, Decaro) e quello veronese dei Gatti di Vicolo Miracoli (Calà, Smaila, Salerno, Oppini). Fu il lancio definitivo. L’originalità dei Giancattivi risiedeva nello studio e nell’analisi di grandi movimenti letterari (il surrealismo, il futurismo) e del loro inserimento, in qualche senso, nella provincia toscana. Il successo fu tale che il passo verso il cinema fu il successivo.

Alessandro Benvenuti scrisse, infatti, una sceneggiatura che vedeva protagonisti i Giancattivi al completo, cimentosi per la prima volta alla regia, in un film surreale già dal titolo: Ad ovest di Paperino (1981).

3. Ad ovest di Paperino (1981) di Alessandro Benvenuti

Firenze. Il DJ Augusto (Alessandro Benvenuti), la pittrice sognatrice Marta (Athina Cenci), alla ricerca di un piccione che potrebbe trasformarsi in un principe azzurro, e il disoccupato Antonio (Francesco Nuti) si incontrano per caso e passano insieme un’intera giornata tra personaggi bizzarri e situazioni varie, per ritrovarsi, alla fine, con gli stessi problemi di prima nella speranza di un domani diverso.

Sintesi perfetta della comicità “agrodolce” del trio. Il film, quasi privo di trama, riuscì a trasmettere allo spettatore un gusto per il surreale. Nel cast anche Paolo Hendel, Novello Novelli e Renato Scarpa. Il Paperino del titolo è una frazione di Prato.

Il film venne nominato, senza vincere, ai David di Donatello, ma fu il primo e l’ultimo con la formazione più nota del trio toscano. Nuti, infatti, a seguito di contrasti avvenuti durante le riprese, lasciò il gruppo per intraprendere la carriera da solista. Venne sostituito da Daniele Trambusti. I Giancattivi realizzarono un nuovo film, Era una notte buia e tempestosa… sempre diretto da Benvenuti, per poi sciogliersi definitivamente nel 1985.

Ad ovest di Paperino era stato prodotto da Gianfranco Piccioli (Viareggio, 26 febbraio 1944) che fu tra i primi a dare fiducia a Nuti. Lo sollecitò a scrivere una sceneggiatura, insieme ad Elvio Porta, e affidò la regia a Maurizio Ponzi (Roma, 8 maggio 1939) approdato sul set alla fine degli anni Sessanta dopo anni di critica militante su “Filmcritica” e “Cinema & Film”. Il titolo del film?

4. Madonna che silenzio c’è stasera (1982) di Maurizio Ponzi

Nuti, come il padre, era comunista. Nel 1977 si era iscritto al PCI, non urlò mai come altri la sua appartenenza, ma quando poteva dava un contributo. Una sera, dopo uno spettacolo alla Festa dell’Unità nella provincia di Arezzo, tornò in hotel e pensò: Madonna che silenzio c’è stasera.

Appena lasciato dalla fidanzata e perseguitato dall’asfissiante madre (Gianna Sammarco), il giovane disoccupato Francesco (Francesco Nuti) affronta una giornata a Prato dove incontra “Il Magnifico” (Massimo Sarchielli), ex collega del padre defunto, cerca lavoro nell’industria tessile che mutila gli operai (il telaio visto come un mostro), fa coppia di marachelle con il piccolo Filippo (Mario Cesarino), vince un improbabile concorso per dilettanti allo sbaraglio, cui partecipa anche il prete cantante Don Valerio (Ricky Tognazzi, anche aiuto regista), cantando “Puppe a pera”, va in bianco con una prostituta (Edy Angelillo, che aveva debuttato in Ratataplan di Maurizio Nichetti) per poi riconciliarsi con la fidanzata.

Nuti riprese e ampliò le note surreali di Ad ovest di Paperino per tratteggiare la malinconia e l’apatia di una generazione senza più punti di riferimento. Come ricorda “Il Magnifico” con la sua massima: “O tu vai in Perù, o tu sposti una chiesa, o tu vinci al Totocalcio!”. Ovvero o rifiuti le regole, o cerchi di cambiarle o evadi dalla realtà. Nel film anche un giovanissimo Giovanni Veronesi che interpretò Stefano il cugino di Francesco.

5. Maurizio Ponzi

Il successo fu tale che la coppia Ponzi-Nuti si mise al lavoro per un nuovo film. La sceneggiatura, scritta dall’attore con Franco Ferrini, Enrico Oldoini e lo stesso regista, era meno surreale rispetto alla precedente, più vicina ad una commedia sentimentale americana, come quelle di Howard Hawks. Per il principale ruolo femminile, dopo il rifiuto di Donatella Rettore, fu scelta Giuliana De Sio, all’epoca ad inizio carriera.

Ma al centro del nuovo film, oltre alla storia d’amore, c’era anche un mondo caro a Nuti, quello del biliardo. Per rendere quel mondo più vero e credibile venne ingaggiato Marcello Lotti (Firenze, 25 aprile 1929 – Firenze, 13 novembre 2008) che recitò la parte di se stesso. Era, infatti, un formidabile campione della stecca ribattezzato “lo Scuro”. Nacque Io, Chiara e lo Scuro.

Francesco Piccioli (Francesco Nuti), un ragazzo toscano da poco trasferitosi a Roma, lavora in un residence e spende tutto il suo tempo libero nel biliardo. Una sera, nonostante l’amico Merlo (Novello Novelli) glielo sconsigli, sfida e batte il campione Marcello Lotti detto “lo Scuro” (se stesso) diventando per tutti “il Toscano”. Sul tram che lo riporta a casa scambia accidentalmente la valigetta che custodisce la sua stecca con quella identica di Chiara (Giuliana De Sio) una giovane sassofonista che vive nel suo stesso palazzo. Il giorno dopo Francesco concede la rivincita a Lotti, ma perde. Ruba i soldi dalla cassetta di sicurezza del residence, ma continua a perdere e ad indebitarsi. L’unica possibilità per salvarsi è quella di iscriversi e vincere il campionato italiano di biliardo a Chianciano. Chiara, ormai innamorata, impegna il suo sassofono per l’iscrizione, Francesco perde la finale con “lo Scuro”, ma la donna aveva scommesso contro il suo amato riuscendo così a saldare il debito. Francesco inizialmente indispettito capisce l’amore di Chiara e la va a prendere nel night dove suona e canta, prima di battere in una nuova sfida “lo Scuro”.

6. Io, Chiara e lo Scuro (1982) di Maurizio Ponzi

Una commedia garbata, vecchio stile che esaltò le qualità comiche di Nuti e più in generale quelle dei protagonisti; Nuti e De Sio vinsero il David, Lotti fu candidato. Bravo anche Ponzi che riuscì, tra l’altro, a ricreare sullo schermo l’atmosfera delle fumose sale da biliardo. Grazie a Io, Chiara e lo Scuro, presentato a Cannes nella sezione Un Certain Regard, Nuti, dall’accento verace simile a Benigni e dal volto malinconico come Troisi, riuscì a ritagliarsi un posto autonomo nel panorama dei nuovi comici italiani degli anni Ottanta.

Era il 1982. L’amico Paolo Rossi stava trionfando ai Mondiali di Spagna, Francesco Nuti nel mondo del cinema.

Nuti venne diretto da Ponzi anche nel successivo Son contento uscito nella sale il 10 novembre 1983.

Francesco (Francesco Nuti), giovane cabarettista, viene lasciato dalla ragazza Paola (Barbara De Rossi) e precipita in una profonda crisi personale e creativa fino a quando, dopo aver convinto il suo agente Falcone (Carlo Giuffré, premiato col David) ad organizzargli nuove serate ed essersi riavvicinato alla ex fidanzata, ritrova il successo con spettacoli che attingono alla sua vita privata. Pagherà il successo con la solitudine.

Scritto da Nuti, Ponzi, Ferrini e Oldoini il film riprese i temi cari all’autore, ormai lontano dallo stile del cabaret, con un finale inedito per una commedia. Nel cast anche Ricky Tognazzi, il postino sospettato di essere l’amante di Paola, e Ferzan Özpetek, nella parte di un “Madonnaro”, che col film iniziò una fortunata collaborazione con Nuti.

7. Son contento (1983) di Maurizio Ponzi

Son contento – titolo anche del brano cantato nella colonna sonora dallo stesso Nuti – andò bene al botteghino, ma non ottenne il successo dei film precedenti. Nuti, che stava maturando la scelta di passare alla regia, superò così il sodalizio artistico con Ponzi. Quest’ultimo, che aveva pensato all’attore anche per il successivo Qualcosa di biondo al fianco di Sophia Loren (in un ruolo poi interpretato da su Ricky Tognazzi) non riuscì più a ritrovare quelle belle pagine di cinema. Da ricordare, comunque, Il tenente dei carabinieri (1986), Noi uomini duri (1987), Volevo i pantaloni (1990), Fratelli coltelli (1997).

Nuti, invece, dopo aver recitato nell’episodio Sant’Analfabeta, inserito nella serie TV Sogni e bisogni diretta da Sergio Citti, decise di riprendere il suo film di maggiore successo, Io, Chiara e lo Scuro, e di farne un seguito. La sceneggiatura venne scritta da due maestri dell’epoca Luciano Vincenzoni e Sergio Donati. Le musiche, per la prima volta, furono affidate al fratello Giovanni Nuti. Nel settembre del 1985 uscì Casablanca, Casablanca.

Nonostante sia divenuto una leggenda nel mondo del biliardo dopo aver sconfitto “lo Scuro” Marcello Lotti (se stesso), “il Toscano” Francesco (Francesco Nuti) ha lasciato il gioco, vive con la musicista Chiara (Giuliana De Sio) e si guadagna da vivere facendo il cameriere (il barista è Carlo Monni). Si concede solo un colpo al giorno: una difficilissima “ottavina reale”. Tutto cambia quando Francesco sospetta che Chiara lo tradisca e, su insistenza del Merlo (Novello Novelli) che ha sempre narrato le sue gesta, si iscrive al campionato mondiale di Casablanca. I due, inevitabilmente, si ritroveranno.

8. Casablanca, Casablanca (1985)

Il seguito non dichiarato di Io, Chiara e lo Scuro rimane a distanza di anni una commedia elegante, con qualche riferimento al Casablanca di Curtiz, che valse a Nuti il secondo David di Donatello e un sempre maggiore legame col pubblico. Legame che si consolidò col successivo Tutta colpa del Paradiso scritto con Vincenzo Cerami e Giovanni Veronesi.

Uscito dal carcere dopo aver scontato cinque anni per rapina a mano armata, Romeo Casamonica (Francesco Nuti) non trova nessuno ad accoglierlo: il suo quartiere è stato “comprato dagli americani”, la sua casa demolita e le sue poche cose messe in un seminterrato occupato da dei giovani punk. Decide così di conoscere, nonostante l’ostilità di una cinica funzionaria (Laura Betti), il figlio Lorenzo (Marco Vivio) dato in adozione dalla madre durante la sua detenzione. Riesce così a rintracciare i nuovi genitori, Celeste (Ornella Muti) e Alessandro (Roberto Alpi), che vivono in Val d’Aosta in una baita chiamata “Paradiso”. Il bambino è in vacanza, ma Romeo, con una scusa, riesce a farsi ospitare dalla coppia (con inevitabile “lampo di passione” tra Nuti e Muti). Riuscirà a conoscere Lorenzo, ma dopo aver trascorso dei bei momenti con lui non si rivelerà, capendo che in quell’ambiente è protetto e amato.

Una commedia per famiglie, senza dare necessariamente alla definizione una connotazione negativa, che fu uno dei dieci film più visti della stagione 1985-86. La canzone “Lovelorn man” divenne quasi un tormentone e la scena finale del film dimostrò che l’attore sapeva giocare veramente a calcio.

9. Tutta colpa del Paradiso (1985)

La comicità di Nuti intelligente e surreale, il suo aspetto dolce e indifeso, in aperto contrasto con un fare aggressivo, almeno a parole, lo consolidarono come uno degli autori più amati dal pubblico. Ben più fredda fu, invece, la critica. Nuti, un po’ narcisista come tutti gli autori, provò a conquistarla cambiando “registro”. Nel 1986 scrisse, sempre con Cerami e Veronesi, diresse e interpretò Stregati, ancora al fianco di Ornella Muti.

In una Genova piovosa come non mai, Lorenzo (Francesco Nuti) conduce un programma notturno su Radio Strega dai cui microfoni disquisisce e sentenzia tenendo compagnia a nottambuli e lavoratori infelici. È un immaturo “sciupafemmine” che condivide la sue conquiste col padre Novello (Novello Novelli) che gestisce un cinema porno, con il tassista Remo (Sergio Solli) e col pianista Alex (Alex Partexano). Tutto cambia quando conosce Anna (Ornella Muti) a Genova per acquistare l’abito per le nozze che si terranno due giorni dopo a Verona. La donna, bella e ombrosa, passa con Lorenzo molte ore e rinvia la partenza.

10. Stregati (1986)

Un film con pretese “autoriali” non compiute (gli interventi in radio di Lorenzo, il rapporto con gli amici e quello con le donne, l’uso eccessivo della musica), ma il pubblico continuò a seguire Nuti e lo fece anche nella sua imprevedibile partecipazione al Festival di Sanremo del 1988, non come comico, come cantante in gara. L’attore interpretò, infatti, “Sarà per te” che arrivò fino alla serata finale nell’edizione vinta da “Perdere l’amore” di Massimo Ranieri.

Nuti tornò dietro e davanti alla macchina da presa con una produzione importante resa possibile grazie a Mario e Vittorio Cecchi Gori che andarono ad affiancarsi, o meglio a prevalere, sullo storico collaboratore Gianfranco Piccioli. Il 22 dicembre 1988 uscì Caruso Pascoski (di padre polacco).

A Prato lo psicanalista Caruso Pascoski (Francesco Nuti), figlio di una madre apprensiva (Gianna Sammarco) e di un padre polacco, comunista e taciturno (Umberto Angelucci), è in crisi perché la moglie Giulia (Clarissa Burt), che conosce da sempre, gli ha chiesto il divorzio ed esce con Edoardo (Ricky Tognazzi), suo paziente che aveva schedato come omosessuale latente. Depresso, smarrito e in preda all’alcol Caruso viene più volte fermato dal maresciallo dei Carabinieri (Novello Novelli, come dimenticare la battuta “dammi un bacino”) e più volte salvato dall’amico avvocato (Antonio Petrocelli), ma quando tutto sembra essere perso, Giulia gli confessa che lo ama ancora.

11. Caruso Pascoski (di padre polacco) (1988)

Scritto con David Grieco e Giovanni Veronesi (che compare nel ruolo del secchione) Caruso Pascoski (di padre polacco) fu uno dei maggiori successi di Nuti capace di incassare oltre 10 miliardi di lire, superato tra gli italiani solo da Il piccolo diavolo di Roberto Benigni. Da segnalare che in un mondo comico che derideva l’omosessualità Nuti fece dire a Caruso “A te piacciono gli uomini, a me piacciono le donne. Che differenza c’è? Nessuna. Siamo diversi? No”. Indimenticabile anche il parallelo tra salumi e politica con la mortadella comunista. I titoli di coda sono accompagnati da una nuova versione di “Puppe a pera”.

Un successo che continuò anche nel successivo Willy Signori e vengo da lontano, uscito il 20 dicembre 1989. Ancora a Natale.

Reporter di cronaca nera in un quotidiano milanese, Willy Signori (Francesco Nuti) è afflitto dal fratello Ugo (Alessandro Haber, candidato al David), costretto sulla sedia a rotelle, e dall’antipatica fidanzata Alessandra (Anna Galiena). La sua vita cambia quando Lucia Ventura (Isabella Ferrari) una ragazza incinta lo accusa di essere il responsabile della morte del padre del nascituro in un incidente automobilistico. Willy inizierà così a prendersi cura della donna, si innamorerà e lascerà la cinica Milano per il caldo Nord Africa.

Per molti il film più brutto di Nuti, alcuni teorizzarono, con cattiveria mai riservata ad altri registi, che avrebbe dovuto sparire dalla scena, ma Willy Signori e vengo da lontano fu il film italiano più visto dell’anno. Non sarà un capolavoro, ma non mancano le scene divertenti, incluse quelle in cui Novello Novelli è un cadavere.

12. Willy Signori e vengo da lontano (1989)

Nel frattempo quello che era il mondo politico di Nuti, e non solo il suo, andava sgretolandosi. Nel 1984 era morto Berlinguer, Nuti partecipò al funerale con l’amico Carlo Verdone. Nel 1991 si svolse l’ultimo congresso del PCI. “Sono uno di quelli che hanno pianto quando c’è stata la svolta decisa da Occhetto, la svolta della Bolognina” sottolineò l’attore che aggiunse di aver portato, anche involontariamente, quella tristezza nei film successivi.

Nel cassetto Nuti aveva un vecchio progetto, sempre incentrato sul rapporto con le donne, in cui un uomo aveva relazioni e reazioni diverse con una hippy, una manager di successo, una ragazza molto ideologizzata. Nella stesura finale di donne ne rimase una sola e il film si intitolò Donne con le gonne uscito nel 1991.

Il dentista Renzo Calabrese (Francesco Nuti), difeso dall’avvocato Carabba (Gastone Moschin), è sotto processo per aver imprigionato la moglie Margherita (Carole Bouquet), conosciuta quando era una hippy e salvata dall’accusa di terrorismo, ai suoi occhi però colpevole di non essere una “donna tradizionale”. Dopo tre anni di carcere i due si ritroveranno e invecchieranno insieme.

13. Donne con le gonne (1991)

Un film strano che oggi sarebbe difficile da girare, l’accusa di misoginia rimane forte (come lo fu per la canzone “Voglio una donna” di Vecchioni, i due incisero insieme “Quelli belli come noi”), ma il film, che contiene la battuta simbolo “E ora si tromba!”, incassò oltre 16 miliardi di lire, superato solo da Johnny Stecchino di Roberto Benigni e da Robin Hood con Kevin Costner, cui si aggiunsero i proventi derivanti dalla vendita della videocassetta. L’home video stava prendendo piede e il produttore Aurelio De Laurentis cercò di cavalcare il successo distribuendo il film senza rispettare l’accordo che prevedeva l’intervallo di nove mesi tra l’uscita nei cinema e lo sfruttamento in video (se pensiamo alla fruizione dei film oggi…). Pagò una multa, ma incassò altri 2 miliardi.

Per garantire la totale libertà agli autori Nuti propose così a Benigni, Troisi, Moretti, Marco Risi, Ricky Tognazzi di organizzarsi, come avevano fatto ottanta anni prima Charlie Chaplin, David W. Griffith, Douglas Fairbanks e Mary Pickford con la United Artists, in una società che si sarebbe dovuta chiamare “Distribuzione Italia”, ma l’idea non vide mai la luce. Moretti non rispose neanche. Con Benigni, invece, complice i ripetuti “testa a testa” al botteghino, venne creata e alimentata una rivalità che Nuti non voleva e non poteva vincere. Donne con le gonne fu il suo ultimo grande successo.

14. i fondatori della United Artists. Da sinistra: Fairbanks, Pickford, Chaplin e Griffith

Gli incassi degli ultimi anni portarono il regista a chiedere produzioni sempre più grandi e impegnative, non sempre riuscite o giustificate. Per il successivo film ebbe un’idea poetica, chi sarebbero oggi Pinocchio e Geppetto?, ma la produzione e la realizzazione furono alquanto tormentate. Il budget iniziale fu di 13 miliardi, la troupe partì per gli Stati Uniti e il film programmato per il Natale 1993. Ma durante la lavorazione uno dei principali produttori, Mario Cecchi Gori, morì, il tutto passò al figlio Vittorio e a Silvio Berlusconi, ci fu un contenzioso legale, le spese arrivarono a sfiorare i 30 miliardi e il film riprogrammato per il Natale 1994 con la tagline “…E questa volta non è una bugia!”. Era OcchioPinocchio, Nuti dichiarò: “Credo che sia il mio film più bello […] quello che ha richiesto più pazienza e amore”.

Alla morte del fratello il magnate americano Brando Della Valle (Joss Ackland) scopre di avere un figlio in Toscana, un uomo con qualche problema cognitivo chiamato da tutti Pinocchio (Francesco Nuti) che è cresciuto e lavora in un ospizio gestito da un perfido direttore (Victor Cavallo). Il magnate vuole il figlio negli USA e lo ribattezza Leonardo. Incapace di adattarsi alla nuova realtà Pinocchio scappa dagli Stati Uniti insieme alla giovane Lucy Light (Chiara Caselli), inseguita dalla polizia con l’accusa di omicidio. La ragazza verrà uccisa, Pinocchio internato, ma riuscirà a scappare, questa volta da solo, verso la libertà.

15. OcchioPinocchio (1994)

Collodi fu solo lo spunto iniziale per raccontare una nuova storia, a tratti poetica, ma nonostante le speranze dello stesso autore, non fu certamente il film più bello di Nuti. Anche il pubblico, per la prima volta in dieci anni, abbandonò l’attore e, OcchioPinocchio, a fronte di spese mostruose, incassò solo 4 miliardi di lire (da sottolineare che Pinocchio fu “fatale” anche per il “rivale” Benigni). Peccato.

Il colpo fu forte e Nuti realizzò un nuovo film solo quattro anni dopo, “rifugiandosi” nell’amato biliardo già al centro di Io, Chiara e lo Scuro e di Casablanca, Casablanca. Senza alcune legame con i precedenti il 25 settembre 1998 uscì Il signor Quindicipalle.

Francesco “Cecco” di Narnali (Francesco Nuti), affermato campione di biliardo, si innamora della prostituta Sissi (Sabrina Ferilli) che gli stravolge la vita.

16. Il signor Quindicipalle (1988)

Commedia semplice, forse troppo per un genio surreale quale era Nuti che non si perse, tuttavia, d’animo e si mise subito a scrivere un nuovo soggetto con ancora al centro il rapporto con le donne. Un rapporto che scorreva parallelo tra set e realtà. Mai celate le relazioni tra Nuti e le sue attrici, su tutte il rapporto con Clarissa Burt, ma in quegli anni il regista aveva trovato la serenità al fianco di Annamaria Malipiero (Padova, 23 marzo 1972) che nel 1999 gli aveva dato l’amata figlia Ginevra.

Tornando al cinema Nuti scrisse, con Carla Giulia Casalini e Ugo Chiti, Io amo Andrea, nelle sale dal 14 gennaio 2000.

Dado (Francesco Nuti), veterinario quarantenne, ottiene il divorzio dalla moglie Rossana (Marina Giulia Cavalli) ma si trova con una vita sentimentale tutta da costruire. Per strada investe Francesca (Agathe de La Fontaine), giovane e nervosa, se la porta a letto, ma scopre che la donna è l’amante dell’affascinante Andrea (Francesca Neri) della quale si innamorerà perdutamente (la figlia di Dado e Andrea che compare alla fine del film è Ginevra Nuti).

17. Io amo Andrea (2000)

Dopo qualche film sotto le aspettative, Nuti tornò al cinema con una bella commedia che, tuttavia, nelle sale passò del tutto inosservata. Peccato. Andò anche peggio col successivo Caruso, zero in condotta (2001).

Lo psicologo Lorenzo Caruso (Francesco Nuti) è vedovo e vive con la figlia tredicenne Giulia (Giulia Serafini), con la quale non riesce ad avere alcun dialogo. Le cose peggiorano quando l’uomo scopre che la ragazzina fa parte di una baby gang dedita a crimini piuttosto pesanti (nel suo zaino trova una pistola). L’esperienza è tale che Caruso inizia ad avere allucinazioni che lo portano a vedere la figlia compiere azioni sempre più terribili.

L’idea di affrontare i problemi di una nuova generazione non riuscì, anche perché quella cresciuta negli anni Novanta non era la generazione di Nuti, e il film fu un fiasco da ogni punto di vista. Utile sottolineare che il titolo non si riferisce ne a Caruso Pascoski dello stesso Nuti, ne a Zero in condotta di Jean Vigo.

18. Caruso, zero in condotta (2001)

Fu l’ultima regia di Nuti che dopo aver raggiunto un successo inimmaginabile cadde in una profonda depressione tra alcol e tentativi di suicidio. Tornò solo nel 2005 come attore in un film di Claudio Fragasso in cui ritrovò Alessandro Benvenuti dopo anni di litigi e incomprensioni che duravano dai tempi dei Giancattivi. Quello del nuovo film, intitolato Concorso di colpa, fu il primo e unico ruolo drammatico per Nuti.

Nel 1978 cinque militanti della sinistra extraparlamentare uccidono accidentalmente un fascista. Venticinque anni dopo uno di loro viene ritrovato cadavere e del caso viene incaricato il commissario Francesco De Bernardi (Francesco Nuti), che faceva parte del gruppo e contatta gli altri membri (Alessandro Benvenuti, Luca Lionello, Massimo Bonetti) per cancellare la sua passata militanza.

Un thriller politico italiano, e questo è un merito, ma è un po’ confuso. Poteva essere un grande film, non lo è stato.

Dopo aver recitato in Concorso di colpa Nuti si concentrò su un nuovo progetto che avrebbe segnato il suo ritorno alla regia in una nuova commedia intitolata Olga e i fratellastri Billi. Il mancato finanziamento del film aveva portato negli anni prima alla minaccia di suicidio (“O qualche produttore da l’OK per realizzarlo […] o volo via”), ma ora con la depressione alle spalle tutto sembrava pronto.

19. Concorso di colpa (2005) di Claudio Fragasso

Per il cast vennero scritturati Francesca Neri, Valerio Mastandrea, Giorgio Albertazzi, Maria Amelia Monti, Gabriele Lavia e Francesco Paolantoni. La trama vantava spunti inediti: Olga è una rapinatrice bella e cinica che, uscita dal carcere, non accetta una vita normale di sacrifici e mediocri soddisfazioni. Il suo compagno Lupo Billi (che doveva essere interpretato da Francesco Nuti) è un ex bandito diventato cuoco sopraffino che si prende cura, con molte difficoltà, del fratellastro Max che ha più di un ritardo. Per amore di Olga, Lupo accetta di tornare nel giro e organizzare una rapina che però finisce male. I tre rapinatori (Olga, Lupo e il fratellastro) rimangono bloccati nella banca che volevano rapinare e sequestrano alcuni ostaggi. Come mediatore si fa avanti un prete, Don Raffaele, che in realtà e un complice di Olga ed è pronto a scappare con il malloppo.

Le riprese di Olga e i fratellastri Billi si sarebbero dovuto svolgere tra Piemonte e Valle d’Aosta, ma, purtroppo, dopo diversi rinvii, non si svolsero mai. Il 3 settembre del 2006 Francesco Nuti cadde in casa. Venne ricoverato con un devastante ematoma cranico. Rimase in coma per oltre due mesi. Iniziò poi un lento recupero, con programmi televisivi che cercarono di spettacolarizzare il suo dramma, ma lui, visibilmente segnato e ormai impossibilitato a parlare e a muoversi, non si perse d’animo. Cecco da Narnali è Cecco da Narnali. Tornò anche sul palco l’11 maggio 2014 in occasione del suo cinquantanovesimo compleanno, insieme a amici e registi che aveva in qualche modo aiutato e soprattutto ispirato Leonardo Pieraccioni, Carlo Conti, Giorgio Panariello e il cantante Marco Masini. Uno spiraglio, ma il 21 settembre 2016 Francesco Nuti cadde di nuovo complicando ulteriormente il suo precario stato di salute. Oggi lotta, tra alti e bassi, in una clinica romana. Come ha dichiarato la figlia Ginevra, che si prende cura di lui, “comunico con mio padre con gli occhi, tramite lo sguardo. Gli leggo i messaggi dei fan che mi arrivano tutti i giorni e lui è contento”.

20. Roberto Benigni e Franccesco Nuti

Francesco Nuti, che da ragazzo rimase affascinato da Keaton, dal Monello di Chaplin e da Lo spaccone con Paul Newman, è stato ed è un grande. Ha raccontato prima con toni surreali poi con commedie sentimentali gli “avvenimenti che costellano l’esistenza di ogni uomo, considerati del tutto normali, comuni, un amore non corrisposto, la morte del padre e il contemporaneo desiderio di paternità, la predominanza della madre e il simultaneo apparire d’innumerevoli problemi con le donne” [Brunetta] o più semplicemente, come disse l’amico Carlo Verdone, “ha raccontato la confusione dell’uomo”.

Come molti altri autori anche Nuti è rimasto con dei progetti nel cassetto. Alcuni scrissero di film con Daniel Auteuil e Sean Penn, ma due, oltre al già citato Olga e i fratellastri Billi, erano in fase “avanzata”. Il primo intitolato Solo quando potrò cullare un bambino, per il quale erano ipotizzati Philippe Noiret e la campionessa olimpica Paola Pezzo, era incentrato sul tema della malattia (Nuti avrebbe recitato la parte di un oncologo), della vita e dello sport. Il secondo, invece, si sarebbe dovuto intitolare I casellanti, Nuti era tra l’altro nipote di un ferroviere, e avrebbe ripreso la storia di due fratelli che vivono insieme in una stazione isolata fino a quando uno dei due si innamora. Un film pensato per lui, ovviamente, e per il “rivale” Roberto Benigni. Sarebbe stato un film indimenticabile.

21. il grande Francesco Nuti. Forza

Nuti ha affrontato il successo, spesso vincendo, i suoi film parlano ancora oggi per lui, talvolta perdendo sia nel rapporto con la critica, davvero troppo feroce, sia durante gli anni bui della depressione, ma ha ispirato e continua ad ispirare numerosi registi: da quelli che ha direttamente lanciato come Giovanni Veronesi, amico fraterno, Ricky Tognazzi, Ferzan Özpetek, alla nuova generazione di comici toscani quali Leonardo Pieraccioni, Giorgio Panariello, Carlo Conti.

A Nuti, autore anche di poesie, libri e canzoni, raccolte negli album “Tutte le canzoni dei film di Nuti”, “Starnuti”, “Le note di Cecco”, sono state dedicate rassegne cinematografiche e due documentari: Francesco Nuti… e vengo da lontano (2010) di Mario Canale con vecchie e nuove testimonianze, e Ti vogliamo bene Francesco Nuti (2021) pensato e realizzato dal vecchio amico Enio Drovandi (il barista della serie I ragazzi della 3ª C) in cui un nonno racconta al nipote chi era Francesco Nuti.

22. l’ultimo goal di Paolo Rossi per l’amico Francesco Nuti

E Paolo Rossi? Il grande campione non c’è più, si è spento il 9 dicembre 2020, ma prima di andarsene ha voluto omaggiare il vecchio amico proprio nel corto di Drovandi. Pablito ha, infatti, indossato per l’ultima volta la maglia azzurra, proprio quella che aveva nel Mundial 82 e che era nel museo della Nazionale, e ha segnato un ultimo goal su passaggio di Nuti, grazie alla scena tratta dal finale di Tutta colpa del Paradiso. Prima o poi torneranno a giocare insieme, ma non c’è fretta. Citando un altro film, il Paradiso può attendere…

PS Francesco Nuti si è spento a Roma il 12 giugno 2023. Su consiglio di lettrici e lettori e di persone vicine all’attore, ho preferito non modificare l’articolo.

MARCO RAVERA

redazionale


Bibliografia
“Sono un bravo ragazzo. Andata, caduta e ritorno” di Francesco Nuti – Rizzoli
“Francesco Nuti. La vera storia di un grande talento” di Francesco Nuti. La vera storia di un grande talento – Ibiskos Editrice Risolo
“Il cinema italiano contemporaneo” di Gian Piero Brunetta – Laterza
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Dizionario del cinema italiano” di Fernaldo Di Giammatteo – Editori Riuniti
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2021” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi

Immagini tratte da: immagine in evidenza Screenshot dei film Madonna che silenzio c’è stasera e Tutta colpa del Paradiso; foto 1 da corriere.it; foto due Screenshot della trasmissione televisiva Non Stop (fonte RaiPlay): foto 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 15, 16, 17, 18, 19 Screenshot del film riportato in didascalia; foto 5 da mymovies.it; foto 14 da it.wikipedia.org; foto 20 da lanazione.it; foto 21 da corrieredellumbria.corr.it; foto 22 Screenshot del film Ti vogliamo bene Francesco Nuti.
Le immagini sono di proprietà dei legittimi proprietari e sono riportate in questo articolo solo a titolo illustrativo.

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