Dalle ipotesi alle tesi e da queste alla dimostrazione pratica, reale, quindi scientifica. Il passo è tutt’altro che breve, nonostante possa sembrare tale, perché dall’antica propensione per la metafisica la filosofia ve ne ha messo di tempo per arrivare ad una considerazione maggiore per un empirismo che si evolvesse in un razionalismo applicato, in una forma persistente di osservazione del reale che provasse a comprenderne pianamente tanto le funzioni quanto i funzionamenti propriamente detti degli eventi.
Circa duemila anni, secolo in più secolo in meno a seconda delle interpretazioni soggettive del pensiero che si è andato trasformando arrancando dietro al progresso scientifico. La mela è, bontà sua, protagonista di numerosi episodi del cammino umano: biblico-milotogici ai primordi, leggendariamente più laici dal Medio Evo fino all’età quasi moderna del mondo occidentale.
Di Eva e del frutto proibito hanno tutti un po’ sentito parlare. Forse pure di Wilhelm Tell e della sua lotta contro i balivi asburgici per l’indipendenza dei cantoni elvetici. Altri avranno letto della storia che riguarda sir Isaac Newton: Voltaire infioretta molto un episodio che del tutto probabilmente non è mai accaduto. Il pomo caduto in testa al grande scienziato e che, pochi secondi dopo essere piombato a terra, gli avrebbe fatto pensare alla legge della gravitazione universale.
Pare che le cose siano andate diversamente: appoggiato ad una finestra della sua casa natia, nel Lincolnshire, sir Isaac vide cadere da un melo il frutto proibito alla prima donna e rifletté sul fatto che ogni volta cadeva sempre diritta, perpendicolare rispetto al terreno, verso il centro della terra. Mai cadeva di lato o, pensiero ancor più bislacco ma più che sensato in quanto ad obiezione conoscitiva, verso l’alto.
Perché la mela, perché qualunque cosa si lasci andare nel vuoto cade verso il basso? La domanda non conteneva ancora delle ipotesi, ma era lo stimolo per la loro formulazione. In tutta la sua lunga esperienza di studioso applicato alla meccanica, alla fisica, all’ottica, alla matematica, alla chimica e all’astrologia, Newton si servì delle ipotesi e non le escluse, come invece pretendevano di asserire i positivisti, dal novero del metodo di ricerca e di approfondimento scientifico.
L’ipoteticità, quindi, viene a rivestire un ruolo di primaria importanza nell’ambito anche strettamente filosofico dell’opera e della pratica newtoniane. Negli anni della maturità è il concetto stesso di “ipotesi” che si viene chiarendo nello scienziato inglese: nel Seicento si ritiene ipotetica la spiegazione di un fenomeno singolare rapportato all’insieme più globale della realtà. Per l’appunto quella che si potrebbe definire una concezione “metafisica” dell’interpretazione fattuale dei rapporti naturali.
Ciò che preme a Newton è una sorta di condivisione tra idealità della Natura e analisi razionale e scientifica dei fatti che avvengono e che sono regolati da evidenti leggi universali entro il contesto dell’esistente, dell’essere, dell’Universo. Sebbene sia quasi sempre stato tramandato il suo carattere di scienziato, si Isaac non era un avversario del pensiero filosofico. Ha osteggiato quelle teorizzazioni e quei filoni di elucubrazione un po’ fini a sé stessi, dai contorni dogmatici; quelli, in sostanza che pretendevano di sovraintendere tutto, di porsi al di sopra della critica della ragione.
Nei “Principia“, dopo una descrizione davvero minuziosa dei comportamenti della materia, delle relazioni tra quell’assoluto e quel relativo che attribuisce al vuoto, allo spazio, al tempo, dopo una indagine meticolosa in svariati campi scientifici, Newton ci parla anche di interpretazione soggettiva dell’esistente, quindi di uno sviluppo della mente umana che non deve essere esclusivamente sottoposto alla rigida regola di un razionalismo a tutto tondo.
La prima caratteristica di una razionalità libera e consapevole sta nell’autocoscienza dei limiti che la ragione ha e che, proprio perché le sue potenzialità sembrano tendere all’infinito, in quanto non sono definibili entro un certo spazio della mente, entro un certo tempo della stessa, entro un punto di non ritorno, sono continuamente superabili mediante l’interrogazione di sé stessi su quello che ci accade tutto intorno.
Quindi, la lotta di Newton contro le filosofie preordinate, volte a stabilire una visione preconcetta del mondo, sono le sole che lo scienziato combatte apertamente e con grande passione: almeno tanta quanta ne ha messa, durante tutta la sua vita, nell’osservazione scientifica della Natura, del mondo, dell’Universo. Per lui sono ugualmente pericolosi quei sistemi filosofici che si predispongono una assolutizzazione dei princìpi e che non tengono quindi conto della mutevolezza delle condizioni reali in cui la dialettica del vivere si svolge.
L’apriorismo, in sostanza, è il vero nemico delle ipotesi quanto delle tesi e, nella pratica, è il primo avversario di uno studio applicato di tutte quelle materia che, sincretizzate, sono capaci di una sintesi che non esclude il processo dialettico ma che lo riprende con nuove scoperte, dandogli così l’opportunità di continuare nel suo circuitare praticamente senza una fine visibile, ma con il fine di acquisire sempre maggiore conoscenza.
Così come Locke si è battuto contro qualunque forma di innatismo, con la stessa tenacia Newton osteggia gli impedimenti ideologico-filosofici che entrano nella sfera angusta e claustrofobica della negazione di nuove verità oggettive, provate – si direbbe oggi – in laboratorio e quindi ripetibili secondo il metodo scientifico. Ma, dai suoi scritti, appare evidente che la grande questione dell’esistente gli interessa eccome, pur non scadendo mai in una sterile vertenza ontologica.
Se torniamo all’iniziale cenno alla questione delle ipotesi e delle tesi, si può tranquillamente affermare che anche Newton utilizza le prime per ottenere le seconde. E, riguardo proprio al mistero dell’Universo e dell’esistenza in quanto tale, ciò che lo scienziato può concretamente fare è osservare come la realtà si comporta, prescindendo da domande metafisiche, e applicando la filosofia alla concretezza della sperimentazione, alla pragmaticità del dato di fatto. Le leggi secondo cui i fenomeni si ripetono entrano appieno nel “meccanicismo” moderno.
La fisica newtoniana, che ha rivoluzionato la conoscenza in senso lato (quindi anche l’interpretazione filosofica del mondo) e ha ridimensionato e superato il sussiego in cui era piombata per secoli, intrappolata da dogmi e da fissità rispondenti ai poteri religiosi del tempo, pare compenetrarsi con la filosofia che le è coeva e dare un incentivo a quella che la seguirà. Ciò smentisce l’assunto che pretenderebbe di fare di Newton un’icona mitica della scienza, prescindendo quindi dal suo desiderio di conoscenza a tutto campo.
Ovviamente la filosofia rimane quasi sempre nel campo metafisico, almeno quando prova a dare un ordine alle cose, a ipotizzare un sistema del sapere che sia corrispondente e combaci con le tante incongruenze della realtà che, in natura sono logiche e cronologiche, mentre nella nostra mente possono sembrare bizzarre perché ci pongono innanzi a dilemmi a cui non sappiamo rispondere.
La scienza ha consentito alla filosofia di evolvere e di vivere una, dieci, cento nuove vite. Anzitutto perché non si è posta altezzosamente al di sopra di essa, ma l’ha stimolata alla verifica delle nuove scoperte, aggiornando non solo il pensiero ma anche il pensante. Il significato è lì che cessa di essere qualcosa che risponde soltanto a sé medesimo e diviene, rimpicciolito indubbiamente nella sua funzione originaria (da mondo delle idee platonico), quel “sasso in bocca a significante che permette anche un ridimensionamento dell’ego umano.
Noi “siamo vissuti” e “siamo parlati” da altri individui e da altre idee che ci abitano ogni qualvolta li invochiamo e citiamo i loro pensieri. E così quelli dopo di noi faranno forse con quelli che li hanno preceduti e di cui è emerso un guizzo ideale, un aforisma tanto filosofico quanto scientifico degno di diventare una immagina del passato proiettata nel futuro per bellezza stilistica, per arguzia, per eleganza ritmica, per sagacia intuitiva.
Le leggi naturali che Newton studia gli confessano apertamente che c’è un legame totale nell’Universo e che nulla è disgiungibile da null’altro. Il punto che è imperscrutabile è se questo meccanicismo, che funziona un po’ come i meccanismi di un orologio che ticchetta senza sosta, abbia un orologio che lo innesca dandogli costantemente la carica, oppure abbia anzitempo preordinato tutto e lasci scorrere il progredire o il regredire della materia.
Davanti allo straordinario e potente spettacolo astrologico, limitato nel Seicento ad una osservazione ancora molto parziale rispetto a quella più ampia che abbiamo noi oggi, lo scienziato ammette: «Questa elegantissima compagine del Sole, dei pianeti e delle comete non poté non nascere senza il disegno e la potenza di un ente intelligente e potente». Un ente che sir Isaac non immagina come immanente nell’universalità misteriosa dell’enormità cosmologica.
Per quanto sia molto meno convincente su un piano meramente ipotizzabile come tale, Newton propende per una separazione tra un dio che rimane inconoscibile per sostanza ed entità, ma che sovraordina il tutto. Difficile parlare esclusivamente di metafisica qui, perché, se volessimo davvero calare la filosofia della natura newtoniana nella nostra presunta e presuntuosa modernità, dovremmo parlare di teleologia: la finalizzazione del comportamento della materia in quanto tale, fino alla formazione della complessità della vita, degli esseri viventi tanto animali quanto umani.
Evoluzionismo e creazionismo non sono soltanto concetti vicini a noi che riecheggiano dibattiti plurimillenari sul senso dell’esistenza e nel confronto tra microcosmo terrestre e immensità dell’Universo; sono soprattutto due tendenze che, sebbene non consapevolmente riconosciute dai pensatori e dagli scienziati del passato, hanno creato i presupposti per una discussione soprattutto razionale delle finalità, visto che l’autocoscienza degli esseri senzienti induce a queste domande.
Newton rimprovera – e con ragione – alla vecchia metafisica di aver disegnato un dio, un creatore delle cose visibili e invisibili non percepito come primordialità, come origine dell’esistente ma, via via che i secoli sono trascorsi, trasformato in un ente a cui obbedire, da cui essere comandati, di cui avere paura e timore. Trasformato da creatore a dominatore, perché l’intento della Chiesa cattolica – e un po’ di tutte le religioni – è stato quello di strutturare un potere, di utilizzare le credenze impostesi come unica verità possibile.
La scienza – sostiene sir Isaac – ha rivelato che si può oltrepassare questo schema dogmatico e che le leggi della Natura sono indagabili e che da queste indagini si può risalire al funzionamento dell’esistente. Non si può spiegare l’esistenza dell’essere ma si può studiarne l’evoluzione, la meccanicistica produzione di movimenti interni ed esterni (qui possiamo riprendere le nozioni di spazio e tempo assoluti e relativi) che non terminano mai in un annichilimento della materia, ma nella sua eterna trasformazione.
Muovendo proprio dalla mutazione dei fenomeni, la scienza prova a spiegare sempre un pezzetto in più di esistente. Così, con Newton, termina la storia della filosofia e della teologia razionale. Tocca ora alla fisica, ad una filosofia della natura che è compenetrazione tra pensiero ed osservazione, là dove il primo è filosofia della pratica e la seconda è pratica dell’intuizione, del dubbio, di una razionalità critica che non basta a sé stessa e che non pretende di capire e far capire tutto.
Malgrado anche Newton sia caduto nel tranello di voler correggere alcuni “difetti” dell’esistente, considerando il moto dei pianeti e delle stelle talvolta irregolare rispetto ai propri calcoli e, quindi, riprendendo il discorso metafisico introducendo l’opera sapiente di Dio nella correzione di questi errori sul campo, direttamente nel comportamento della materia, la fisica della natura che da lui prenderà il via sarà una vera e propria rivoluzione della tendenza alla conoscenza moderna: antidogmatica, razionale e, soprattutto, scientifica.
MARCO SFERINI
16 giugno 2024
foto: screenshot ed elaborazione propria