La «prova», non proprio inedita (l’aveva già «scovata» Renzi quattro anni fa quando faceva campagna per il suo «sì»), dimostrerebbe una volta e per tutte che il taglio dei parlamentari è un’idea di sinistra. La «prova» è la proposta di legge costituzionale 2452 del gruppo della sinistra indipendente che immaginava già, nel 1985, un parlamento di 500 componenti. Addirittura cento in meno di quelli teorizzati oggi da Di Maio. Certo, paragonare l’Italia di 35 anni fa a quella di oggi, anche solo dal punto di vista istituzionale e politico, è un po’ come paragonare il senato italiano a quello degli Stati uniti. Ma siccome si fa anche questo per esigenze di propaganda referendaria, forse è bene andare all’origine di quella proposta per rintracciarvi un obiettivo opposto a quello di oggi: rafforzare il parlamento, non sancirne la definitiva inutilità (è la nota tesi di Casaleggio). Ma anche per recuperare la memoria di una sinistra parlamentare assai lontana da quella di oggi, capace di progetti e ambizioni e non solo di giocare di rimessa con i 5 Stelle.
Possiamo farlo grazie a Gianni Ferrara che è il decano dei costituzionalisti italiani, maestro di più generazioni e nel 1985 deputato della sinistra indipendente, primo firmatario della proposta di legge in questione. Co-firmata da tutto il gruppo della sinistra indipendente, per primo dal presidente del gruppo Stefano Rodotà e subito dopo da Franco Bassanini e dalla deputata Levi Baldini, cioè Natalia Ginzburg.
Professor Ferrara, in che contesto cadeva la vostra proposta di legge costituzionale?
Nel 1985 da oltre dieci anni avanzava l’offensiva della Trilaterale sulla insostenibilità dello stato sociale e la conseguente necessità di tagliare la rappresentanza politica dei parlamentari in modo da neutralizzare le domande di eguaglianza e giustizia sociale. La novità degli ultimi anni era che Craxi con la sua proposta di «grande riforma» aveva rotto il fronte dei partiti di massa che, pur combattendosi, avevano retto dal punto di vista della difesa della Costituzione. Ci ponemmo il problema di difendere l’istituzione rappresentativa, rafforzandola. E aggregarla per rafforzarla.
Scrisse lei la proposta di legge?
Sì, ma la discussi immediatamente con Stefano Rodotà che la condivise appieno. Al cuore c’era il monocameralismo, una proposta tradizionale per la sinistra. Sostenuta dai comunisti anche in Assemblea costituente e poi messa da parte per ragioni più pratiche che politiche: il testo sul bicameralismo nella Carta del ’48 è in effetti alquanto stentato. Secondo noi il monocameralismo avrebbe riportato centralità all’istituzione parlamentare. L’esatto opposto di quello che si vuole fare oggi con la riforma dei 5 Stelle che invece avrà l’effetto di incrinare o addirittura bloccare le funzioni del parlamento.
Nella lunga relazione alla proposta di legge del 1985 non si accenna nemmeno vagamente al risparmio per le casse pubbliche che sarebbe derivato dal dimezzamento dei parlamentari.
Certo, perché quello del risparmio è un argomento falso – il risparmio è minimo – e profondamente anti parlamentare. Del resto si risparmierebbe certamente di più abolendo del tutto il parlamento. Posso dire che tra la nostra proposta e l’oggetto del prossimo referendum costituzionale c’è una distanza enorme, abissale. Grande quanto l’indignazione per la miserabile demagogia alla quale ricorrono i sostenitori del sì.
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ANDREA FABOZZI
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