Un dato terribile che ci riguarda, visto che guerre, crisi ambientali, persecuzioni e violenze, sono quasi sempre il prodotto di un modello di società ingiusta e di relazioni internazionali avvelenate, che i governi dei Paesi più ricchi e potenti del pianeta hanno prodotto e sostengono.

Uomini, donne, tantissimi bambini e bambine che scappano per mettersi in salvo e quasi mai trovano rifugio e assistenza in Europa, se si esclude la fuga delle persone dall’Ucraina nell’ultimo anno e mezzo, alle quali è stato riservato ben altro trattamento.

Eppure i governi europei, di fronte a tragedie come quella di Steccato di Cutro del febbraio scorso e l’ecatombe nel Peloponneso di questi giorni, oltre a versare lacrime di coccodrillo e a sprecare poche e imbarazzanti parole di cordoglio, spesso offensive per le vittime e i familiari, trovano un terreno comune solo nelle politiche che negano i diritti umani e impediscono a profughi e rifugiati di viaggiare in sicurezza e legalità.

Non sembrano interessati a intervenire su un fenomeno sociale che ha cause e dinamiche note e evidenti a tutti.
Da anni praticano politiche che rispondono quasi esclusivamente alle campagne della destra xenofoba e alla paura di perdere consenso. Nulla di quello di cui discutono e che propongono ha a che fare con la necessità di governare la mobilità delle persone rendendola possibile, di individuare soluzioni praticabili, in modo da sottrarla al controllo dei trafficanti e di ridurre stragi e violenze.

Serve immediatamente un programma europeo di ricerca e salvataggio. Uno strumento pubblico che impedisca le stragi, pattugliando il Mediterraneo per rintracciare le imbarcazioni in pericolo e metterle in sicurezza.

Non c’è niente che possa fermare le persone che subiscono violenze nei campi di concentramento libici, spesso fino alla morte, dal tentare la traversata del Mediterraneo per mettersi in salvo.

Rafforzare i legami con le milizie libiche, finanziare la cosiddetta guardia costiera, continuare a investire sull’esternalizzazione, come hanno concordato i governi dell’Ue nei giorni scorsi, servirà solo ad aumentare il numero dei morti, le violenze e gli affari dei trafficanti.

Nessuno potrà impedire alle famiglie, in prevalenza afghane e siriane, bloccate in Turchia dal vergognoso accordo con Erdogan del 2016, di tentare la fuga, pagando e rischiando la vita, per non essere rimandati indietro come sta facendo il governo turco.

Le domande che rivolgiamo al nostro governo e ai governi europei sono semplici: quelle persone morte nell’ennesima strage di frontiera, scappate dalle violenze della Libia, pagando con la propria vita le scelte politiche dell’Unione europea, avevano alternative? Potevano mettersi in salvo rivolgendosi ai governi europei? Rischiare la vita continuando a subire violenze nei lager oppure cercando di mettersi in salvo? Voi cosa avreste fatto al posto loro?

La risposta non sta nel cosiddetto ultimo « Patto Europeo». E neanche nelle coscienze sporche e ciniche dei governi che l’hanno votato.

La risposta è scritta nella convenzione di Ginevra e nel diritto internazionale, come in quello dell’Unione europea. Leggi alle quali i governi vogliono sottrarsi per interessi privati, elettorali.

Non chiediamo pietà umana di fronte a guerre e violenze sempre più diffuse nel pianeta, di fronte a milioni di bambini che hanno diritto ad un futuro come i nostri figli. Non chiediamo senso di responsabilità e dello Stato. Avete già dimostrato di non averne e di pensare solo alla vostra carriera politica e ai facili consensi costruiti su campagne razziste. Chiediamo di rispettare le leggi e le convenzioni internazionali.

Di chiudere la stagione delle stragi tornando a rispettare regole scritte nel corso dei decenni proprio per impedire che la violenza e la cultura della morte tornassero a prevalere.

Fermare la strage è possibile soltanto ripristinando la legalità internazionale.

FILIPPO MIRAGLIA

da il manifesto.it

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