Fenomenologia dello xenofobo

La sua figura è perennemente accigliata, il suo volto è rabbioso, non sopporta il confronto, si sente costantemente minacciato, compulsa articoli e trafiletti di cronaca alla ricerca di qualunque...

destra xenofoba_0La sua figura è perennemente accigliata, il suo volto è rabbioso, non sopporta il confronto, si sente costantemente minacciato, compulsa articoli e trafiletti di cronaca alla ricerca di qualunque tipo di crimine o violazione della legge imputabile a non italiani e, se nel ragionamento generalizza senza scendere sul piano del reale, utilizza come argomentazioni una serie di aneddoti decontestualizzati e non supportati da fonti né da prove in cui, come ai tempi degli untori, si descrive qualcosa di capitato “ad un mio parente”, “ ad un mio conoscente”, “ad un amico di un mio amico” e via di seguito, ripudiando la complessità, quando non deridendo apertamente qualunque argomentazione che sia in grado di problematizzare i suoi assiomi. Infine, opera un totale rovesciamento etico in conseguenza del quale valori tanto elementari quanto generalmente condivisi dagli esseri umani negli ultimi diecimila anni come la solidarietà, l’accoglienza, il dialogo, vengono trasformati in colpe gravissime di cui si macchiano quelli che nella sua pato-logica binaria vengono considerati come veri e propri “nemici interni”, ben peggiori persino degli “altri” in quanto “traditori del proprio sistema di vita”: si tratta di tutte quelle persone che, facendo propri i valori di cui sopra, vengono da lui definite ossessivamente- mediante un terribile neologismo- “buonisti”.
La persona descritta sopra è lo xenofobo, colui che nell’era dell’informazione globale acuisce la sua patologica (in quanto caratterizzata da tratti compulsivi ed ossessivi) chiusura in diretta proporzione con l’aumento dei flussi di informazione. Esso è l’entropia della globalizzazione, la vittima-carnefice delle contraddizioni del capitalismo, l’escrescenza autodistruttiva di una società lacerata e spaventata, ove i due termini possono fungere sia da attributi che da participi. Se concentriamo meglio la nostra attenzione su tale tipo umano che, involvendo dall’idea moderna del cittadino a quella postmoderna dell’individuo consumatore, diviene facilmente plasmabile e utilizzabile come massa di manovra a supporto di qualsiasi tipo di politica regressiva, quando non apertamente reazionaria, possiamo notare come al suo interno esistano dei sottogruppi che, in connessione con l’appartenenza di classe dei soggetti e con i contesti storico- politici in cui essi inconsapevolmente si trovano a vivere, si differenziano per argomentazioni utilizzate e per formazione; occorre, dunque, tentare di affinare maggiormente il nostro sguardo su queste miserie umane.
Umane nella loro inumanità. Lo xenofobo sottoproletario (e la sua disperazione) Lo xenofobo sottoproletario prolifera nelle fasi di crisi economica; esso si contraddistingue per la bassa scolarizzazione e per l’assoluta mancanza di coscienza di classe in seguito alla tabula rasa culturale degli ultimi due decenni. Vive condizioni di disagio economico, di disoccupazione o sottoccupazione e risiede nelle periferie delle grandi città o nel continuum senza fine di fasce urbanizzate senza regole, dalla Brianza al Casertano, dal Veneto al Basso Lazio. Caratteristica peculiare di tale tipo umano è il suo condividere la propria condizione sociale proprio con quel proletariato migrante da lui identificato come causa di tutti i problemi. Lungi dal mettere in discussione i rapporti di proprietà, la cui vista gli è negata dalla totale mancanza di cultura politica, lo xenofobo sottoproletario, nella sua completa deprivazione culturale, vede nel padrone, spesso da lui chiamato “imprenditore” in seguito all’indottrinamento mediatico cui è esposto ventiquattr’ore su ventiquattro, un mito, un ideale a cui conformarsi, il demiurgo del guadagno facile che, lampeggiando con le sue Bmw o Mercedes o Ferrari lungo le spettrali autostrade di questo spettrale Paese, deve avere spazio incurante di tutto e tutti e su tutto e tutti impone il proprio ego (reificato), mentre vede nel migrante , che egli, a causa del suddetto indottrinamento definisce col termine giornalistico di “extracomunitario” (anche quando si tratta di cittadino comunitario, come nel caso frequente dei Romeni) , il nemico numero uno, quello che “porta via il lavoro” e a cui “danno la casa e i servizi”.
Lo xenofobo sottoproletario è antropologicamente disperato, vive, cioè, un eterno presente privo di speranze e finalizzato esclusivamente al soddisfacimento delle pulsioni più elementari; sostanzialmente disprezza la politica, così come qualsiasi forma di ragionamento complesso da lui liquidato come “inutile” ma non vota per forza a destra, seppure nei momenti di massima esposizione mediatica dei partiti di destra esso tenda a seguire la corrente; molto spesso, anzi, non vota proprio, dal momento che “la politica non mi interessa e rubano tutti e tutti aiutano gli extracomunitari”. In sintesi, si può affermare che tale tipo umano, col quale un dialogo basato sulla razionalità è pressoché impossibile, sia nato sulle macerie della sinistra e sulla spoliticizzazione di massa in quanto strumento di controllo sociale da parte di quelle classi dominanti.
Lo xenofobo borghese (e la sua circolarità) E’ un professionista o un lavoratore autonomo e, sino al decennio scorso, godeva di un reddito tale da potersi permettere di vivere in una villetta fuori città o in campagna, di farsi quindici giorni di vacanza a Sharm el Sheik o ai Caraibi ( la sua visione del mondo si ferma ai cataloghi dei villaggi vacanza), l’auto di media o grossa cilindrata e la possibilità di offrire in eredità a figli e nipoti la propria stimata professione. Politicamente è un qualunquista che ha sempre votato per i partiti di governo, qualunque essi fossero, senza occuparsi d’altro che non fosse il proprio tornaconto:carriera, famiglia, “onorabilità”. La sua formazione culturale, totalmente finalizzata alla professione, può essere talvolta alta, ma sempre strumentale, dato che in esso è completamente assente qualsiasi tipo di stimolo culturale che vada oltre tutto ciò che è dettato dal timore di dio e dei superiori. L’equilibrio conformista di tale tipo umano, tuttavia, è stato irrimediabilmente alterato dai processi di globalizzazione capitalistica che, inserendo l’Italia entro un contesto di feroce competizione globale, hanno fatto perire proprio coloro i quali di competitività ferivano: i pesci medio- piccoli, i tecnici dirigenti ed i fanatici del “piccolo e bello” su cui si reggeva il tessuto connettivo del capitalismo italiano fra gli anni Ottanta e gli anni Duemila, tanto che, dal tranquillo Mare Nostrum democristiano, essi si sono trovati all’improvviso sbattuti nell’Oceano neoliberista, accorgendosi ben presto che il fasciame delle proprie imbarcazioni, fatto di interclassismo, obbedienza, compromesso e clientelismi, non poteva reggere le procelle dei mitici “Mercati” (con la maiuscola).
Se a tutto ciò aggiungiamo la consequenziale crisi degli equilibri politici di inizio anni Novanta, a cui fa seguito l’implosione del pentapartito e la nascita della cosiddetta “seconda repubblica”, possiamo comprendere meglio l’inerzia con cui questi tranquilli animali di provincia, cattolici e democristiani, si siano trasformati in elettori berlusconiani, postfascisti e leghisti: ecco, dunque, il punto di caduta, quando all’erosione del reddito determinata dai fenomeni sopra accennati, si accosta la politica del capro espiatorio fatta tutta di pancia e di egoismo miope che trasforma i Brambilla, i Trevisan, i Fumagalli, in intolleranti enragés ossessionati dalle “rapine in villa” (la cronaca, a partire dagli anni Novanta, userà propriamente tale locuzione) e richiedenti a viva voce leggi speciali, pena di morte, ronde e videosorveglianza totale. Alla fine di tale percorso, lo xenofobo borghese, devastato economicamente e culturalmente dalla spirale dell’indebitamento, subisce un processo di proletarizzazione che ideologicamente non può permettersi e ciò, unito all’incapacità intellettuale di analizzare le proprie condizioni, lo trasforma in quello che forse è il più pericoloso fra gli xenofobi: il tecnico dell’intolleranza, il volontario in camicia verde (bruna e nera in altri tempi) in grado di fare il lavoro sporco ed abbastanza acculturato (seppure di quella limitata cultura che abbiamo visto sopra) da trasformare le pulsioni distruttive in organizzazioni politiche. Lo xenofobo borghese, anche a causa della perdita della tranquillità economica, può facilmente “evolversi” in dirigente politico professionista della lega o dell’estrema destra. Una volta eletto, egli riuscirà, grazie ai proventi di una politica fondata sulla paura, ad avere abbastanza denaro per poter continuare a pagarsi la villetta fuori città o in campagna, di farsi quindici giorni di vacanza a Sharm el Sheik o ai Caraibi ( la sua visione del mondo si ferma ai cataloghi dei villaggi vacanza), l’auto di media o grossa cilindrata e la possibilità di offrire in eredità a figli e nipoti la propria stimata professione. Oltre, naturalmente, l’impianto di videosorveglianza nella propria abitazione.
Lo xenofobo “colto” ( e la sua psicosi) Lo xenofobo “colto” ( definito tale, seppur fra virgolette, in quanto potenzialmente dotato di strumenti culturali) è benestante, quando non ricco, ed è un cattolico romano convinto che si serve del cristianesimo come di una clava da dare in testa ai popoli, giungendo al paradosso per cui ogni migrante equivale ad un musulmano. Tale tipo di xenofobo frequenta costantemente blog di estrema destra e si nutre di bibliografia neofascista, fra la quale predilige quella più antimoderna e vandeana, dal momento che, a suo dire, la corruzione dell’Europa inizia con la fine del feudalesimo, con la rivoluzione francese e con lo sviluppo del laicismo illuminista che ha aperto le porte al comunismo.
E’ letteralmente ossessionato dall’idea dell “invasione” la quale, secondo lui, sarebbe stata pianificata da organizzazioni marxiste e/o liberali al fine di trasformare etnicamente l’ “Occidente” (da lui visto come un monolite, quasi fossimo nel paleolitico inferiore) in una cosmopoli controllata da un fantomatico “nuovo ordine mondiale” legato alla finanza ed alla massoneria, incarnazioni di un Satana sempre pronto ad insinuarsi fra gli umani. Per lo xenofobo “colto” ogni atto della storia umana diviene un’ossessione, ossia qualcosa che cela al proprio interno un qualcos’altro sempre negativo, tanto da far ipotizzare in questo caso una vera e propria forma patologica di delirio paranoico nella quale gli eventi della contemporaneità incidono solo in minima parte rispetto ad un pregiudizio di classe trasformato in una vera e propria “mutazione” antropologica: nella sua visione antistorica, infatti, la cultura è un compartimento stagno e l’Occidente, coincidente con ciò che resta dell’Ancien régime, è visto perennemente in guerra contro il Male incarnato dall’ Islam, che, proprio in ossequio alla visione compartimentata della storia, è veduto come un monolite. Lo xenofobo “colto” è una figura tragicomica in quanto reca in sé i germi delle peggiori mostruosità europee le quali, per fortuna, da tragedie si sono trasformate, almeno per ora, in farsa.
A lui si devono le invenzioni più tragicomiche, secondo una tradizione di complottismo che, partendo dall’antisemitismo dei tempi dell’ Affare Dreyfus, e dei “Savi di Sion” , arriva sino agli odierni “Illuminati”, nauseabondo collante a supporto di un delirante antisocialismo ed anticomunismo che, a sua volta, coprono una visione aristocratica, antiegualitaria ed antisociale ( dunque antinomica rispetto alla specie) dell’essere umano.

Al dilà del bene e del male A conclusione di questo breve ma intenso viaggio fra una delle peggiori miserie umane del presente, possiamo constatare come lo xenofobo, figlio delle multiformi contraddizioni del capitalismo contemporaneo, viva in una dimensione alienata, al dilà del bene e del male, di fronte alla quale apparentemente qualunque dialogo appare impossibile. Che fare, dunque? Occorre costruire un nuovo alfabeto come condizione per l’elaborazione di una lingua che permetta alle idee progressive di acquisire una nuova egemonia nella società. Il compito più difficile,allora, come sempre spetta alla sinistra, senza la quale l’Occidente sarà condannato ad un eterno presente in cui l’unico progresso sarà quello dell’ignoranza elevata a sistema, del pregiudizio e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla biosfera. Cosa c’entra tutto questo con la xenofobia? Andate a rileggere quanto scritto sopra e traete le vostre conclusioni.

ENNIO CIRNIGLIARO

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