Federico il Grande

La Storia, quella con la esse maiuscola, dovrebbe essere divulgata, raccontata, perfino insegnata sempre così: “alla Barbero“. Non è mai colpa delle materie scolastiche se a volte odiamo i...

La Storia, quella con la esse maiuscola, dovrebbe essere divulgata, raccontata, perfino insegnata sempre così: “alla Barbero“. Non è mai colpa delle materie scolastiche se a volte odiamo i banchi, le aule, i libri e gli insegnanti. E non è nemmeno solo responsabilità di questi ultimi se non capiamo bene la trigonometria, la fisica, le regole grammaticali o, semplicemente, se ci sfugge il nesso tra un fatto storico ed un’altra epoca.

E’ un po’ colpa della svogliatezza, dell’inclinazione verso cui tendiamo nell’apprendere, ma non di meno di chi la conoscenza deve trasmettercela.

Ecco, Alessandro Barbero racconta la Storia come Omero declama i miti degli dei e degli eroi: c’è qualcosa di epico nel suo stile, perché sia le grandi biografie in cui si è cimentato (Costantino, certamente tra le sue ultime emblematiche opere, ma anche l’Alighieri Durante di cui è ricorso il settecentenario della morte due anni fa), sia i saggi come quello che ci interessa qui trattare, sono un esempio di trattazione dei fatti fin dentro la realtà in cui si sono svolti.

La minuziosità dei particolari di vita quotidiana tanto dei popoli quanto delle corti imperiali e reali del Medio Evo e della modernità più recente, tutti riscontrabili da fonti certe, per le quali si è seguito il metodo storico, il modo di narrare la Storia alla Marc Bloch, sono il fondo di una scena che non resta in disparte, ma che esige la sua attenzione.

Non solo i grandi personaggi che sono emersi dalle masse rimangono proganisti degli eventi; prima di tutto sono le circostanze, che li fanno tali, ad essere messe sotto una attenta lente di ingrandimento e offerti al lettore con una cura e una passione che aiutano nella comprensione e appassionano alla lettura.

Scritto nel 2007 e ripubllicato più volte sempre da Sellerio, “Federico il Grande” è un saggio di notevole impatto che sfugge al semplificazionismo delle categorie letterarie e storiografiche: è indubbiamente una biografia, ma è anche un affresco sul ‘700 che lascia piano piano l’ancien régime alle sue enormi spalle, quelle di un Luigi XIV che splendeva come il sole, che aveva allargato i confini della Francia ad est, arrivando al Reno, toccando quasi il cuore meridionale del Sacro Romano Impero quasi millenario.

Alessandro Barbero ci suggerisce prima di tutto di studiare tempi, luoghi e persone che circondavano colui su cui vogliamo puntare il riflettore per capirne meglio l’opera e la collocazione che si è in qualche modo meritato nella Storia del genere umano.

Si comincia quindi dal tempo, dal secolo, dal modo in cui si vive e ci si rapporta: nei paesi di una Europa che sta cambiando aspetto proprio sul piano di una geopolitica che si nutre di piccoli imperialismi: la Russia, la Prussia e l’Austria  si spartiscono la Polonia, l’Inghilterra domina i mari, l’Italia è sempre in frantumi, l’Impero finge di essere unitario sotto un sovrano elettivo e la Francia gode dell’onda lunga del Re Sole.

Federico II di Prussia nasce in uno Stato giovanissimo che più volte Barbero appella come “inventato“. Ed è così, se per invenzione intendiamo un quasi repentino venir fuori dal nulla, nel senso che non vi è una genesi lineare nella trasformazione di un popolo attraverso usi, costumi, lingue e territori che si uniscono o si dividono nella formazione di quella che sarà questa terra proveniente da un’altra invenzione del potere (religioso più che altro): i territori dell’Ordine Teutonico.

Lo stesso nome, “Prussia“, non ha molto a che fare con quello che le sta intorno. Nemmeno con la Russia stessa. Semmai con una tribù che i cavalieri teutonici sottomisero quando decisero che, siccome in Terrasanta non c’era più nulla da riconquistare, si dovesse fare armi e bagagli per qualche landa non ancora nel mirino degli Stati dell’epoca.

Trovarono nelle regioni del Baltico la loro collocazione favorevole. I “prussi” (o “pruteni“) vennero ridotti a miti consigli e così ne nacque un nuovo Stato, religiosissimo, teocratico, obbediente prima al papa e poi devotamente protestante.

Lo Stato prussiano quindi, nel momento in cui Federico II nasce nel 1712, è un regno divenuto tale grazie a suo nonno, dopo essere stato per molto tempo un ducato relativamente poco significante, la cui economia si reggeva sull’agricoltura e che nessuno avrebbe pensato si sarebbe evoluto al punto da divenire una potenza europea al pari, e pure superiore, a Francia, Austria e Inghilterra.

Interessante è la disquisizione che Barbero svolge, lungo lo stendersi dei capitoli, sul ruolo dell’Impero in tutte queste vicende. Un gigante dai piedi di argilla, che origina da Carlo Magno e che finirà sotto i colpi delle baionette francesi di Napoleone. Al tempo di Federico il Grande, l’Impero è in crisi: dominato per secoli dagli Asburgo – Lorena, alla morte di Carlo VI (il padre di un’altra monarca definita come il sovrano prussiano in molte descrizioni storiche: la “grande” Maria Teresa d’Austria), il Primo Reich germanico non trova un nuovo sovrano.

La potenza prussiana è in ascesa: in Europa si parla del carattere militare dello Stato di Federico Guglielmo (il padre del Nostro) e si inizia a ritenere la cosiddetta “marca dell’Est” non più qualcosa di trascurabile, bensì un’area delle carte geopolitiche cui prestare attenzione.

Il Sacro Romano Impero, giustamente messo da Barbero al centro delle primissime vicende da re di Federico II, sarà il teatro di un’evoluzione della Mitteleuropa che perderà il suo carattere federale e non lo riacquisterà mai più: nemmeno con la Confederazione del Reno napoleonica, nemmeno altresì con la Restarurazione e la stipula tra gli Stati tedeschi della “Confederazione germanica“. Non ci sarà più un imperatore tedesco fino al 1871; fino a quando con Bismarck la Germania prevarrà sull’Austria definitivamente e sarà proclamato il Secondo Impero, dopo la rovinosa guerra franco-prussiana.

La Prussia, come è possibile vedere e leggere anche dai nomi delle guerre, c’entra sempre. Dal conflitto che per primo interessò Federico il Grande, quello per la contesa della Slesia, a quello combattuto fin dentro Parigi, che detronizzò Napoleone III e a noi italiani permise di annettere Roma e il lazio al giovanissimo Regno costituitosi nel 1861.

Se la contestualizzazione geografica e politica è importante per capire i motivi della grandezza di un uomo o di una donna che hanno “fatto la Storia“, non da meno lo sono i vezzi, i capricci, le particolarità della sua personalità: tanto intrinseche quelle dell’animo, ancestrali e imperscrutabili, quanto estrinseche e manifeste. Bizzarie, capricci, innamoramenti di cose o persone, repulsioni, odi, idiosincrasie di ogni tipo.

Federico è, almeno per la sua epoca, il re filosofo, che preferisce le mode parigine già di allora: sia nel vestire, sia nel discutere. Intrattiene lunghi epistolari con Voltaire, ama dissertare dei destini umani, dei grandi temi irrisolvibili sul senso dell’esistenza, persino di religione e di letteratura. Si atteggia ad amante della cultura ed incontra tutta l’ostilita paterna. Federico Guglielmo lo vorrebbe un soldato a tutto tondo, proprio come lui, il re che si compiace del suo reggimento personale di granatieri, altissimi come i corazzieri, ben equipaggiati, vistosamente visibili da chiunque.

La potenza prussiana, quando Federico II è giovanissimo, è tutta e soltanto nella dimostrazione di una forza militare che, per quanto il re suo padre si periti di glorificare, è per due quarti mercenaria e straniera. Precisa Barbero: straniera non vuol dire non tedesca. Perché i prussiani sono tedeschi di prim’ordine. Rientrano nel Sacro Romano Impero solo per una parte del loro territorio. Ne resta fuori una parte della pomerania e la regione orientale della Prussia, quella che oggi è divisa a metà tra Polonia e Russia, quella dove Kant viveva nella sua Königsberg.

La storia della vita di Federico il Grande è quindi indissolubilmente legata al rapporto tra Prussia e Austria e di queste prima con l’Impero millenario ereditato dalla tradizione sacra e romana voluta da Carlo Magno, incoronato dal papa; poi con un mondo tedesco che ricercherà il pangermanesimo come soluzione ai problemi tanto economici (con le unioni dogananali ottocentesche) quanto sociali e pure storici.

Barbero annota che qualche storico ha preteso far originare dalla strutturazione militare, politica e sociale della Prussia di Federico II la tragedia novecentesca delle guerre mondiali scatenate da Austria e Germania.

Tanto la prima quanto la seconda. E’ una iperbole antistorica, priva di qualunque senso, non fosse altro perché qualunque fatto accaduto due secoli prima è certamente collegabile alla più stretta attualità della storia moderna e contemporanea ma ne è anche proprio, di per sé, la storia stessa e, quindi, un vecchio retaggio che non è direttamente responsabile di quello che è successo nei secoli successivi.

Federico il Grande non poteva certo immaginare che la sua Prussia sarebbe divenuta il cuore dell’unificazione tedesca e che, anche al tempo di Hitler, sarebbe stata un importante regione amministrativa, definitivamente poi sciolta come “Stato” nel 1947.

Le potenze alleate che occupavano ciò che rimaneva del Terzo Reich, decisero di superare quel vecchio retaggio statale, ormai privo di qualunque attinenza con una realtà soprattutto geografica: i nuovi confini tracciati dopo la fine della Seconda guerra mondiale lasciavano alla futura Germania (che sarebbe stata divisa in due nel 1949) solo una piccola parte del territorio veramente prussiano: il Brandeburgo con Berlino. Pomerania, Slesia e la primitiva e vera terra del ducato di Prussia erano state alienate ai vincitori come riparazione di guerra, come compensazioni territoriali a vario titolo.

Ma non sono sempre e soltanto le guerre che fanno grandi i sovrani (e miseri i popoli…). Scrive Barbero: «Noi siamo talmente abituati a identificare Federico con le sue guerre, con le sue vittorie, con le sue sconfitte, che si rimane un po’ stupiti quando ci si rende conte che, in realtà, tutte le sue guerre appartengono alla prima metà del regno».

I primi ventitrè anni di un dominio che con la sua morte non finirà e che, nonostante quella Rivoluzione francese che non farà in tempo a vedere, rimarrà nel corso dell’Ottocento, rafforzandosi e ridisegnando la carta dell’Europa più volte.

Nei quarantasei anni in cui ha governato, Federico il Grande ne ha occupati ventitré a dare solidità al suo Stato: molto più nuovo di quello che aveva ereditato da un padre certamente soldato ma pure alieno da quella filosofia che lui invece amava e che, in un certo qual modo, ha ispirato anche il nome della famosa reggia che fece costruire a Postdam tra il 1745 e il 1747. La chiamò “Sans Souci“, ossia “senza preoccupazioni“. Forse avrebbe voluto vivere così… Non lo sapremo mai. Quel che è certo, la vita di Federico fu tutt’altro, visto che a lui ancora oggi si guarda come al principiatore della nuova Germania.

Adolf Hitler teneva i ritratti di Federico nella cancelleria del Reich e, nei giorni della battaglia di Berlino, persino nel suo studio personale nell’asfissia e nell’atemporalità del bunker. Ma questo non fa di Hitler un guerriero filosofo come Federico e non fa di Federico un predecessore di un pittore fallito, caporale per caso e tiranno omicida.

FEDERICO IL GRANDE
ALESSANDRO BARBERO
SELLERIO EDITORE PALERMO
€ 13,00

MARCO SFERINI

5 aprile 2023

foto: particolare della copertina del libro, ritratto di “Federico il Grande” ad opera di Johann Gottlieb Glume, 1750

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