Quanti Pride abbiamo fatto fino a ora? Abbastanza da riuscire a ricordarli uno per uno. Ognuno particolare, distintivo rispetto all’anno, al periodo, ai fatti. Perché il Pride non è slegato dai fatti del mondo.

È una gran festa, tutta nostra e del contesto libertario, mai avulsa dalla realtà, anche per potersi dire trasversali e intersezionali quali oggi molti si professano.

Una costante divenuta quasi retorica, che accompagna ogni evento, è quella di gridare al rischio, al pericolo del momento. La costante sembrava appartenere solo ad alcune aree più radicali, il resto della comunità viveva la festa e basta. Ricordo il dibattito in una nota università dove alle mie preoccupazioni il preside, peraltro omosessuale dichiarato, ribatteva che oramai il mio allarmismo era fuori tempo, beato lui!

Oggettivamente incontrovertibile che viviamo in un sistema vetero patriarcale, inevitabile quindi stare sempre all’erta. Perché quanto si conquista viene solitamente neutralizzato o cancellato. Abitiamo una realtà particolare, quella di un paese che convive e si intreccia con uno stato confessionale che detta regole e agenda politica, dove i poteri corrotti, spesso occulti e mafiosi, si insinuano come metastasi nella politica, nell’economia e nelle nostre cose o, come ci piace dire, nelle nostre mutande.

Ascoltando la pancia del paese, e non ci vuole tanto, arriva l’eco di un fascismo mai sradicato che come un percorso carsico sembra sparire per poi riaffiorare col suo strascico di razzismo, sessismo, paura. Non c’è da stupirsi di tale ritorno, la storia ce lo conferma. Né di meravigliarsi di chi ci governa: destra estrema. Abbiamo perso troppo tempo ed energie in una guerra interna, fratricida ad accusarci vicendevolmente a trovare il pelo nell’occhio dell’altro, a rivendicare ognuno, indistintamente, la ricetta giusta, la vera idea, l’intoccabile monopolio di sinistra. Peccato!

E mentre l’autoflagellazione continua tragicamente, le famiglie omogenitoriali sono sotto un attacco neanche troppo velato come pure le persone trans con la famigerata «teoria gender». Non credo sia importante che la Regione Lazio non dia il patrocinio, non è grazie a loro che oggi sfiliamo: ne possiamo fare tranquillamente a meno.

Oggi non si può più rinviare, bisogna rileggere il mondo, comprendere in quale punto della storia ci troviamo. Adottare nuove strategie, nuove favolose Resistenze e soprattutto trovare le risposte.

Citando Paul Preciado, per anni ci avevano convinte che il nostro fosse un corpo sbagliato, che fossimo disforiche. La predica arrivava da quel pulpito che io definisco «capitalismo patriarcato» che oggi sta distruggendo il mondo, dalle foreste che bruciano alle guerre, dal collasso economico alla solitudine di una civiltà. È questa la vera disforia, la Disphoria mundi. Lo senti, è il rumore del loro mondo che crolla! E il nostro che risorge, questo lo slogan del Pride 2023.

PORPORA MARCASCIANO

da il manifesto.it

foto: screenshot ed elaborazione propria