Figli di un dio maggiore. Sono quelli santamente protetti dal “Family day”, dalla radunanza che si appresta a calare sul Circo Massimo a Roma come un esercito di crociati in difesa della “tradizione”, della “famiglia”, dei “figli”.
Come se questi tre elementi temporali e sociali appartenessero solo ad una categoria di esseri umani e altri ne fossero esclusi a priori per una qualche legge morale di ispirazione divina non si sa bene dettata da chi.
Forse da dio a Mosé? E’ un po’ poco rifarsi ad una fiaba per sostenere un diritto morale, un diritto civico e sociale, qualunque esso sia.
Ma facciamo pure finta che dio abbia scritto, col famoso dito di fuoco che si vede ne “I dieci comandamenti”, le sue sacre leggi da far conoscere agli uomini e alle donne. Facciamo anche finta che da questa mitologia fiabesca contenuta nella Bibbia si possa estrinsecare una qualche forma di morale e che, nei secoli dei secoli, ne discenda pure un consolidamento tradizionalistico così forte da diventare fondamento del comportamento coniugale.
Che cosa c’entra tutto questo, quindi dio, una morale cattolica, la Chiesa cattolica stessa con il semplice fatto che tutti hanno il, questo sì, sacrosanto diritto di essere tutelati dalla Legge, dallo Stato, dalla Repubblica (e son tre figure ben diverse di un ordinamento costituito su un territorio), forse è proprio un qualche dio non ben precisato a saperlo.
Gli organizzatori del “Family day” sostengono che la loro lotta è volta alla tutela dei bambini e, nello specifico, della figura del figlio come persona che deve crescere necessariamente con una madre ed un padre per avere una formazione psicologica e sociale che non sia “disturbata” da elementi estranei che possano turbarne lo sviluppo intero: dai primi passi fino alla maturità.
Ma nessuno ha mai pensato di introdurre elementi morali e tanto meno giuridici che possano inficiare il ruolo della famiglia cosiddetta “tradizionale” e quello successivo o contestuale dei genitori che diventano tali con la nascita di un bambino.
Il “Family day” basa tutta la sua ideologia su alcuni teoremi assurdi e su presunzioni che sono false in quanto non contestano dei fatti ma risultano essere delle proiezioni mentali su questioni che sono esclusivamente teoriche: nel disegno di Legge “Cirinnà” la tanto temuta “stepchild adoption”, nome tremendamente altisonante, altro non è se non la possibilità di permettere che il coniuge possa adottare il figlio del proprio coniuge, indipendentemente dal sesso dei due.
Non c’è nessuna prestazione uterina, nessun “utero in affitto” presente nelle disposizioni di Legge presentate dalla senatrice Cirinnà.
Ma ogni volta che si discute di unioni civili, per esagitare volutamente l’opinione pubblica e muoverla nella direzione della contrarietà al sovvertimento di una morale millenaria che si teme di perdere come fondamento di un potere cattolico pressoché incontrastato, si introducono concetti e volontà che non sono nella Legge che andrà alla discussione del Parlamento della Repubblica.
Gli organizzatori del “Family day” farebbero più bella figura se dicessero apertamente: “Siamo cattolici, credenti in una fede che ci impone di attribuire a dio l’unica espressione familiare da considerare naturale: solo l’uomo e la donna possono sposarsi e avere dei figli o adottarne. Lo diciamo perché ci crediamo e pensiamo che gli altri, coloro che non credono in questa morale, siano – come ha detto papa Francesco – in errore e che, comunque, dio li perdona e li accoglie nel suo infinito amore.”.
Così descriverebbero molto bene una buona fede che forse molti hanno, conservano e cercano di difendere.
Nel merito, poi, è tutto opinabile, a cominciare dall’esistenza di dio: e saremmo a monte non del problema che stiamo discutendo qui, ma del problema dei problemi, ossia il senso dell’esistenza, dell’universo e mille altre cose irrisolvibili.
Ma questi signori del “Family day”, nel metodo, pretendono di estendere a tutta la popolazione la loro morale, la loro visione di società e di imporla attraverso dei comandamenti deistici, con il supporto dei principi e del sovrano di uno Stato estero rispetto all’Italia.
Quelle di prima potevano essere le parole di espressione di una “buona fede” in tutti i sensi detta e descritta: chi vi crede ne ha tutto il diritto, come chi non vi crede – e penso che si sia compreso che il sottoscritto fa parte di questa seconda categoria di persone – ha diritto di contestare e criticare e battersi per una visione plurale dei diritti in una universalità egualitaria che sia espressione del dettato costituzionale e, prima ancora, di una naturalità del diritto – inteso come legge – che prescinde da qualunque contesto sociale, ma che si trova in uno “stato di natura” degno della migliore analisi filosofica ellenistica.
Ma l’analisi che conta è più politica che morale: i figli del dio minore ci sono se ne esistono altri di un dio maggiore.
E quelli minori sono i figli di nessuno, sono quelli che genitori non ne hanno magari mai conosciuti e che nessuna coppia omosessuale può adottare.
Quelli minori sono i figli di chi ha perduto un coniuge e non può far adottare il proprio figlio dal proprio compagno o dalla propria compagna.
Un dio minore è il dio che ci vorrebbero assegnare i buoni cattolici integralisti, quelli che sono dalla parte giusta perché è la parte di dio. E se tutto deriva da dio, allora anche la Costituzione italiana, se contraddice la morale che loro attribuiscono a dio, non può che essere sbagliata. “In errore”, direbbe papa Francesco.
In fondo, è un gran caos perché così deve essere: ciò che sarebbe troppo semplice da comprendere, da applicare e a cui abituarsi, deve diventare difficile, incomprensibile e ingestibile per uno Stato che dovrebbe essere una repubblica democratica e laica e che si fa influenzare da settant’anni oltre che dal Vaticano anche dalle proprie bigotte tradizioni.
La piazza del “Family day” potrà essere una bella piazza piena di gente, ma sarà sempre e solo la piazza di chi nega dei diritti ad altre persone uguali a quelle che saranno al Circo Massimo. E una piazza che nega a qualcuno il diritto che reclama per sé, è sempre una mezza piazza. Una piazza figlia di un dio, qui sì, minore: il dio di un amore dimezzato e per fortuna inventato dagli esseri che si dicono umani.
MARCO SFERINI
30 gennaio 2016
foto tratta e riadattata da Pixabay