Dunque le elezioni amministrative italiane del 2017 sono fissate per l’11 giugno prossimo, con eventuali ballottaggi ovviamente due settimane più tardi.
La data c’è, ci sono molte liste di sinistra alternativa che si stanno formando nelle città piccole, medie e grandi del Paese, ma ancora non esiste un progetto nazionale che unifichi tutto questo e che diventi il volano per la presentazione di una proposta antirenziana, antifascissta e antipopulista per le politiche del 2018.
Le “Città in comune” stanno provando a tessere una tela per produrre questo progetto ma la disgregazione che si registra a sinistra (e , fuori da ogni equivoco, qui si intende “sinistra” tutto ciò che non è né destra, né centro, né PD e tanto meno gli pseudo-tentativi di riesumazione di una qualsiasi idea di centro-sinistra… quello “per battere le destre” magari alleandosi con una di queste destre: quella economica, quella che ha governato con Alfano e ha proposto una controriforma della Costituzione su cui abbiamo già detto e stradetto).
Tuttavia, manca il cosiddetto “tavolo comune” tra Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, Possibile, movimenti, comitati, L’Altra Europa con Tsipras e tutte le realtà aggregative che dicono di voler puntare allo stesso risultato: la costruzione di un soggetto unitario e plurale della sinistra per dare al Paese una offerta politica e sociale che riapra i giochi sui diritti sociali, civili e civici.
Il trampolino di lancio del 4 dicembre scorso, con la grande vittoria del NO, non ha spinta infinita e la coesione che si era venuta creando con i Comitati per la difesa della democrazia costituzionale rischia di esaurirsi e di disperdersi se i tempi non saranno affrettati. Affrettarsi senza però cadere nell’errore di essere precipitosi, di saltare dei passaggi: occorre una ispirazione politica di vertice che venga sottoposta al vaglio della vasta base progressista, veramente tale, che ancora esiste nel Paese. Ma non servono consultazioni in stile “primarie”: serve verificare sul campo se una linea unitaria, che rispetti le singole soggettività e i progetti di lungo termine differenti che caratterizzano forze politiche e sociali, è realizzabile.
Rifondazione Comunista terrà tra pochi giorni il suo X Congresso nazionale e la linea che arriva all’assise di Spoleto, scelta dalle iscritte e dagli iscritti, è quella della ricerca di una unità non fine a sé stessa ma definibile come “costituente” di un processo aggregativo che, come del resto abbiamo sempre proposto, inizi la sua corsa dalla concretezza del fare e del “dover fare”. Bisogna saper fare ma, prima di tutto, viene l’impegno, quindi il “dovere” verso la ricostruzione del Partito e, attraverso esso, la generazione di un contributo essenziale delle comuniste e dei comunisti in una prospettiva di cambiamento che torni a passare attraverso la rinascita di coscienze sociali, di un solidarismo non di matrice cattolica, attendente il premio divino, la ricompensa ultraterrena, ma dettato solamente dalla coscienza, dalla differente morale laica che ci ha sempre animato nell’essere, appunto, alternativi a un’antietica spacciata per sviluppo e modernità.
L’appuntamento dell’11 giugno, dunque, è l’ultima verifica possibile per capire se si può mettere insieme una diaspora durata troppo a lungo e che non deve risolversi nella confusione tra unità e unicità: unità è l’esatto opposto di unicità. Si uniscono coloro che rimangono differenti. Si unificano coloro che non saranno più distinguibili.
Credo che le comuniste e i comunisti di Rifondazione debbano essere differenti anche da quelle forze di sinistra con cui si vogliono unire e con le quali pensano di poter fare un comune cammino per la riforma sociale del Paese. Un riformismo chiaro, evidente, che non ha bisogno di interpretazioni ma che non può ridursi a questo almeno nel singolo partito quale è Rifondazione Comunista.
Il nostro obiettivo massimo deve rimanere il comunismo: mi rendo conto che l’affermazione può apparire banale, scontata, noiosa. Ma troppo spesso ci siamo dimenticati che il nostro essere comunisti non è un capriccio linguistico, una voglia demodè di apparire più a sinistra di altri, più rivoluzionari di altri ancora.
Il nostro essere comunisti è una precisa scelta politica cui non possiamo abdicare perché sappiamo che abbiamo ragione e che le nostre ragioni sono le uniche che possono portare questa umanità in logoramento costante a riconciliarsi col pianeta, con la vita, quindi con la natura stessa tanto dell’essere umano quanto di tutto ciò che lo circonda e che il capitalismo mette apparentemente in armonia mostrando le devastazioni di ogni tipo (deforestazioni, sfruttamento del suolo, degli animali, guerre per il petrolio, per gli oleodotti e i gasdotti…) come necessità di una attualità dettata dalla sopravvivenza di popoli… a scapito di altri popoli.
L’unicità della sinistra, il cosiddetto e vagheggiato “partito unico della sinistra” ucciderebbe questa aspirazione al cambiamento. L’unità della sinistra, invece, lo valorizzerebbe, lo renderebbe capace di essere fenomeno che cammina sulle gambe di tanti insieme a tante altre gambe che hanno progetti differenti ma non opposti ai nostri.
Possiamo evitare di dire che “l’unità della sinistra è una cagata pazzesca”, come viene ironicamente (ma quanto?) detto in video anche divertente fatto dalla nostra europarlamentare Eleonora Forenza, se e solo se puntiamo all’unità, che è anche autonomia, che è rilancio dell’identità comunista in quanto elemento essenziale dell’essenza del Partito della Rifondazione Comunista stesso.
Autonomia e unità saranno anche un binomio terminologico riformistico, ma “unicità” e, quindi, “partito unico” sono qualcosa di peggio: sono la conformità, l’accettazione di un orizzonte della storia finito, così determinato dal capitale. Una irreversibilità che invece è reversibile, perché nessun fenomeno umano può accampare la pretesa dell’eternità. Tutto muta, si trasforma in una dialettica storica e attuale che è futuro sempre in divenire.
Sta a noi inserirci nelle contraddizioni di qualunque tipo e volgere a vantaggio dei moderni proletari, dei moderni poveri e sfruttati del mondo tutte queste occasioni.
MARCO SFERINI
30 marzo 2017
foto tratta da Pixabay