E’ appena uscito in libreria “La dannazione: 1921 la sinistra divisa all’alba del fascismo” di Ezio Mauro (Feltrinelli) dove si racconta lo strappo di Livorno che un secolo fa portò alla nascita del Partito Comunista prima d’Italia e poi Italiano (una differenza di non poco conto). Un testo quello di Mauro che tocca il “punctum dolens” nella storia della sinistra italiana e nel merito del quale si è già aperto una dibattito.
Dibattito che si presenta quale momento di avvio di una discussione molto ampia che sicuramente segnerà i prossimi mesi quando, in vari modi e sedi, si ricorderà quello straordinario evento.
Nell’occasione di questo intervento si intende, però, affrontare un solo punto. Ci sarà tempo per addentrarci in ricostruzione storiche molto più accurate. Oggi invece è il caso di segnalare sull’argomento due interventi giornalistici che traggono al termine delle rispettive diverse argomentazioni conclusioni opposte.
Il “Venerdì di Repubblica”, infatti, ospita, nel numero in edicola, una lunga intervista rilasciata a Simonetta Fiori dallo stesso autore del libro.
Ezio Mauro conclude la sua ultima risposta affermando “Forse è arrivata l’ora del grande rammendo allo strappo del 1921”. Quasi contemporaneamente (Repubblica di domenica 22 novembre) Filippo Ceccarelli termina la sua recensione esponendo una tesi opposta: “..Colpisce piuttosto come al momento dell’addio da entrambe le parti si prefigurasse un futuro ricongiungimento. Che però mai c’è stato, nemmeno quand’era troppo tardi. Riconoscerlo oggi, nel tempo del Nulla rafforza il senso di sconfitta: la dannazione appunto”.
Nella frase di Ceccarelli c’è da cogliere la verità di un’affermazione : Siamo nel tempo del Nulla”. Questo che stiamo vivendo è per davvero “il tempo del nulla” sia per la politica in generale e più in particolare per ciò che si pretenderebbe richiamare alla tradizione socialista e a quella comunista. Entrambi i filoni “storici”, nella realtà del sistema politico italiano, appaiono come dannati (ritorna “la dannazione”) all’irrilevanza politica.
E’ ancora il caso allora di chiedersi quale senso e quale valore potrebbero avere oggi tentativi di “rammendo del grande strappo” così come richiamato proprio da Ezio Mauro.
Proviamo allora a propendere per collocarsi dalla parte del “rammendo”. E’ evidente che, in questa fase, proclamare l’apertura di una ricerca per porre fine alla rottura di Livorno assumerebbe soltanto il richiamo ad una sorta di “effetto simbolo”.
Sul terreno concreto, infatti, c’è da muoversi per una costruzione per una sinistra di conio completamente diverso da quella passata. Da qualche tempo, con il compagno Felice Besostri, abbiamo ideato un “Dialogo Gramsci -Matteotti”. Un dialogo ideale da intendersi come richiamo proprio alla necessità di costruzione a sinistra.
Il richiamo ai due pensatori politici si configura soltanto come esigenza di disporre di una visione comunque riferita alla loro capacità di preveggenza, anticipazione e analisi (in particolare al riguardo del fascismo) .
Non fraintendiamoci tra noi: non si rileva alcuna pretesa di ritorno all’incontro di antiche culture politiche o di coltivare illusioni di riunificazione di entità politiche del resto inesistenti.
Il “rammendo” evocato da Mauro può allora principiare dalla constatazione dell’inutilità del mero assemblaggio delle residue forze esistenti e della stanca riproposizione di liste elettorali sempre diverse, ma immancabilmente votate al fallimento. Da qui l’impegno ad evitare d’ora in avanti ogni ridicola diatriba sul “aveva ragione questo” o “aveva torto quello”, come ogni pretestuosa richiesta di scuse davanti alla storia (anzi alla Storia) ecc., ecc..
Proviamo allora a sviluppare un solo esempio del tipo di riflessione che andrebbe impostata nell’idea di costruzione a sinistra (si badi bene: costruzione e non ricostruzione).
Si impongono, nel dopo – globalizzazione, due punti di fondo sui quali riflettere:
1) torna a prevalere l’idea del “senso del limite”: quel “senso del limite” che richiede l’esercizio dello spirito critico e della continua ricerca sulla realtà della natura umana;
2) il governo delle cose non può essere demandato alla volontà di potenza di chi detiene il dominio di una tecnologia che punta esclusivamente all’estetica dell’apparire posta in funzione della crescita esponenziale dei margini di disuguaglianza (com’è avvenuto nel corso degli ultimi decenni).
Non so se cercare di limitare il dislivello globale possa essere considerato “riformismo” e se a questo progetto siano più vicini i socialdemocratici USA, il Labour o altri ancora.
Rispetto ai temi di fondo del modello di sviluppo e della stessa convivenza civile, delle relazioni umane, degli interscambi non esclusivamente legati alla logica del profitto, delle comunicazioni d’informazione e culturali ha ragione chi sostiene che l’emergenza sanitaria globale oggi in corso, ci pone di fronte a un’occasione possibile.
Esaurite le forme politiche che hanno segnato il ‘900,tra l’idea dell’onnipotenza della tecnologia e quella del ritorno all’indietro del tipo (tanto per ridurre all’osso) della “decrescita felice” bisognerà pur individuare un nuovo equilibrio.
Per poter pensare di fronteggiare il fenomeno emergente del caos (per altro ben sostenuto dalla solitudine che deriva dall’esercizio degli strumenti di comunicazione di massa) occorrerà allora ripensare ai concetti di “società sobria” ben oltre il semplice criterio della sostenibilità. Non è sufficiente neppure pensare alla”green economy” e ai possibili relativi modelli di vita: serve qualcosa di più ampio e strutturalmente orientato nel suo complesso.
Risulterebbe limitato anche un richiamo alla società dei 2/3 di Gorz: analisi che negli anni’80 rappresentò una sorta di bandiera della socialdemocrazia europea in condizioni ben diverse dalle attuali (rappresentando anche un punto di avvicinamento per i comunisti italiani).
La ricostruzione di un intreccio tra etica e politica potrebbe rappresentare il passaggio fondamentale per delineare i contorni di una “società sobria” avendo come base di proposta una nuova “teoria dei bisogni” (lasciando da parte “i meriti”: le urgenze sono troppo impellenti anche se bisognerà non limitarci a pensare a una “società dell’emergenza”);
Servirà studiare per definire un aggiornamento teorico relativo proprio alla realtà delle “fratture” esistenti, sulla base del quale riaggregare primordialmente interessi specifici.
Sembrano due le grandi questioni sul tappeto:
1) quella del rapporto tra consumo del pianeta in termini complessivi di suolo e di risorse naturali e la stessa prospettiva di vivibilità del genere umano;
2) quella della capacità cognitiva, in termini globali di formazione, informazione, capacità di trasmissione di notizie e cultura e quindi di educazione globale.
Siamo di fronte ad una esigenza forte di radicalità progettuale: anche i vecchi schemi lib-lab risultano sicuramente superati e ancor più “retrò” appare la vecchia manovra della sinistra che vince al centro.
Va posta per interno la dimensione della prospettiva di una società alternativa a quella fondata su di un’economia dell’arricchimento progressivo. Quell’arricchimento progressivo posto sul piano individualistico del consumo che abbiamo ben visto come diventi inutile (e dannoso) in fasi di difficoltà generale.
Nell’evidente inadeguatezza dei modelli cui ci si è ispirati nella globalizzazione la vicenda dell’epidemia ci dimostra che siamo rimasti fermi a contemplare ciò che accade senza disporre di idee e di organizzazione per attaccare, come sarebbe necessario, il muro della separatezza tra i popoli e tra i ceti sociali.
Una separatezza mai così marcata, almeno a partire dal Secolo dei Lumi.
FRANCO ASTENGO
24 novembre 2020