Il governo ha annunciato la firma di un protocollo di intesa fra Italia e Albania. Fra gli obiettivi c’è quello di «accogliere solamente chi ha davvero diritto alla protezione internazionale». Negli avverbi «solamente» e «davvero» si annida il senso: evitare di garantire il diritto di asilo. L’accordo prevede la costruzione in Albania di «centri per la gestione dei migranti arrivati via mare», che dovrebbero fungere sia da hotspot sia da centri per il rimpatrio.

I primi, inventati dall’Agenda europea sulla migrazione nel 2005, sono dei non-luoghi, in un limbo giuridico, funzionali a distinguere immediatamente il richiedente asilo dal migrante economico, da respingere senza indugi; i secondi, introdotti con la legge Turco-Napolitano nel 1998, hanno mutato nome, tempi di trattenimento e soggetti detenuti (ora anche richiedenti asilo), ma erano e sono centri di detenzione. Entrambi sono espressione di un diritto speciale, dalle garanzie dimidiate.

Hotspot, Cpr e accordi con paesi terzi sono elementi cardine dell’asse delle politiche nazionali ed europee in materia di immigrazione: rafforzamento delle frontiere ed esternalizzazione. Il tradizionale doppio binario delle politiche sugli stranieri, integrazione e repressione, si incanala lungo un binario unico (quello della repressione).

Fortezza Europa, first: non rileva il fatto che molti dei paesi con i quali sono stipulati accordi sono stati in guerra, autoritari, che non garantiscono i diritti della persona umana, che non tutelano il diritto di asilo (Turchia, Sudan, Tunisia, Libia, Niger…), così come non rileva che le persone che migrano siano persone alla ricerca dei propri diritti.

Ora molte sono le criticità (violazioni) inerenti il rispetto della dignità, della libertà personale, dei diritti di difesa e al ricorso, dei centri sul territorio: facile immaginare che crescano esponenzialmente con la delocalizzazione. Mi limito a ricordare come nel 2023 l’Italia sia stata ripetutamente condannata (per tutte, Corte Edu, 30 marzo 2023), per le condizioni di trattenimento subite da alcune persone nell’hotspot di Lampedusa tra il 2017 e il 2019.

E che dire del diritto di asilo? A prescindere dall’arbitrarietà della distinzione fra migrante economico e richiedente asilo (non vede forse violati i suoi diritti chi fugge da condizioni materiali indegne o in cerca di istruzione?), al richiedente asilo deve essere riconosciuto l’ingresso e il soggiorno nel territorio quantomeno per il tempo necessario all’esame della sua domanda.

Il diritto di asilo «ha carattere immediatamente precettivo e comporta un diritto soggettivo perfetto», con la conseguente possibilità di intervento del giudice ordinario (Tribunale di Roma, 1999, caso Ocalan). E l’articolo 10 della Costituzione è inequivocabile: il diritto di asilo è nel «territorio della Repubblica». È incostituzionale delocalizzare il diritto di asilo.

E che dire del nucleo minimo – e non sufficiente – del diritto di asilo, come del divieto di tortura, il principio di non refoulement (il diritto di non essere respinti in territori dove vi sia il rischio di subire trattamenti inumani o degradanti)? Il divieto di respingimento costituisce una norma internazionale di jus cogens, inderogabile, anche da parte di accordi bilaterali, e protegge anche da respingimenti in un paese che a sua volta respinga verso altri paesi che non tutelano da trattamenti inumani e degradanti (Corte Edu, 23 febbraio 2012).

La Corte europea dei diritti dell’uomo, così come la Corte di giustizia Ue, hanno precisato che non esiste una presunzione assoluta di sicurezza per nessuno, neanche per gli stati membri dell’Unione europea; l’Albania non lo è nemmeno.

Con la delocalizzazione di hotspot e Cpr, ai muri giuridici frapposti al riconoscimento del diritto di asilo (categoria dei paesi terzi sicuri; restrizioni della protezione umanitaria e speciale; detenzione; sovrapposizione dello status, più restrittivo, della protezione internazionale all’asilo costituzionale) si aggiungono muri che materialmente impediscono l’ingresso nel territorio. Il diritto di asilo è il diritto di chi non ha diritti: cosa resta dei diritti umani?

ALESSANDRA ALGOSTINO

da il manifesto.it

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